Corriere della Sera, 14 febbraio 2023
Le rivincite di Attilio Fontana
La rivincita di Attilio Fontana. Contro tutti: contro gli avversari, e va bene. Ma anche contro alcuni pronostici e contro chi negli ultimi anni ha cercato di mangiarselo vivo. Forse un po’ anche contro il suo stesso partito, la Lega, che, come racconta un suo amico di Varese «in lui ha creduto a intermittenza». Persino contro quella bufera rappresentata dal Covid.
Ma, anche, contro «la Signora», Letizia Moratti, che lui da tempo ha smesso di nominare. Il fatto di essere stata la sua vice per anni prima di candidarsi contro di lui sarebbe stato quasi perdonabile. No, quello che davvero Fontana – al fondo, un gentiluomo della provincia profonda – ha fatto più fatica a digerire è stata l’accusa di aver mancato alla parola data quando, secondo il racconto di Moratti, lei fu chiamata nella giunta regionale con la promessa di «un passaggio di testimone» al termine del mandato di Fontana. E così, quando lei ieri lo ha chiamato per congratularsi, lui non ha risposto: «Ma no – dice lui – non c’entra nulla. Avevo lasciato il telefono a un collaboratore e appena ho visto il suo messaggio ho provato a richiamarla. Ma a quel punto non ha risposto lei. D’altronde è stata una giornata convulsa. Bella ma convulsa».
«Non ci credo, non ci credo…», ripete Fontana quando i dati cominciano a sancire l’entità del suo successo. E così, il ringraziamento ai lombardi che sono le sue prime parole da presidente riconfermato, forse non è mai stato così vero, così poco formale, così sentito. Perché il punto è cruciale: la sua rielezione era pronosticata da tutti i sondaggi, senza eccezioni, e con ampio margine. Nonostante le inchieste che lo hanno bersagliato durante la pandemia e al netto del massimo astensionismo di sempre, figlio della «delegittimazione della politica», per Fontana è andata assai meglio che alle sue prime elezioni, nel 2018. E questo, scherza lui, «non ha prezzo».
Anche la lista a lui intestata, che cinque anni fa aveva eletto un solo consigliere, con questo giro ne confermerà – a seconda dei «resti» – almeno quattro o forse anche cinque. Perché la lista nel frattempo non era rimasta confinata alle Regionali, ma si era presentata in moltissime elezioni locali piccole e medie, eleggendo circa trecento amministratori: «Io credo che questo abbia pagato – dice il due volte presidente —. Quando hai qualche problema che cosa fai? Chiami il consigliere o chiami Calenda?».
E così, Attilio «Cincinnato» Fontana non torna ai suoi campi e resta lassù, nel suo aereo ufficio, forse uno dei più belli d’Italia, circondato da tre lati su quattro da vetrate con vista sul Monte Rosa che sembra di poterlo toccare. Cincinnato perché Fontana, nel 2018, stava andando in pensione. Dopo la scadenza del mandato da sindaco di Varese, aveva deciso di riprendersi la vita e dedicarsi al diletto golf. Ma la rinuncia alla candidatura di Roberto Maroni, lo aveva costretto a tornare in servizio. Oggi, non ha rimpianti per aver risposto alla chiamata di Matteo Salvini: «Mai. Ci sono stati dei momenti certamente di difficoltà, ma la voglia di fare qualcosa per la nostra gente è sempre stato un motore con una spinta fortissima». E dunque oggi lo dice senza animosità: «Si era coalizzato un mainstream sconcertante. Non si era mai visto che in presenza di un evento così drammatico invece di scattare la solidarietà…» completa un collaboratore «... si maramaldeggiasse sulla Lombardia». Del resto, anche nella Lega gli scetticismi non erano mancati. Quando Fontana fece la sua prima conferenza stampa da presidente indossando la mascherina, apriti cielo: «Diffonde allarmismo». E il suo modo così poco aggressivo, così pragmatico da potersi scambiare per poco politico fino a ieri continuava a suscitare critiche anche nel suo partito.
Superati i giorni neri, lui che pure è da sempre l’avvocato della Varese bene (cioè, quasi tutta Varese) si è scoperto una vocazione: «Sono il fuoriclasse dei mercati». Ride quando lo dice, ma intorno a lui tutti annuiscono. In un momento di non particolare affezione per la politica – e il numero degli astenuti è lì per dimostrarlo – il garbo e l’empatia del governatore risaltano meglio che non sul palco di un comizio. Del resto, lo dice lui stesso a chi gli chiede un giudizio sugli avversari: «C’è stata qualche aggressività di troppo, ma la verità è che mi sono occupato molto più di ascoltare gli spunti che mi venivano dai mercati, utilissimi per il secondo mandato, più che le polemiche di giornata».
Di una cosa Fontana si dice particolarmente orgoglioso: «Mentre eravamo nel pieno dell’epidemia, in un contesto che ci ha colpito con una durezza terrificante, abbiamo cercato di mantenere il sangue freddo. Per me era importante non soltanto uscire dal Covid e impiantare la macchina dei vaccini, ma anche dare una prospettiva». E cioè, il cosiddetto «Piano Lombardia». E cioè, un programma di lavori da quattro miliardi e mezzo e 5.800 cantieri aperti di cui la metà già chiusi: «Certo, per avviarlo bisognava avere i conti a posto. Ma per me era importante fare un’iniezione di fiducia in una popolazione così colpita».
Il risultato della Lega, ma anche proprio della lista Fontana, potrà forse sgomberare la strada dagli inciampi di un rapporto di forza tra i partiti per cui già qualcuno, prima ancora delle elezioni, aveva cominciato a chiamarlo «presidente di minoranza». In realtà, i numeri consentono a Fontana una certa tranquillità: la Lega più la lista del governatore ieri sera sfioravano il 25%. Giusto un punto in meno di Fratelli d’Italia. Certo, la trattativa per gli assessori e per gli assetti della Regione restano, per definizione, complicati. Ma di questo, Fontana non vuole certo parlare oggi: «Adesso mi prendo 48 o 72 ore di riposo. Ma fino ad ora non abbiamo mai parlato di questo argomento con gli alleati. Dice che dovrei iniziare con lei?».