Tuttolibri, 11 febbraio 2023
Su "Notturno francese" di Fabio Stassi (Sellerio)
Partiamo da Notturno indiano il romanzo di Tabucchi cui Notturno francese rende esplicito omaggio dalle prime pagine perché il protagonista lo legge in treno e perché il viaggiatore misterioso che incontra nello scompartimento si chiama Saverio. Come lo Xavier di Tabucchi che veniva cercato in India. La quête di Vince Corso, il personaggio di Stassi, è più contigua. Si svolge da Genova a Marsiglia. Ma al nume tabucchiano si riferisce persino nella fattura del libretto. Stesso editore. Stessa copertina (fondo blu con riquadro). All’incirca lo stesso numero di pagine. Un po’ di capitoli in più, sebbene anche la novella di Stassi brilli per una lingua levigata ed essenziale come i ciottoli sul bagnasciuga. Tutto ciò per dire che Stassi, autore di gentilezza e cultura sopraffina, con la letteratura ci gioca, la dissemina nelle pagine che scrive lasciando indizi che il lettore colto può divertirsi a smascherare come negli indovinelli della Settimana Enigmistica tanto utili per affrontare viaggi su rotaia (come nella Settimana Enigmistica, niente paura!, la soluzione al fondo c’è, insieme a indici di località e stazioni).
Stassi ama anche le coincidenze, le premonizioni, i pronostici. E il suo protagonista, un biblioterapeuta, di questi capricci preordinati dal destino è vittima. Dovrebbe trascorrere un weekend a Napoli con la fidanzata cinese Feng (che, poverina, resta un semplice nome discreto, comprensivo, fatalista come gli orientali) ma sbaglia Frecciarossa e finisce a Milano. Ovviamente incontra una capotreno che gli fa pagare multa e sovrapprezzo perché Trenitalia è implacabile con gli errori altrui (e Stassi un pizzico di ironia lo infila ovunque). Incontra anche un tizio che sembra sapere tanto, Saverio appunto, che gli consiglia di proseguire dove il destino lo vuole sospingere. Verso il mare. E soprattutto verso le proprie radici. Perché Vince è figlio di una ragazza madre che faceva la cameriera d’albergo. È stato concepito all’Hotel Le Negresco di Nizza durante l’amore di una sola notte, ed è cresciuto nelle pensioni della Costa Azzurra dove la genitrice lavorava.
Quel viaggio sempre rimandato è ovviamente la ricerca del padre di cui non possiede nulla, nemmeno il nome, se non un buco nero che ha inghiottito tante energie, e tre libri dimenticati sul comodino della madre dopo l’amplesso fatale, le poesie di Puškin, Un eroe del nostro tempo di Lermontov, e L’uomo che ride di Victor Hugo, «un’eredità involontaria, forse soltanto una sbadatezza» (ecco che la letteratura di nuovo torna, feconda, capricciosa, talvolta sadica, ma infine sempre corroborante).
Ovvio che un maschio del genere che se n’è andato lasciando soli mamma e figliolo lo si immagina nel peggiore dei modi. Uno dei tanti cialtroni che usano le parole per inganni amorosi. Ma l’amore in letteratura può sorprendere, e il lettore lo sarà in questo viaggio indiziario sulla costa mediterranea dove ricordi, cartoline, canzoni, romanzi, sono tasselli di un giallo sentimentale alla ricerca di un padre e delle sue colpe. Certo: ognuno di noi è fabbro nonché complice del proprio destino. Tuttavia capita che si sbagli un treno o si arrivi in ritardo all’appuntamento con l’amore. E, ahimè, nulla va come si sarebbe voluto che andasse. Se le cose si guardano con occhio giusto e pietoso (la pietas che noi poveri umani meritiamo scompigliati come cartoline disperse dal vento), tutto si può comprendere, giustificare con un sorriso, quello che coglie il protagonista nel cimitero marino di Sète, lo stesso di Valéry, dove si conclude la ricerca del genitore perduto. «Mi venne da ridere, come se da quel momento in poi, e per la prima volta da quando ero nato, avessi avuto finalmente il diritto di poter amare senza misura».
Notturno francese è un piccolo gioiello narrativo. Scabro, avvincente, rinfrescante. Dura quanto un viaggio in treno e dei viaggi in treno conserva le caratteristiche, i sobbalzi, gli imprevisti, le malinconie che affiorano e si rispecchiano sui finestrini mentre il paesaggio esterno scorre nella sua indifferente bellezza. In fondo al volumetto (trovata metatestuale) sono riprodotte alcune cartoline vintage che in otto frasi raccontano un amore forse bellissimo, rintracciate in un mercatino delle pulci (perché la sopraffina arte giocosa di Stassi è quella di far baloccare la vita vera con le finzioni della letteratura). Segue anche un lungo elenco di suggestioni letterarie, da Soriano a Izzo che hanno accompagnato la composizione del romanzo. Possono indurre tante altre nuove letture. L’importante è che siano sempre farcite di vita come «pan bagnat», il succulento panino nizzardo imbevuto di condimenti. Sono compagni preziosi, i libri, nel viaggio in cerca di noi stessi, che parte sempre più che da una madre (è scontato, siamo stati nella sua pancia nelle sue cellule nel suo sangue per nove mesi), da un padre, artefice casuale, forse distratto, dell’inizio del nostro destino. Se giungiamo lì abbiamo preso il treno giusto. Il controllore non ci multerà. E rideremo colmi di indulgente amore.