La Stampa, 14 febbraio 2023
L’Italia è davvero razzista?
La pallavolista Paola Egonu la scorsa settimana ha ancora una volta denunciato il razzismo che non risparmia nemmeno chi è nato e cresciuto in Italia ed è un orgoglio nazionale. Lei, dopo gli insulti razzisti, per qualche mese ha preso le distanze dalla Nazionale e solo qualche giorno fa ha detto di essere pronta a tornare a rappresentare l’Italia. La giornalista Karima Moual è nata in Italia da genitori del Marocco, ieri dalle colonne della Stampa ha confessato di essersi arresa. «Non saremo mai italiani abbastanza come voi – ha scritto -. I nostri nomi sono troppo stranieri, le nostre facce, i tratti, il colore della pelle, ancora più se è nera, non passa».
Non passa, no. Lo conferma Maurizio Ambrosini, sociologo e studioso delle migrazioni. «Siamo ancora sotto il duraturo influsso della retorica degli italiani “brava gente”, non abbiamo sviluppato anticorpi sufficienti contro il linguaggio, il pensiero e l’approccio razzista. A Milano nel linguaggio corrente si è abituati a chiedere “Quanto guadagna al mese la tua filippina?”. Si usa la parola filippina per definire le colf etichettando in modo profondamente razzista chi arriva dalle Filippine. Anche il termine badante, che indica un’attività svolta in gran parte da stranieri, ha nella parola un’inferiorizzazione di un lavoro che è molto di più che un semplice badare a delle persone anziane, vuol dire ascoltarle, accompagnarle, assisterle a volte con prestazioni parainfermieristiche. Di Paola Efgonu si dice che questo Paese le ha dato la maglia azzurra, non che se l’è conquistata».
Chef Kumalé è lo pseudonimo di Vittorio Castellani, italiano, giornalista e saggista che da 30 anni viaggia e cerca di conoscere e raccontare le cucine del mondo. Il razzismo colpisce anche lui. «Il razzismo esiste – spiega – ed è forte non solo nei confronti di chi porta sulla pelle e nelle origini una diversità, ma anche nei confronti di chi se ne occupa come me che da anni lavoro per rendere più digeribili queste differenze e trovare quello che ci accomuna. Purtroppo avverto tanta paura negli italiani. Non ci si vuole rendere conto che la realtà è cambiata, che dovremo abituarci all’idea di vivere in un Paese in cui il problema non è più il multiregionalismo ma il mondo globale».
Jean-René Bilongo è originario del Camerun, vive in Italia dal 2000, è responsabile del Dipartimento Politiche Migratorie di Flai-Cgil Nazionale. «In Italia non si vuole affrontare il tema dell’inclusione delle diaspore presenti nel Paese. Abbiamo un modello di inclusione che è in atto ma manca una locomotiva che lo guidi a livello sociale». Che l’Italia sia razzista lo mostrano alcuni indicatori, aggiunge. «Quanti migranti quando sbarcano vogliono rimanere in Italia? Quanti studenti stranieri ci sono nelle università italiane? Quanti lavoratori agricoli indiani lavorano per anni in Italia in condizioni di sfruttamento per di arrivare alla cittadinanza e poi emigrare in Canada da italiani?».
Di fronte a tanto razzismo c’è speranza? Secondo Ambrosini ci sarebbe se rsi desse attuazione alla possibilità di far entrare gli immigrati a pieno ruolo nell’impiego pubblico, che è un ascensore sociale per i gruppi discriminati». Secondo Chef Kumalé «bisogna trovare nella scuola, nello sport e nel lavoro il modo di accorciare le distanze». Jean-René Bilongo è il meno ottimista. «C’è speranza? La speranza è sempre l’ultima a morire ma ci vogliono volontà vere a livello nazionale e non mi sembra che ci siano. Qualcuno sa che esiste una Consulta per i lavoratori immigrati e le loro famiglie presieduta dal capo del governo? E qualcuno sa che l’ultima volta che si è riunita è avvenuto nel 2007?».