il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2023
Torna in libreria La Maria Brasca di Testori
Pubblichiamo stralci della prefazione di Gad Lerner a “La Maria Brasca” di Giovanni Testori (Feltrinelli)
La Maria Brasca è un potente inno alla fisicità, all’esuberanza, alla libertà femminile che prorompe dalla Milano proletaria del 1959; nella quale il trentaseienne Giovanni Testori aspirava a identificarsi completamente. Tanto da farci sospettare che Maria Brasca altri non sia che l’alter ego del Testori medesimo, poiché egli si trovava proprio allora alla vigilia della sua scelta più “scandalosa”. L’anno successivo, difatti, ne L’Arialda troverà finalmente spazio la presenza dell’amore omosessuale, non più occultato tra le pulsioni vitali di quella periferia urbana; e la reazione dei benpensanti fu tale che ne deriveranno una clamorosa censura e un processo contro Testori e l’editore Giangiacomo Feltrinelli.
Ebbene, quella necessità/volontà di trasgressione della morale corrente già per intero compariva nell’epopea de La Maria Brasca – probabilmente l’opera teatrale più rappresentata di Testori – portata al successo da Franca Valeri con la regia di Mario Missiroli, e successivamente ancora più a lungo da Adriana Asti con la regia di Andrée Ruth Shammah. La quale, in una riedizione contemporanea, ha avuto addirittura la tentazione di far recitare a un attore maschio la parte della protagonista per evidenziare quanto la vicenda umana dell’autore si rispecchi nella scelta coraggiosa di emancipazione intrapresa da quella operaia tessile che ogni giorno va nel fabbricone di Niguarda a “tirar le calze”.
Donna che lavora, soddisfatta dell’autonomia economica che gliene deriva, ma a cui pulsa ben altro nella testa e nel cuore durante le ore del “linosare” in produzione: al suonar della sirena del fine turno Maria ricomincerà pervicacemente a cercar riscatto nella passione erotica amorosa che la spinge a voler sposare lo sfaccendato delinquentello Romeo Camisasca. Facendogli da moglie e da madre, se necessario. Cercando di procurargli un’occupazione onesta e, nell’attesa, mantenendolo. Senza curarsi neanche della differenza d’età che il senso comune dominante giudica eccessiva. Lui, 24 anni, vissuti nella devianza fino all’inevitabile soggiorno in una cella di San Vittore. Lei, la “Bruscona”, ventisettenne indomita transitata già per altri letti, senza per nulla sentirsene consumata, eppure consapevole di essere giunta lì lì sul limite del vedersi assegnare un destino da zitella. Per giunta peccatrice.
Dentro le case popolari che si mangiano la campagna del nord-ovest milanese, e nei residui di prato ove cercar riparo dagli sguardi indiscreti, fra Quarto Oggiaro e Vialba, al confine con Novate Milanese (luogo natale di Testori) e Baranzate, si celebra una ribellione femminile… Maria Brasca non teme di esporsi al pubblico ludibrio, convinta di avere in sé la forza di vincerlo… Maria incarna la vera alternativa possibile al marchio d’infamia impresso sulle donne di vita che popolano tanti racconti di Testori, e che lui si sforza di nobilitare, a cominciare dalla Gilda del Mac Mahon. Il rigoglioso immaginifico linguaggio sboccato, le allusioni e i doppi sensi che infarciscono i dialoghi testoriani, adoperando i dialettali tantquant e i stassera e i mezza-frigna per nutrire di linfa vitale la lingua italiana, fanno rifulgere anche ciò che pur sempre l’operaia Maria Brasca ha in comune con quelle ragazze da marciapiede: una femminilità tigresca, appunto. E gridata. Lei stessa se ne compiace, di essere tigre, ma rimarcando bene la differenza di fronte ai pregiudizi del suo Romeo: “Te lo torno a gridare, puttana no!”… Libera, dunque…
Quando La Maria Brasca va in scena, Luchino Visconti sta finendo di girare Rocco e i suoi fratelli, capolavoro liberamente tratto dai racconti de Il ponte della Ghisolfa. Ecco, l’esito vittorioso della vicenda dell’operaia Maria si configura anche come alternativa possibile al destino tragico della prostituta Nadia. Al contrario di Nadia, con gli uomini Maria sa porsi alla pari, dominarli se necessario. E pazienza se ciò comporta lo sforzo economico di continuare a mantenere quel lazzarone di Romeo, fiduciosa com’è di rimettere in sesto, prima o poi, quello che altrimenti si trasformerebbe nel suo “assassino”… E pazienza, soprattutto, se per completare la sua riconquista Maria Brasca dovrà immolarsi in una formidabile pubblica scenata al cospetto delle compagne di lavoro, sul piazzale antistante il fabbricone. Altro che vergognarsene, ne va orgogliosa.
Testori è un interprete viscerale delle condizioni di vita e di lavoro della classe sociale a cui vuole dare voce. La ama e la rappresenta nella sua dimensione esistenziale primitiva, prepolitica, ed è in questo substrato che ne celebra la potenza innovatrice, l’essere protagonista della modernizzazione negli anni del boom economico. Eppure, se anche la politica resta del tutto estranea agli intenti di Testori, ugualmente in Maria Brasca affiora l’embrione di quella che altri, non certo lui, chiamerebbero coscienza di classe. Vien fuori a tu per tu con Romeo, dovendogli spiegare la natura della contesa proprietaria implicita anche in una relazione sentimentale: “Nella vita le cose son di chi ci mette sopra le mani per primo. Cosa credi che siam poveri cristi per fare, noi, se non perché c’è stato qualcuno che ha piantato il pugno su certe cose e ha detto: ‘Queste qui son mie e voi, sotto, a sgobbare e a farle diventare ancor più grandi e più mie’”.