la Repubblica, 14 febbraio 2023
Jankto fa coming out
Kuba è un calciatore. È un imprenditore e anche un pittore. Kuba è omosessuale. E, con un video postato su Instagram, ha fatto il suo coming out. Semplice e dirompente. Davanti a uno sfondo nero, inquadrature in primo piano e di profilo, Jakub “Kuba” Jankto ha guardato tutti negli occhi e in 44 intensissimi secondi ha spiegato: «Ho i miei punti di forza e le mie debolezze. Ho una famiglia, i miei amici, un lavoro che svolgo da anni al mio massimo, con serietà, professionalità e passione. Come tutti, voglio anche vivere la mia vita in libertà. Senza paure, senza pregiudizi. E senza violenza. Ma con amore. Sono omosessuale e non mi voglio più nascondere». Jankto ha un figlio di tre anni, frutto della relazione, finita nel 2021, con Markéta Ottomanská, che subito gli è stata vicina: «Sono fiera della tua forza».
Con lui, ora, non possono più nascondersi gli ipocriti del “non esistono gay nel pallone”, messi in fuorigioco da questo ragazzo di 27 anni di Praga, che gioca in prestito nello Sparta, club della sua città, dopo sei anni in Italia – nell’Ascoli, nella Sampdoria e nell’Udinese – e un veloce passaggio in Spagna, nel Getafe, squadra per cui è ancora tesserato.
Non è il primo coming out nel calcio maschile. Sono sempre più lontani i tempi in cui Justin Fashanu, talento emergente del football inglese degli anni 80, dichiarò pubblicamente la sua omosessualità, ricevendone in cambio un feroce ostracismo che lo portò fino al suicidio, il 3 maggio 1998, a 37 anni. Oggi, dall’australiano Josh Cavallo, 23 anni, terzino dell’Adelaide United, fino all’inglese Jake Daniels, 18 anni, attaccante del Blackpool, chi compie questo passo viene supportato in ogni modo dal club d’appartenenza. Ma i tabù esistono e resistono: il tedesco Thomas Hitzlsperger, 40 anni, direttore sportivo dello Stoccarda, rivelò il suo orientamento sessuale al settimanale Die Zeitsoltanto nel 2014, pochi mesi dopo la fine di una carriera ad alti livelli che lo aveva portato anche, da gennaio a giugno del 2010, alla Lazio. «Non ho parlato prima —disse – perché il gioco rude e la passione nel calcio si adattano male al cliché “i gay sono femminucce, sono deboli”».
E invece Jankto è stato forte, molte forte. Con l’arma della verità ha difeso la sua vita così ricca: la carriera ad alti livelli (45 presenze in Nazionale), l’accademia che ha messo su a Praga per i giovani talenti degli eSport, le competizioni professionistiche di videogiochi, la passione per la pittura, che lo ha portato a raffigurare i grandi talenti sportivi, da Kobe Bryant a Paulo Dybala, firmando le opere con le sue iniziali: J.J.
Il mondo si è alzato in piedi ad applaudire con il linguaggio delle tastiere, tra emoticon di cuori e arcobaleni. In un attimo più di centomila like. I commenti di Fifa e Uefa («Sei un’autentica fonte di ispirazione, il calcio è con te»), le federazioni di ogni dove, in testa quella ceca, con parole tanto ovvie quanto importanti («Per noi non cambia nulla. Vivi la tua vita, Jakub»), i colleghi, primo tra tutti il portiere del Napoli Alex Meret, come Jankto ex dell’Udinese. E poi il Milan, il Real Madrid, il Barcellona («Orgogliosi di te!»), la Juventus. Che ha pubblicato un video in cui due sue calciatrici, la svedese Linda Sembrant e l’italiana Lisa Boattin, hanno condiviso con il pubblico e con i tifosi la loro storia d’amore: «La nostra relazione è iniziata grazie alla Juve, grazie a lei e grazie al calcio ci siamo conosciute».
Ma le donne sono sempre state molto più avanti. Elena Linari, difensore della Roma e della Nazionale, lo ha spiegato con parole nitide: «Il calcio non è omosessualità o eterosessualità. È semplicemente sport». Per Megan Rapinoe, capitana della nazionale degli Stati Uniti, icona della comunità Lgbtq+ «gli uomini hanno paura di raccontare la propria omosessualità perché sanno che verranno discriminati, esclusi e insultati dai loro stessi tifosi». Parole di un’atleta che ha avuto il coraggio di sfidare apertamente l’uomo più potente del mondo, l’allora presidente Donald Trump, rifiutando l’ invito alla Casa Bianca per la vittoria del Mondiale: «Il tuo messaggio esclude le persone». Questo è il tempo dell’inclusione. Un tempo scandito, anche, da 44 intensissimi secondi.