il Giornale, 13 febbraio 2023
Vita da ostetrica
In 20 anni ha fatto nascere un migliaio di bambini offrendoli alle braccia delle loro mamme, il posto migliore dove ciascuno vorrebbe trovarsi quando viene al mondo.
Siamo alla clinica Mangiagalli di Milano, la maternità più grande d’Italia. Qui nascono 5.800 bambini l’anno (una quindicina di anni fa erano 6.800), venti in un giorno. Lei è Elena Rossi, l’ostetrica coordinatrice della sala parto, e, da quando era allieva ostetrica, ha sempre lavorato fra queste mura. «Sono una mangiagalliana doc», afferma. Un predicato nominale che dice molto sia a chi è del mestiere sia alle donne che stanno per partorire. Sì, perché la Mangiagalli è sempre stata considerata anche la Maternità più «medicalizzata» per il fatto di occuparsi di patologia della gravidanza e di quella neonatale. E poi perché è tra le cliniche pioniere che hanno lanciato l’anestesia peridurale durante il travaglio.
Durante la pandemia, poi, è stato uno dei pochi ospedali a lasciare che i papà entrassero in sala parto.
«Non abbiamo mai proibito la vicinanza dei mariti o dei compagni. L’unico isolamento si attuava quando la mamma era positiva al virus, allora il papà non poteva entrare ma il neonato rimaneva in camera nella sua culla (il cosiddetto rooming-in). Non era consentito il pelle a pelle alla nascita, cioè il contatto diretto fra mamma e bambino, se non durante l’allattamento perché non sapevamo molto del virus e ci muovevamo con cautela. Quello che però è emerso è che, in piena pandemia, il latte materno non trasmetteva l’infezione perché è un virus aereo. Le puerpere positive allattavano con la maschera Ffp2. Fortunatamente oggi queste misure sono superate, ad eccezione delle mascherine che si continuano a usare in ospedale».
Elena Rossi conferma che negli anni il modo di nascere è cambiato. «Rispetto ai miei esordi le donne sono molto informate, sanno perfettamente quello che vogliono. Una volta si lasciavano guidare da chi, a loro giudizio, ne sapeva di più. Oggi hanno un bagaglio di competenze pazzesco e sono consapevoli di essere le uniche protagoniste di questo momento. Il passa parola sui social permette di raggiungere un grande numero di persone, ci sono pagine dedicate alla maternità dove le esperienze vengono condivise e attraverso le quali le donne arricchiscono le loro consapevolezze». Un altro cambiamento considerevole è che si preferisce il parto naturale, quando ci sono le condizioni. Ed emerge che sono le vip a dettare le mode anche sui parti (cesareo o naturale).
«La scelta dell’influencer famosa ha sempre un seguito. Come in altre epoche lo avevano cantanti e attrici. Insomma, oggi c’è la tendenza a seguire il messaggio meglio secondo natura che senz’altro non passa inosservato. Antropologicamente la donna è cambiata, è diversa la cultura come lo sono gli stili di vita. Vent’anni fa a 39 anni si praticava il cesareo e la madre era definita attempata, oggi invece molte donne partoriscono per via naturale anche oltre i 40 anni e allattano anche per diverso tempo. È cambiato il loro modo di affrontare la gravidanzam ma anche il travaglio: le donne chiedono di muoversi, di mangiare (si portano cioccolato fondente e frutta secca), di ascoltare musica».
Oggi nelle cliniche di Maternità si applica il rooming-in, la possibilità per mamma e piccolo di condividere la stanza senza limiti di orario e in un ambiente protetto. «È una pratica molto antica riscoperta negli ultimi decenni. Si evita la separazione mamma-bambino e si creano i presupposti di quel legame speciale che unisce ogni donna al proprio figlio. La presenza del padre è preziosa, sia perché dà sostegno alla mamma sia perché si gettano le basi del loro legame familiare».
È anche il modo migliore per agevolare l’allattamento al seno in base alle esigenze del neonato, come raccomandano Unicef e Oms. Il roomig-in è proposto in tutte le Maternità ma c’è sempre l’opzione nido. Talvolta però le puerpere sviluppano sensi di colpa...
«Spesso sì e le aiutiamo a scioglierli. C’è chi pensa di aver mangiato troppo se un bimbo nasce troppo grosso, chi si sente inadeguata per avere poco latte o chi si sente responsabile di un aborto precoce e recrimina sull’aver fatto sport o lavorato, ma certe cose capitano e nessuna donna dovrebbe sentirsi responsabile, anzi andrebbe supportata e mai giudicata». Favorire la nascita di così tanti bambini significa portarli tutti nel cuore. «In un certo senso sì, fanno parte di noi ostetriche. Ricordo un evento tragico e come siamo riusciti a trasformarlo. Ero tornata da poco al lavoro dopo la maternità del mio secondo figlio, mi sentivo vulnerabile. Ero di turno quando entra una donna araba bellissima accompagnata dal marito e dalla sua mamma. Sapevano già che il loro bimbo era morto nel pancione. Lei non pronunciava una parola di italiano. Ci si spiegava a gesti. Ho aiutato quella donna a partorire senza smettere un attimo di piangere. Poi il destino ha voluto che fossi di turno tre anni dopo. La vedo entrare in sala parto e la riconosco, anche lei mi cerca con lo sguardo: ha partorito un maschietto sano e vispo, ho pianto ancora ma di gioia, in qualche modo abbiamo esorcizzato il trauma insieme». Le ostetriche parlano di «parto positivo», è il ricordo piacevole della propria esperienza, quello che fa la differenza quando si torna a casa anche nel prevenire le depressioni. Non importa che si tratti di parto naturale o cesareo, l’importante è che sia un’esperienza soddisfacente. Ma come in ogni ospedale d’Italia la ferita da sanare, oggi, si chiama personale. «L’ideale per gestire le gravidanze sarebbe un rapporto one to one con la partoriente. Nei Paesi europei le ostetriche sono il doppio rispetto a quelle che ci sono nelle Maternità italiane». Il non trovare personale qualificato sul territorio o il non potersi permettere un’ostetrica dedicata (privatamente), porta molte donne a rivolgersi a figure non professionali come le doule, che sono di supporto emotivo e pratico ma nulla hanno a che fare con la formazione ostetrica.
C’è da dire che la Lombardia rappresenta un’isola felice. Grazie alla delibera regionale 268 del 2018, se si hanno meno di 40 anni e nessun fattore di rischio, si può essere seguite da un’ostetrica pubblica dall’inizio della gestazione. «In Mangiagalli ci si può affidare alle ostetriche del consultorio Bertarelli di via Pace. Se la gravidanza continua in modo fisiologico il percorso continua con le ostetriche altrimenti sono coinvolti vari specialisti. È un modello che andrebbe riproposto anche in altre regioni, soprattutto in questo momento in cui si sta cercando di recuperare e migliorare la medicina del territorio». La sorpresa è che ora sono le donne italiane a partorire il terzo o il quarto figlio e non più le straniere.