La Lettura, 11 febbraio 2023
Incipit di "Cassandra a Mogadiscio" di Igiaba Scego (Bompiani)
Amatissima, come si disegna la tua risata?
Disegnerei, se potessi, l’attimo in cui scoppi di improvvisa gioia. Quella tua risata roca, quasi maschile, che con il passare dei secondi si ingentilisce di oro, incenso e mirra.
«Saluta la tua edo», ti ha detto tuo padre. Edo, io, la tua zia paterna. Eravamo insieme quando lo hai chiamato su Messenger. Insieme quando sei sbucata dallo schermo come una Madonna. Insieme quando tu, Soraya, ci hai sorriso.
Tuo padre è di passaggio a Roma. Qualche affare da sbrigare, noi da salutare, amici da rivedere. Moh, il tuo aabo, ha il volo di ritorno per Nairobi tra quindici giorni. È bello averlo intorno come ai vecchi tempi, quando eravamo ancora piccoli, ancora con le ali da mettere sulle spalle come gli angeli.Anche lui come te ride molto, cara nipote. Ma la sua risata è grassa, piena, rotonda, quasi debordante. È rimasta quella di quando, negli anni Ottanta, era un giovanotto alla moda.
Quando Moh andrà via, come al solito mi si spezzerà il cuore, lo so già. Noi sradicati dovremmo essere abituati a questi distacchi,alle lunghe separazioni che sono il pane quotidiano di ogni famiglia migrante. Ma la verità è che non ci si abitua mai a dire addio a chi ami. Lo vorresti sempre accanto. Per specchiarti in ogni momento in occhi così simili ai tuoi. Siamo una famiglia, wahaan nahay qoys, e come tutte le famiglie somale della diaspora siamo dispersi in cinque continenti. Spezzati dalla guerra che ci ha colpito, dagli infortuni, da un’antica dittatura, dalla morte e dall’amore.
E ogni separazione ci distrugge.
Ci disperde.
Ci annienta.
Il tuo aabo vive a Nairobi con tua madre e le tue sorelline più piccole. Invece tuo fratello Sueyb è in Occidente come te, studia ingegneria civile, al contrario di noi due ha una testa matematica.
Tuo padre, e tu lo sai bene, moriva dalla voglia di tornare a vivere in Africa. Era il suo sogno da quando a quattordici anni ha messo piede in quel continente complicato che è l’Europa. Un’Europa che con i maschi neri, e quindi anche con lui, è sempre stata feroce. Nahariis lahan. A volte addirittura assassina. Tuo padre ora è imprenditore e ha comprato una casa a Kileleshwa, quartiere della classe media di Nairobi, e il giorno in cui ha siglato il contratto di vendita dell’immobile indossava il braccialetto con la bandiera del Kenya da cui non si separa mai, per devozione e gratitudine. In Kenya il tuo aabo ha trovato un nuovo sé. O, come lo chiama lui, a place to be.
Io sono qui, a Roma. Sono una donna made in Italy. Unico punto fermo di una famiglia sempre in movimento. Fissa nel luogo in cui sono nata e cresciuta. Abitudinaria come tutti i romani. Immersa in questo Occidente con cui a volte anch’io faccio a pugni.
Tu invece, nipote amatissima, hai vagabondato per un mondo fatto di sentieri e foreste. E oggi sei nel Québec canadese, parli francese come i personaggi di Xavier Dolan annullando le vocali nasali di Parigi, quasi ribellandoti a esse. Torni a parlare francese standard solo con tua madre Naima.
La tua hooyo, Naima, è di Gibuti, ex Somalia francese, oggi luogo di intrighi internazionali e basi militari, di marines statunitensi incappucciati, soldati della legione straniera e basi oblunghe della Cina popolare, e il suo francese sembra uscito direttamente da una canzone di Charles Trenet. Il francese di tua madre è puro fin quasi al parossismo, e i vostri dialoghi si incontrano a metà strada, in un punto imprecisato di quella Francia lontana, quell’Hexagone in cui in questa vita tu non sei ancora mai stata ma che brami come si brama l’amore.
Anche Naima, la tua hooyo, ha una voce roca, da amazzone, ma più profonda della tua, più vissuta. È madre di quattro figli, matrona di innumerevoli costellazioni. Nella sua voce ci sono il travaglio e la speranza che nutre per il futuro di tutti voi. Non sempre quando parla somalo la capisco. Usa parole che non ho mai sentito pronunciare. E poi l’accento, Dio mio: sembra un carro armato. Ma nonostante la durezza del suono mi è sempre piaciuto il ritmo che riesce a dare alle frasi quando parla la lingua della sua intimità. Tua madre danza. Sulle punte, come un’étoile. Facendo ballonzolare i suoi seni grandi. E dondolando la testa come una bambina piena di capricci.