La Stampa, 13 febbraio 2023
Il costituzionalista Gaetano Azzariti contro il 41bis
«Il ministro della Giustizia Carlo Nordio dovrebbe riprendere in considerazione la sospensione del 41 bis per Alfredo Cospito prima del 24 febbraio». Secondo Gaetano Azzariti, costituzionalista dell’Università La Sapienza di Roma la richiesta del procuratore generale della Cassazione Piero Gaeta di revocare il carcere duro per l’anarchico e rinviare a un nuovo esame «è l’ultimo segnale di una situazione assai complessa ed in rapida evoluzione in cui è difficile ragionare freddamente».
Qualcuno leggerebbe persino la sospensione come un cedimento a quello che il governo considera un "ricatto" portato avanti da Cospito con lo sciopero della fame.
«Trovo l’argomento del ricatto decisamente fuorviante. Penso che farsi condizionare dall’argomento di un’ipotetica lotta agli anarchici-insurrezionalisti da parte dello Stato finisca per non tenere conto della situazione di fatto. Uno Stato che non si fa ricattare è uno Stato che sa decidere freddamente senza legare la vicenda di detenuto alle violenze che vengono portate avanti nel suo nome, le quali devono essere perseguite a prescindere dalla situazione del singolo detenuto. La tutela della vita di Cospito deve semmai operare come acceleratore delle decisioni, non necessariamente condizionare l’esito. Anche la Cassazione ha anticipato già due volte l’udienza sulla revoca del 41 bis proprio perché diventa sempre più impellente il tentativo di arrivare in tempo».
La procura antimafia e antiterrorismo guidata da Giovanni Melillo, pur senza negare la pericolosità di Cospito, ha aperto alla possibilità che sia sufficiente un regime di alta sorveglianza con censura delle comunicazioni. Perché il ministro Nordio ha ignorato questo parere?
«La decisione del ministro della Giustizia rientra nella sua esclusiva responsabilità ministeriale. È evidente che Nordio non sia obbligato a dare seguito all’opinione dei magistrati soprattutto perché, in questo caso, le indicazioni sono state differenti. La procura di Torino, ad esempio, si è espressa in senso opposto all’Antiterrorismo, chiedendo la conferma del regime speciale. La situazione è molto complessa anche dal punto di vista strettamente giuridico, permettendo più interpretazioni. Non c’è dubbio quindi che per la scelta del ministro sia decisiva la sua sensibilità politica».
Il ministero della Giustizia, lo scorso 6 febbraio, ha inviato al comitato nazionale di bioetica un quesito relativo alle disposizioni anticipate di trattamento, qualora arrivino da un detenuto che in modo volontario abbia deciso di porsi in una condizione di rischio per la salute. Lo Stato può obbligare Cospito a nutrirsi.
«Lo escludo perché l’articolo 32 della Costituzione è chiaro: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge". Soprattutto perché in questo caso non c’è un rischio per altri. Il rifiuto di cure è un diritto riconosciuto. Cospito ha espresso chiaramente e consapevolmente la volontà di non proseguire nelle cure. La sua condizione di detenuto non cambia questo dato di fatto. È vero che lo Stato ha degli obblighi verso la salute dei carcerati, ma se il rifiuto dei trattamenti è espresso, non si può non rispettare».
Quindi in ogni caso l’organo competente non sarebbe il Comitato di bioetica?
«Il ministero può chiedere un parere al Comitato. Ma il trattamento obbligatorio andrebbe stabilito con una disposizione di legge che in questo momento non c’è, e che probabilmente sarebbe incostituzionale porre».
In un’intervista a La Stampa, l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha detto che la "Costituzione è la coscienza di uno Stato" e che l’idea di alcuni che il 41 bis sia "tanto più efficace quanto più è crudele" sia lontana dalla Carta.
«Sono d’accordo con il professor Zagrebelsky. La Costituzione è l’espressione della civiltà di un popolo. Il 41 bis è una forzatura di questa civiltà. Non le sto dicendo che sia incostituzionale, ma che si debba basare su un bilanciamento stretto e può essere ammessa solo se indispensabile a salvaguardare la sicurezza pubblica».
Sarebbe quindi necessaria una revisione della norma sul carcere duro?
«Il 41 bis è nato nel 1986 come misura antiterrorismo, nel 1992 è stato riattualizzato dopo stragi di mafia. È evidente dalle origini che si tratti di una misura del tutto eccezionale, in antitesi rispetto all’articolo 27 della nostra Costituzione perché la pena non ha un valore rieducativo e all’articolo 13 perché ci sono aspetti di violazione morale a chi è ristretta nella sua libertà. La legge sul carcere duro è stata scritta sul sangue di Capaci. Si tratterebbe oggi di riflettere però se la situazione non sia cambiata. Purtroppo il clima creato non è dei migliori per una riflessione di questo tipo».
C’è il rischio che il caso Cospito affossi questa discussione anziché darle spazio?
«Si stanno sovrapponendo troppi piani. Se non riusciamo a ragionare in base ai principi, inevitabilmente la decisione sarà determinata dalla drammaticità della vicenda di Cospito. Il dibattito sul 41 bis fra i costituzionalisti va però avanti da sempre, è evidente che sia una misura critica, che andrebbe sottoposta a una riflessione di carattere complessivo».