4 gennaio 2023
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Biografia di Maurizio Pollini
Maurizio Pollini, nato a Milano il 5 gennaio 1942 (81 anni). Pianista. Repertorio vastissimo. Virtuosismo prodigioso. Tecnica superba. Eccezionale capacità di analisi del testo • «Sommo interprete del pianoforte. Schivo e riservato. Leggendario anche per i suoi silenzi» (Giuseppina Manin) • «Non suona mai per dirti “guarda come sono bravo”, ma per farti capire come è bella questa musica» (Salvatore Accardo) • «A detta degli esperti, e per quanto valgano certe classifiche, probabilmente il più grande dei pianisti viventi» (Riccardo Lenzi) • Debuttò alla Scala a soli sedici anni, nel corso della sua carriera si è esibito al Piermarini oltre 150 volte. Ha girato tutti i grandi teatri del mondo: New York, Roma, Vienna, Parigi, Tokyo. Ha insegnato alla Scuola di Musica di Fiesole e all’Accademia Chigiana. Creatore di rassegne musicali a tema, come Zeitfluss al festival di Salisburgo. Da sempre innamorato di Chopin, nel 2005 pubblicò un’incisione del ciclo completo dei Notturni, vinse un Grammy Award e il disco d’oro per le 40 mila copie vendute. Nel 2014 ha portato a compimento la registrazione integrale delle 32 sonate per pianoforte di Beethoven (un’impresa iniziata negli anni Settanta, cominciò con le più difficili, finì con le più facili) • Colto e anticonformista, ha sempre espresso pubblicamente le sue idee e il suo impegno civile e politico. Negli anni 70 suonava nelle scuole, nelle fabbriche occupate, nelle periferie. Nel 1972 fu protagonista di una protesta memorabile alla Società del Quartetto di Milano (lesse una dichiarazione contro il bombardamento di Hanoi, la serata finì in rissa). Uno dei primi accorsi al capezzale di New York, pochi giorni dopo l’11 settembre 2001, volle portare - con la sua musica – la solidarietà personale e di tutta la cultura europea. Nel 2006 ha offerto a Milano un concerto «a difesa della Costituzione». Si è espresso contro Berlusconi, Salvini e la Meloni. Dice: «In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria». Eppure, nonostante non abbia paura di dire a tutti come la pensa, non dice mai una parola sulla sua vita privata, tanto che di lui si sa pochissimo. «Se dovessi raccontarmi nel profondo, a parte che non ci riuscirei, mi sentirei ridicolo”. Perché? “A chi dovrebbe interessare il Pollini uomo? Non sono uno spartito che deve essere letto e studiato. La vita e la musica seguono strategie diverse ed è raro che si incontrino”» (Antonio Gnoli, Robinson 27/12/2016).
Titoli di testa «Che il Maestro sia un perfezionista, non c’è dubbio. Per esempio, sull’aria condizionata: difficile trovare il giusto equilibrio tra caldo e freddo, questione di qualche centesimo di grado e infinitesimali percentuali di vapore acqueo. È in un hotel di San Casciano dei Bagni (Siena) dov’è in vacanza con pianoforte a coda al seguito. Problema: scegliere la stanza dove fare l’intervista. Soluzione: prima ci ha condotto in un salottino sul retro, dove però c’era puzza di fumo e una temperatura troppo elevata, oltretutto la filodiffusione sparava canzonette senza tregua: “No, qui non va bene. Quest’estate la Toscana è una sauna” sbuffa Maurizio Pollini. Quindi siamo andati al bar dove però le bocchette bombardavano dal soffitto fiotti di aria gelata, quindi ha inarcato le sopracciglia: “Sembra di stare in un frigo, cerchiamo un altro posto”. Poi siamo usciti sulla terrazza che si affaccia sulle colline toscane, ma l’umidità era eccessiva e le zanzare pericolosamente fameliche. La strada verso la perfezione è disseminata di ostacoli. Stavamo ormai disperando di portare a casa l’intervista, intanto seguivamo il Maestro in bermuda lungo gli interminabili corridoi dell’albergo. Sarà stata suggestione, ma ci ricordavano quelli dell’Overlook Hotel di Shining. Ed ecco l’illuminazione: “Andiamo dove studio e tengo lo strumento, se fa troppo freddo spegniamo il climatizzatore»” (Carlo Piano, Panorama 24/8/2012).
Vita Figlio unico. Nato in una colta famiglia milanese, animata dai soliti saldi valori delle colte famiglie milanesi: il pragmatismo professionale, il rigore intellettuale, l’amore per l’arte, la passione civile • Il padre, Gino Pollini (1903-1991), è architetto, uno dei fondatori del movimento razionalista italiano, autore della fabbrica Olivetti di Ivrea. «Fu un grande progetto. Un giorno mi portò a vederlo. Mi sentii orgoglioso per lui. Orgoglioso di quella mano che stringeva la mia» • La madre, Renata Melotti, è musicista, sorella dello scultore Fausto Melotti (1901-1986), tra gli esponenti più importanti dell’astrattismo italiano • «Da chi ha ereditato la passione per la musica? “Da tutta la famiglia. Mio padre amava il violino, mia madre suonava il pianoforte e cantava, lo zio Fausto era melomane. La musica era nel dna familiare, e c’era una tendenza verso la modernità; i miei amavano Debussy, Ravel e Stravinsky, vi era in casa un interesse per tutte le arti”» (Giuseppe Videtti, Rep 12/2/2018) • Il piccolo Maurizio, senza rendersene conto, assorbe quel clima di rigore intellettuale. A cinque anni, i suoi lo mettono alla tastiera. A nove, la prima esecuzione pubblica, nel salotto di casa. «Quando andò al primo concerto? “Avevo credo dieci anni, mi nascosi in un palco della Scala. I bambini non erano ammessi. Toscanini dirigeva Wagner. Non ero maturo e non compresi pienamente, ma sentivo che quel mondo poteva essere anche il mio”» (Gnoli) • La madre lo manda a lezione da Carlo Lonati e Carlo Vidusso, noti pianisti dell’epoca. «Si racconta che durante un’edizione di un concorso musicale, Vidusso impossibilitato a suonare avesse proposto alla giuria di far eseguire il suo pezzo a Pollini, che all’epoca aveva quattordici anni. I giurati acconsentirono e rimasero sbalorditi dall’esecuzione del ragazzino, che eseguì la partitura a memoria» (Post) • Nel 1958, il giovane Pollini debutta alla Scala. Sotto la direzione di Thomas Schippers, esegue la Fantasia per pianoforte e strumenti a corda di Giorgio Federico Ghedini. Ha solo sedici anni • Due anni dopo, affronta il prestigioso Concerto pianistico di Varsavia. «Fu una specie di torneo con un’ottantina di concorrenti. Durò tre settimane». Studia moltissimo, arriva preparatissimo. «Sì, ma non con l’idea forte di vincere né di fare una carriera. Tutto fu fatto in uno stato di relativa ingenuità» • Scrive Alberto Sinigaglia «Quel ragazzo o sarebbe diventato il più grande pianista del mondo o “sarebbe finito in manicomio”, pensò Piero Rattalino, storico del pianoforte. Presentarsi al concorso di Varsavia con i quattro più impervi Studi di Chopin era una scelta di coraggio estremo. Maurizio Pollini, diciottenne milanese, nel 1960 vinse il primo premio: “Tecnicamente ci sorpassa tutti”, esclamò il presidente della giuria Arthur Rubinstein» • Racconta lui: «“Vincere fu una vera sorpresa”. Ma non per coloro che l’ascoltarono. Restò celebre l’elogio che le riservò Rubinstein. “Si è molto esagerato e travisato sulla frase che pronunciò”. Cosa disse esattamente? “Che tecnicamente suonavo meglio dei componenti della giuria. Credo che volesse prenderli in giro più che farmi un elogio. Comunque apprezzai”. Non le disse altro? “Mi parlò dell’importanza pianistica che ha il peso del dito medio. Per farmi capire lo premette sulla mia spalla e aggiunse: io suono sempre con questa forza ed è il motivo per cui non mi stanco mai. Si trattava di un consiglio tecnico”. C’è un’immagine che la ritrae mentre scende dall’aereo di ritorno da Varsavia avvolto da un bavero di pelliccia. “Faceva freddo a Varsavia. All’aeroporto di Milano c’erano ad accogliermi autorità e giornalisti. Improvvisamente divenni un personaggio pubblico. Cominciarono a invitarmi da tutto il mondo”. Come reagì? “Non ero assolutamente preparato all’impatto. Decisi perciò di cancellare gli impegni e di ritirarmi dalle scene per un paio di anni. Volevo dedicarmi allo studio”» (Gnoli) • Sinigaglia: «Il ragazzo intensificò il lavoro che l’avrebbe collocato tra i maggiori interpreti fra Novecento e Duemila. Con rigore, metodo, curiosità, sensibilità. Anche con qualche “vera follia”: come quell’eseguire a memoria, nei primi anni Settanta, Klavierstück X di Stockhausen alla Scala, la Seconda Sonata di Pierre Boulez all’Unione Musicale di Torino, i due Concerti di Bartók con Abbado, l’integrale di Schönberg che allora “quasi nessuno conosceva”» • «Maestro, perché non ha mai composto? “Vorrei saperlo anch’io. Ho studiato composizione, però non ho mai scritto niente”. E non ama neppure improvvisare? “No, non improvviso mai. Ma non ho preconcetti su chi improvvisa, io non lo faccio e basta. Preferisco così”. Certo che lei non è un uomo di tante parole. “Sì, lo so. Una volta un giornalista inglese mi disse: ‘Parlare con lei è come cavare sangue da una pietra’”» (Piano).
Amori Sposato dal 1968 con Marilisa, anche lei pianista, incontrata a undici anni durante una «lezione di armonia». Allegra e solare, quanto lui è introverso e silenzioso. La vide e non la lasciò più.
Figli Uno, Daniele (n. 1978), pianista pure lui, formato all’Accademia di Imola.
Denari Contrario all’idea che la cultura debba produrre denaro. «È un criterio assolutamente folle, che viene applicato da noi perché la mentalità capitalistica porta a questo» (Piano).
Impegno «Può apparire strano oggi, vista la riservatezza, il suo passato impegno politico. Come giudica o ricorda quel periodo immediatamente dopo il Sessantotto? “Non fu un impegno politico, fu un impegno civile. L’indignazione nasceva per quello che stava accadendo a livello internazionale con la guerra del Vietnam, ma anche per le posizioni repressive messe in campo dall’Unione Sovietica”. Con Luigi Nono e Claudio Abbado deste vita a una stagione di impegno. Irripetibile? “Direi di sì. Paolo Grassi ebbe allora l’idea di una serie di concerti alla Scala per studenti e lavoratori. Andammo avanti per alcuni anni con una qualità altissima. Non hanno avuto nessun seguito. Di qui la delusione”. Ha un significato per lei la politica? “Dovrebbe tendere al bene comune. Accade il contrario”» (Gnoli).
Delusione «La musica è sempre una buona cura, compensa anche le delusioni politiche e i problemi sociali ma fino a un certo punto. Qualche volta arrabbiarsi è inevitabile» (Videtti).
Curiosità È Cavaliere di Gran croce • Non si è più esibito in Russia da quando Putin è andato al potere. «E non lo farò finché ci resterà» • Ogni giorno, suona almeno per quattro ore («Certe volte di più») • Abita nella stessa casa, in centro a Milano, dal 1970. Racconta la moglie: «Ricordo ancora le liti con i vicini nel vecchio appartamento, a loro poco importava che mio marito si esibisse alla Carnegie Hall» • Spesso in giro per il mondo. «Nella scelta dell’hotel per Maurizio Pollini è fondamentale che gli lascino portare il suo pianoforte, mica uno qualunque: uno Steinway & Sons lungo quasi tre metri. In tanti dicono di no, un po’ come succede per i cani» (Piano) • Ogni anno, passa un mese intero senza toccare i tasti • Quando non suona, ama passeggiare • Gran lettore • «Quando leggo sono metodico. Mi piacciono le grandi architetture letterarie» • Ha letto l’intera Comédie Humaine in francese, poi tutto Proust, poi Shakespeare in inglese • «Quando mio figlio cominciò il greco, lessi tutto il teatro greco in greco antico. Per mesi ci siamo contesi il Rocci. Ho anche studiato tutte e duecento le cantate di Bach. Non dico basta se non ho finito» • Guarda poco la tivù. Non ha il cellulare, né il computer. In casa sua non c’è nemmeno la connessione a Internet. «Talvolta nostro figlio che usa il telefonino e il computer mi cerca delle informazioni e mi fa ascoltare da questi apparecchi della musica di cui sono curioso. Ma si sente così male!» (Sandro Cappelletto, Sta 30/1/2020) • Festeggerà l’81° compleanno come sempre, in famiglia • Ha da poco dichiarato di sentire «una certa fatica» • Nel 2022 doveva esibirsi a Torino per raccogliere fondi per gli alluvionati delle Marche. Ebbe un malore, dovette annullare tutto. «Adesso è passato, sto bene, mi sono ripreso» • «I pianisti invecchiano, certo, ma dalla loro hanno un ottimo antidoto, la musica. Suonare ogni giorno per ore e ore fa meglio dell’andare in palestra: tiene sveglio il cervello, agili le mani. Alla tastiera passano i dolori, si dimenticano gli anni. Soli, immersi nella musica, il tempo si ferma. A volte persino va indietro e si torna giovani» • «Bilanci del passato? “Il passato mi interessa poco. Certo, qualche ricordo me lo tengo caro, le estati in Sardegna, le notti bianche a Pietroburgo, per canali a mezzanotte con il cielo ancora chiaro… Istantanee preziose, ma ripeto, non mi piace guardare indietro. Il futuro è più interessante”» (Manin).
Titoli di coda «L’intervista è finita e Maurizio Pollini ci accompagna fin nella hall: “Adesso la saluto” si accomiata. “Scusi, ma qui l’aria condizionata è davvero troppo alta”» (Piano).