Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 14 Martedì calendario

Pistorius è cambiato, dice il suo manager

Quattro spari nella notte. Da Blade Runner a Blade Gunner. Un terribile San Valentino di dieci anni fa a Pretoria, in Sudafrica. Una ragazza, Reeva Steenkamp, neanche trentenne, uccisa. Per gelosia. Da lui, da Oscar Pistorius, da «the fastest man on no legs», dal ragazzo sudafricano che dopo Mandela era un mito per il mondo. Dall’uomo che correva senza gambe, amputate quando aveva 11 mesi. Dal campione paralimpico dei 400 metri.
Dall’atleta che ai Giochi di Londra 2012 era stato il più applaudito dallo stadio perché finalmente aveva vinto la sua battaglia: poter correre con gli altri, sentirsi uguale ai normodotati, anche con il corpo dimezzato. A fine mese Pistorius potrebbe uscire dal carcere in libertà vigilata. È stato condannato a 13 anni e 5 mesi per omicidio volontario. Il suo manager Peet Van Zyl è ancora in rapporti con Oscar.
Lo va a trovare e gli parla.
Pistorius in carcere è cambiato?
«Fisicamente sì. Gli sono caduti i capelli, è molto stempiato, e anche dimagrito. E soprattutto fuma, una sigaretta dopo l’altra, nevroticamente. Prima non aveva questa abitudine. Con me commenta le notizie sull’atletica, è ancora molto appassionato del suo sport. Anche se me lo ha detto chiaramente».
Cosa?
«Che non tornerà più a correre. Ha 36 anni, la sua carriera è finita. Si rende conto che ha sbagliato e distrutto molte vite, anche la sua.
Tutto finito. In carcere si è messo a studiare business administration e settore immobiliare. Una volta fuori si occuperà di proprietà e di case. Ora pulisce i bagni della struttura, il suo lavoro è quello».
Quella notte chil’avvisò?
«Il mio cellulare suonò alle 3 e mezzo di notte. Era quello di Pistorius. Ma al telefono c’era la figlia dell’amministratore del condominio di villette dove viveva Oscar. Era agitata.
Parlava di un corpo nel bagno, di sangue. Sul momento ho capito che avevano sparato a Oscar».
Lo ha visitato di recente?
«Non negli ultimi mesi. Perché il protocollo Covid è severo e ha rarefatto le visite che lascio ai suoi familiari. Una volta però l’ho trovato che aveva strani segni sul corpo, nonso se per una rissa, forse qualcuno aveva provato ad ucciderlo, ho avvisato i dottori. Lui sa che io ci sono, quando vuole mi telefona».
Ha conosciuto Oscar nel 2005.
«Sì, mi chiamò lui. Mi disse anche che suo padre ci teneva a gestirlo.
Così lasciai perdere. Mi ricontattònel 2006, non parlò più del padre.
Oscar era carismatico, aveva forti valori, grazie anche alla madre Sheila, che lui ha perso a 15 anni, per uno shock anafilattico. Sheila lo amava molto, l’aveva educato al rispetto e all’indipendenza. Di mattina al primo figlio Carl diceva:mettiti le scarpe, a Oscar invece mettiti le gambe».
Crede che avrà la libertà vigilata?
«Potrebbe uscire alla fine di questo mese o a marzo. Ha scontato più della metà della pena. Ma dipende da vari fattori e pareri. Condizione essenziale era che lui incontrasse i genitori di Reeva Steenkamp. Lo ho fatto a giugno: ha visto solo il padre, la madre non ha voluto. C’è molta politica dietro a queste decisioni. E una forte opposizione dei gruppi femministi».
Oscar fu la star dei Giochi di Londra 2012.
«Dopo è cambiato. Troppi amici sbagliati. Ha iniziato a frequentare gente di malaffare, a girare con auto lussuose, lo invitavano a feste, viaggi, presentazioni. Roba che non c’entra con lo sport. Un giorno è passato a prendermi in auto e dietro sul sedile aveva una pistola. A cosa ti serve? gli ho chiesto. È per la mia sicurezza, ha risposto. Era ossessionato, voleva assumere un bodyguard».
Era un’icona mondiale.
«E un esempio per tutti. Il primo atleta amputato a partecipare alle Olimpiadi. Ma nella stessa squadra sudafricana, per gelosie, c’era chi non lo voleva, ai mondiali di Daegu nel 2011 fu escluso dalla staffetta in finale, eppure aveva contribuito a migliorare il record nazionale. Già a Londra lo avevano messo in cattiva luce alimentando una polemica, una guerra tra amputati, sull’altezza della protesi del brasiliano Oliveira che lo aveva battuto nei 200 metri. Ma erano stati gli altri disabili a chiedere a Oscar di farsi portatore della protesta».
Parla mai del futuro?
«Parla soprattutto dell’Italia, dove si è sempre trovato bene. Vuole ritornarci, altri posti non gli interessano. Ma se anche avrà la libertà vigilata non so se gli ridaranno il passaporto.
Dice che ha voglia dell’Italia, è il primo paese che vuole rivedere. Amava molto Gemona, in Friuli, la nostra base di allenamento».
E della notte in cui ha ucciso Reeva?
«Non affronto quell’argomento. Gli ho detto solo che un giorno, quando sarà uscito dalla prigione, senza nessuno attorno, io e lui soli, spero di avere una spiegazione».