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 2023  febbraio 14 Martedì calendario

Intervista ad Aldo Signoretti, candidato agli Oscar

La scaramanzia è d’obbligo, certo. Ma se la sera del 12 marzo Aldo Signoretti, alla sua quarta nomination, dovesse portare a casa l’Oscar per trucco e acconciature di Elvis di Baz Luhrmann, con Mark Coulier e Jason Baird, non avrebbe dubbi sul destinatario dell’eventuale dedica. «Alla mia famiglia, ovvio. E a Maurizio Silvi, il mio partner in crime di tanti film». Avrebbero dovuto ritrovarsi insieme anche per il biopic del re del rock ’n roll, come già in altre opere del regista australiano fin dai tempi di Romeo + Juliet. «Purtroppo Maurizio è scomparso nel maggio scorso. Avevamo già cominciato a lavorare a questo film, poi la pandemia ha rallentato i tempi. E lui non ha potuto farlo».
Nel 2001 vi candidarono insieme per Moulin Rouge!
«Baz è un regista molto pignolo, attento ai dettagli. Voleva uno stile “a metà tra il Moulin Rouge e il Club 54 degli anni 70 a New York”. Abbiamo viaggiato nel tempo, pescando fino ai colori d di Toulouse-Lautrec che si riflettono nei capelli di Nicole Kidman: gialli, blu, rossi».
Le sue altre due candidature furono per Apocalypto di Mel Gibson e Il divo di Paolo Sorrentino. La lista dei registi con cui ha collaborato è un compendio di storia del cinema: Visconti, Fellini, Bertolucci, Altman, Scorsese, Cavani, Tornatore.
«Sono stato fortunato. Faccio il mestiere più bello del mondo, che mi ha portato a incontrare dei giganti».
Come ha iniziato?
«Mio padre lavorava nel cinema come stuntman, con i cavalli all’epoca di Ben Hur. Io andavo sui set. Adoravo quella vibrazione meravigliosa: arrivare al mattino quando si crea un mondo che la sera si smonta, per poi ricominciare».
Non ha seguito le orme paterne, però.
«La passione per le acconciature nasce da ragazzo, volevo fare il cinema ma in quel reparto. Ho iniziato neanche ventenne, con Piero Tosi, con una maestra come la hair stylist Maria Teresa Corridoni. Visconti, De Lullo, Fellini. Il teatro e subito il cinema. Era l’Olimpo. Fellini mi diceva: “Aldino, lo schermo è grande, bisogna riempirlo”. Una lezione fondamentale».
Con gli attori che rapporti ha?
«Ogni viso racconta una storia. E i capelli sono qualcosa di intimo, vicino al cervello. Occorre creare una relazione di empatia con gli interpreti».
Complicazioni?
«Mai. Le ho già detto, sono stato fortunato».
Come è arrivato a Hollywood?
«All’epoca de La nave va, a Cinecittà, un giorno mi dicono: ti cercano al telefono dall’America. Avevo fatto Popeye di Altman, girato a Malta, mi volevano per Louisiana di Philippe del Broca. Avevo 28 anni, sono partito».
Quindi arrivarono film come Cliffhanger con Sylvester Stallone, M. Butterfly di David Cronenberg, L’ultima eclissi e L’avvocato del diavolo di Taylor Hackford.
«Poi arrivò Martin Scorsese, altro gigante. Tutte grandi esperienze. In Usa c’era più burocrazia che sui set italiani dove l’approccio era più artigianale, ma apprezzavano il mio modo di lavorare. Bloody italian, he is an artist, dicevano di me».
Non ha avuto la tentazione di fermarsi?
«Ho abitato a New York, dove ho fatto anche teatro, mai a Los Angeles. Sono nato a Trastevere, mi porto dietro la mia romanità, esplicita, diretta. Anche moglie e figli sono più felici a Roma».
Altri ricordi?
«Luca Ronconi. Dicevano tutti che fosse terribile, cattivo, io lo amavo. Mi emoziono pensando a lui, Visconti, De Lullo».
E Bertolucci?
«Maestro assoluto, la poesia totale. Mi diceva: sei come uno scultore, fai arte con i capelli. E io rispondevo: Bernardo, se continui a guardarmi mentre lavoro io smetto».
Com’è stato ricreare Elvis?
«Quando tocchi le icone come lui, uno dei visi più conosciuti della storia, serve tutta la cura ossessiva di un regista come Luhrmann. Per esempio, lui era biondo, anche per le parrucche di Austin Butler degli ultimi anni sono partito da capelli biondi tinti di scuro perché fosse meno netto. Parrucche di lunghezze diverse, perché andavo di pari passo con il suo stile, l’altezza i suoi colli, un po’ alla Maria Stuarda, complicato».
A cosa si dedica ora?
«Alla serie M tratta dal libro di Scurati su Mussolini con la regia di Joe Wright. Un gran lavoro di squadra, come piace a me».