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 2023  febbraio 14 Martedì calendario

I bambini, la guerra e i Karamazov

E pensare che, nei primi mesi della guerra in Ucraina, qualcuno in Italia voleva diffidare lo scrittore Paolo Nori dal parlare di Dostoevskij in università «per evitare ogni forma di polemica in un momento di forte tensione». Come se Dostoevskij fosse leggibile in chiave filorussa, se non proprio putiniana. È passato quasi un anno, e chi nei giorni scorsi avesse avuto la fortuna di andare a vedere, al Teatro Out Off di Milano, Il delitto Karamazov (regia di Lorenzo Loris e adattamento di Fausto Malcovati), avrebbe capito meglio che tutto può accadere con Dostoevskij tranne che uscire dalla lettura di una sua pagina schierati da una parte o dall’altra. «Nel microcosmo turbolento dei Karamazov si riflette il macrocosmo della Russia calpestata, devastata, esasperata», scrive Malcovati presentando lo spettacolo. Si potrebbe estendere il discorso dalla Russia a noi. Come ha scritto Kundera per Dostoevskij, quando entra nel romanzo, un «pensiero dogmatico [sottinteso: come quello di Dostoevskij] diventa ipotetico»: «la meditazione romanzesca – dice Kundera – è, per essenza, interrogativa, ipotetica». È utile leggere i grandi romanzi non per avere delle risposte, ma per porsi in modo impensato le domande che raramente ci poniamo. Il romanzo di Dostoevskij è un continuo chiedersi se ci siano “buone” ragioni per cui si possa uccidere un padre per quanto debosciato. Forse sì, ma forse no. (Per Freud tutti i fratelli Karamazov erano colpevoli, poiché tutti desideravano ugualmente la morte del padre). L’ateo Ivan Karamazov, indecifrabile «autore morale» del parricidio, nel suo rovello si spinge oltre, chiedendosi: se sono permesse le violenze sui bambini innocenti, allora «Dio non c’entra e tutto è permesso». Ribellandosi a Dio, Ivan fa ricadere quel «tutto» sulla libera irresponsabilità individuale (degli adulti). La fede in una giustizia salvifica, secondo lui, non vale le lacrime di una sola bambina ferita. La lettura dei Karamazov ci costringe a riflettere per più di due secondi sui mille bambini morti in Ucraina nei primi sei mesi di guerra (dopo, non si sa). Sui bambini di continuo annegati in mare, su quelli sepolti sotto le macerie turche e siriane. Ci sono «buone» ragioni che permettano tutto questo? Semmai, quali? E comunque, abbiamo temi più urgenti su cui interrogarci? Quali?