il Giornale, 13 febbraio 2023
Ritratto al vetriolo di Flavia Perina
Non bastavano gli intellettuali di sinistra che spiegano alla destra cosa dovrebbe fare per essere la destra che piace a loro. Ci volevano anche i giornalisti che dottoreggiano su quanto sarebbe seria la destra se a destra ci fossero ancora loro. Come diceva Calimero, «È un’ingiustizia però!». Come si chiamava quel vecchio foglio satirico della Nuova destra? La Voce della lagna. Sono gli scolari bocciati alla scuola della politica che diventano i professorini negli studi dei talk show. Quelli che danno i buoni consigli non potendo più dare il cattivo esempio.
Ottimo esempio di giornalista-intellettuale che addolcendo il proprio passato di destra viene accolta con trionfale complicità a sinistra più sono ex, più sono corteggiati in tv e dai quotidiani rispettabili Flavia Perina gode ultimamente di una rilevanza di commentatore politico che non ha mai avuto prima. Dicendo cose che non ha mai detto prima. Pensando cose che non ha mai pensato prima.
L’abbiamo vista di recente anche a Mezz’ora in più di Lucia Annunziata e si faticava a riconoscerla. E non solo per l’aspetto fisico.
Physique du rôle della camerata dura e pura che in metà di un Ventennio ha cambiato tutto partiti, ricordi, amici, idee in un ribaltamento tanto reiterato quanto autoassolutorio – Flavia Perina, fascino della Virago e fascismo di risulta, più che incarnare una metamorfosi rappresenta una sineddoche (è una figura retorica, ndr). La parte per il tutto. La Perina – «Aoh, guarda che io je volevo bbene alle zecche comuniste!» è la facciata della grande casa della sinistra inclusiva subaffittata ai transfughi della destra già impresentabile. Dove convivono: fuoriusciti dell’An che fu, transfughi di Futuro e Libertà, berlusconiane di ferro per un quarto di secolo e poi, beccate in carfagna, riallineatesi dalla parte delle «cause giuste» secondo i giusti, dal busto del Capo a paladine del corpo delle donne, vecchi pretoriani di Arcore fulminati sulla via di Elio Vito, ex colonnelli votati alla Fiamma e riaccesi d’ardori arcobaleno. È il nuovo fascismo immenso e rosso, de sinistra e à la page.
Del resto, a un certo punto, iniziarono a chiamare «compagno» anche Gianfranco Fini. E l’Unità esaltò Flavia Perina «gramsciana di destra»... Perle gettate a via della Scrofa.
Da Pasolini a Chomsky è da tempo che assistiamo a una rilettura strumentale di pensatori di sinistra da parte della destra. Ora, più bassamente, a un uso strategico di opinionisti di destra da parte dei media di sinistra. Dal passo dell’oca al laghetto delle papere chez Lilli Gruber: è la lunga traversata nel deserto della superiorità antropologica. Infatti Lucia Annunziata presenta Flavia Perina cuore nero e quote rosa – come «una persona conosciuta nel mondo dei giornali perché estremamente articolata» (in che senso? Per il contorsionismo ideologico?), e Concita De Gregorio le tributa l’onore di «donna autentica».
Autentica biografia noir, famiglia missina doc papà Marcello, già volontario nella Rsi, mamma Wilma, dirigente del Partito, e tre fratelli in tutto, i cui nomi sono scritti a caratteri runici nel grande libro della destra romana Flavia Perina è cresciuta sulle ginocchia di Pino Rauti, era militante nell’Msi già a 13 anni, Giovinezza, giovinezza, Ordine nuovo e vecchi motti – «Ex Oriente lux, ex occidente Dux», e lei di Roma Nord, la Balduina degli anni ’70 come il ridotto della Valtellina liceo classico Gaetano De Sanctis, come prof Paolo Signorelli, ideologo della destra radicale, e come amica Francesca Mambro, neofascista dei Nar, e la facoltà di Architettura piantata a metà: poster di Pound, ascia bipenne, Tolkien, Nouvelle droite e Campi Hobbit. La giovane Perina non è una testa pensante, e neanche una leader. Ma sa di grafica. Striscioni, tazebao, «Gandalf è vivo e lotta insieme a noi». Ma sulla mitica rivista Eowyn, femminista ma da destra, così tanto rivendicata ex post, la Perina scrive sì e no un paio di pezzi.
Comunque, fra giornalismo e politica, la carriera di Donna Flavia è una inarrestabile marcia su Roma: parte dal Secolo d’Italia negli anni ’80, epoca Almirante, passa dal Sabato, ciellina per necessità, sotto la direzione di Paolo Liguori, poi di nuovo al Secolo, dal 1990 caporedattore, dal 2000 direttore, in Parlamento dal 2006 al 2013, prima nel gruppo di AN, poi con il PdL, quindi con Futuro e Libertà, dalla sponda Gasparri-La Russa passando per quota Matteoli ad ultra finiana, «Fini, Fini/ il nuovo Mussolini», e poi direttora politica nella parabola che porta il Secolo dagli articoli apologetici su Berlusconi alle bordate anti-Cav, dai pezzi contro l’icona femminista Frida Kahlo alle battaglie per i diritti delle donne, da Patria, Tradizione, Identità a una destra multiculturalista, giustizialista, progressista. E l’Amazzone Nera si trasformò nel camaleonte arcobaleno.
La pretoriana di Vigna Clara segue Fini anche dopo lo strappo con il Signore di Arcore, gli crede quando in lacrime le dice che sulla casa di Montecarlo lui non sapeva niente, dichiara che «I berlusconiani sono più fascisti di noi», e nel 2011, ormai completamente fuori linea, viene invitata a lasciare il Secolo dai vecchi colonnelli. «Che fate, mi cacciate?». Sì.
Ma per i finiani immaginari c’è sempre una seconda vita (l’hanno avuta anche i gerarchi nel ’45, figurati). Per Flavia Perina – nero è bello, ma la sinistra mainstream lo è molto di più c’è un posticino all’AdnKronos e poi in una progressione sempre più progressista una collaborazione col Fatto Quotidiano, Linus, il Post e ora la Stampa, che è il dorso della sinistra radicale di Repubblica. Dove, alternando ospitate a La7, riversa astio e disprezzo sulla destra italiana in tutte le sue sfumature: nazionalista, populista, sovranista e soprattutto meloniana. Solo le donne sanno odiare così tanto una donna, solo i «post fascisti» sanno odiare così tanto i fascisti inesistenti.
Perina l’apostata. C’è apostata per te. Da Rauti alla Gruber, va bene: siamo apostata così. «Frequentavo le camerate, ora i salotti tv, ebbé? Non l’ho fatto mica apostata». «Dài, che vado su Facebook e faccio un apost sulla Egonu e l’Italia razzista...».
Oggi Flavia Perina ha 64 anni, è amica di Paola Concia, si definisce «femminista», ideologicamente molto fluida, «La 194 non si tocca!» – sì giusto, ma tu negli anni ’80 scrivevi articoli contro l’aborto – frequenta la 27esimaora, ed è transitata persino dai Verdi. Certo che passare dai Wandervogel, Julius Evola, Cioran, Berto e Eliade a Ignazio Marino, Benedetto Della Vedova, la Carfagna, Berizzi e Roberto Giachetti (se vinceva, lei diventava portavoce), non è bello. Cosa vuoi? il veltronismo colpisce tutti. Se no, non si capisce perché Italo Bocchino adesso è sempre a Otto e mezzo.
La verità è che quella destra non ha mai smaltito la sindrome della subalternità culturale alla sinistra, un’attrazione così fatale da esserne risucchiata. È la destra plagiata dalla grande stampa che spingeva alla rottura col Cavaliere, quelli che divennero eroi della Patria per un giorno, poi ributtati nella pattumiera della Storia, quelli che la legittimazione intellettuale è solo a sinistra, quelli che – come i giovani dei Guf, redenti dopo un’aspersione alla fonte battesimale del Pci gli basta un’ospitata a Tagadà per essere sdoganati dentro la grande casa del Pd.
Domanda: ma come si può passare dalla militanza rautiana alle pagine dei commenti di Massimo Giannini? Meglio non pensarci e metterci una croce sopra. Celtica.