il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2023
A Sanremo ha vinto Lucio Presta
Il vero vincitore di Sanremo non ha dovuto aspettare la finale: Lucio Presta ha dominato il Festival dal principio. Il re degli agenti tv conduce la kermesse tramite il suo assistito Amadeus, ha piazzato Roberto Benigni per l’ennesimo monologo sulla Costituzione e ha esercitato il monopolio pressoché completo dell’Ariston, visto che nella sua scuderia è passato anche Gianni Morandi. Non bastava: Presta è finito pure nelle foto ufficiali del Quirinale per testimoniare la trasferta sanremese di Sergio Mattarella, di cui è stato regista. Se Sanremo è la gallina dalle uova d’oro della Rai, la Rai è il pollaio di Lucio Presta. Forse salteranno i vertici dell’azienda, ma per lui cambia poco: è al di sopra dei capricci politici. I suoi artisti li preferisce quasi tutti a Viale Mazzini perché così “si occupa un territorio”, come ha raccontato a Claudio Sabelli Fioretti nel 2005: “Se un direttore vuole fare a pezzi un mio artista, deve pensarci bene: se lui oggi fa male a me io domani posso fare male a lui. Voglio che rifletta. Non sono uno che vende spazzole”.
Non vende spazzole ma affitta personaggi: il botto arriva nei primi anni 2000, quando Paolo Bonolis diventa il grande mattatore della tv italiana e fa l’elastico tra Rai e Mediaset. Con lui spicca il volo anche Lucio, ex ballerino di Fantastico negli anni ‘80. Sulla pista da ballo non ha lasciato ricordi indelebili, come agente delle star invece è diventato il migliore. Bonolis e Amadeus, appunto, ma pure sua moglie Paola Perego, Antonella Clerici, Marco Liorni, Ezio Greggio, Lorella Cuccarini, i tour teatrali di Checco Zalone e molti altri.
Il cosentino Lucio Presta è persona dai molti vezzi: nella casa di campagna alleva quattro mucche highlander, quelle col manto peloso come yak; ha un rapporto affettuoso anche con le armi perché “ho subito due rapine e sono il miglior deterrente che conosca”. Non è discreto come lo sono in genere gli uomini di potere, ama rivendicare la sua educazione salesiana, ma la declina in una formula peculiare: “Prima mi vendico e poi perdono”. Si vendica, soprattutto. Chiedere, tra gli altri, a Mario Orfeo e Monica Maggioni: il primo è stato silurato dalla Direzione Approfondimenti, la scorsa estate, anche per la guerra personale che gli ha mosso Lucio, la seconda è finita in black list perché nel 2017 fece chiudere il programma della moglie Perego, dopo una clamorosa gaffe sessista sulle donne dell’est Europa.
Se attacchi Presta, Presta se ne ricorderà. Lo sanno anche giornalisti e critici tv, sottoposti a un regime di monitoraggio quasi militare: chi scrive male di un assistito di Lucio può aspettarsi chilometrici audio whatsapp con le reprimenda di Gina Cilia, la sua più stretta collaboratrice. Forse anche per questo, in genere, la stampa lo tratta con i guanti: si legga l’intervista sul Sole 24 Ore di domenica scorsa, nella quale parla del futuro di Sanremo come se fosse cosa sua. “Ormai è una serie tv. Per crescere, prima o poi, dovrà abbandonare l’Ariston, si dovrà costruire un Palafestival”, profetizza. Il prossimo anno è ancora di Amadeus, e quindi ancora di Presta: sarà la decima edizione condotta da un suo cliente. Lui giura che sarà l’ultima, ma qualcuno pensa davvero che si ritiri a pascolare le vacche, lasciando il dominio tv al suo rivale Beppe Caschetto?
Nel frattempo però Presta ha regalato ai figli le quote di Arcobaleno Tre, la sua società storica, e poco dopo anche loro si sono disimpegnati. Poi c’è stato il pessimo affare di Firenze secondo me, il tremendo documentario con Matteo Renzi. Doveva rilanciare la popolarità dell’ex premier, è finito in un’indagine della procura di Roma, con l’ipotesi di un presunto finanziamento illecito: costato quasi un milione di euro – tra compenso per Renzi e costi di produzione – non ha incassato praticamente nulla. Chi gliel’ha fatto fare? Forse gratitudine e affetto – Presta insieme a Simona Ercolani è stato il produttore della Leopolda nelle stagioni più brillanti, inoltre è conterraneo e grande amico del renziano Ernesto Carbone – o forse l’arte innata di annaffiare le relazioni che contano. Nel 2017 il tentativo di limitare il suo strapotere – e quello di Caschetto – fece approvare in Vigilanza Rai una risoluzione “contro i conflitti di interessi di agenti, autori e conduttori”, poi recepita nel 2020 con una direttiva dell’ex ad Fabrizio Salini. Formalmente è ancora in vigore, nella sostanza è lettera morta: lavorano sempre, quasi solo, quei due.