Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 05 Giovedì calendario

Biografia di Andréa Ferréol

Andréa Ferréol, nata ad Aix-en-Provence (Francia) il 6 gennaio 1947 (76 anni). Attrice. «Formosa e piacente, rassicurante e cordiale, si è rivelata con La grande bouffe (1973, La grande abbuffata) di Marco Ferreri, unica donna dell’orgia di cibo e sesso, in un cast di celebri seduttori dello schermo (da Ugo Tognazzi a Marcello Mastroianni a Michel Piccoli). È stato questo uno dei suoi pochi film da protagonista: in seguito ha affrontato in prevalenza ruoli di sapida caratterista, a volte con un accenno di morbosità, e sempre diretta da ottimi registi, da Rainer Werner Fassbinder a François Truffaut, da Francesco Rosi a Ettore Scola, da Mario Monicelli a Peter Greenaway» (Treccani).
Vita Pronipote del poeta Frédéric Mistral, figlia di Paul Ferréol (1918-1997), assicuratore ed esponente di Francia Libera, e di Aurélie Darbon-Gondrand (1919-2008) • «Dopo aver studiato recitazione ad Aix-en-Provence sotto la guida di Jean-Laurent Cochet, fece numerose esperienze teatrali nelle quali dimostrò temperamento e capacità e quindi esordì nel cinema con il film La scoumoune (Il clan dei marsigliesi ‒ Lo scomunicato, 1972,) di José Giovanni. Il successo internazionale di La grande bouffe, in cui risultava valorizzata la sua bellezza opulenta, ne fece un’attrice molto richiesta. In seguito, tuttavia, non è riuscita a ripetere il successo del personaggio che Ferreri aveva costruito per lei, offrendole la possibilità di riproporre alcuni luoghi comuni dell’erotismo maschile con gusto spregiudicato. In patria è stata la logorroica Noémie, brutalmente assassinata da tre criminali, nel feroce Le trio infernal (Trio infernale, 1974) di Francis Girod; in Germania ha impersonato la petulante Lydia in Despair (1977) che Fassbinder ha tratto da un romanzo di Nabokov; ma è soprattutto in Italia che le sono stati offerti i ruoli più congeniali, soffusi d’affettuoso erotismo, dolenti e spiritosi allo stesso tempo. Si è fatta notare in Scandalo (1976) di Salvatore Samperi, con Lisa Gastoni e Franco Nero, e si è distinta poi, accanto a Giancarlo Giannini e Goldie Hawn, in Viaggio con Anita (1979) di Monicelli. Ha ricoperto un ruolo breve, ma scabroso in Die Blechtrommel (Il tamburo di latta, 1979) di Volker Schlöndorff dall’omonimo romanzo di Gunter Grass e ha interpretato una costumista lesbica in Le dernier métro (L’ultimo metrò, 1980) di Truffaut. In Tre fratelli (1981) di Rosi è stata la moglie del giudice impersonato da Philippe Noiret; ha recitato quindi in un ruolo di spicco, accanto a Ornella Muti e Ben Gazzara, in La ragazza di Trieste (1982) che Pasquale Festa Campanile ha adattato da un proprio romanzo. In Il mondo nuovo noto anche come La nuit de Varennes (1982) di Scola, imperniato sulla tragica fuga di Maria Antonietta e Luigi XVI a Varennes (21 giugno 1791), è stata particolarmente convincente nei panni della vedova Adelaide Gagnon, soggiogata dal consunto fascino di un ormai vecchio Casanova. Nel film di Greenaway A zed & two noughts (Zoo di Venere, 1985) ha interpretato una donna mutilata di una gamba e amante di due gemelli; ha poi preso parte a Sans espoir de retour (Strada senza ritorno, 1989), irrisolto noir di Samuel Fuller. Nel cinema italiano è sempre rimasta particolarmente attiva: nel 1989 è stata Teresa in Lo zio indegno di Franco Brusati e ha dato il suo volto a Pica, la madre del “poverello” d’Assisi, in Francesco (1989) di Liliana Cavani. Negli anni Novanta ha offerto una buona prova nel ruolo dell’asfissiante Marguerite, giocato su toni d’irresistibile comicità, in Sono pazzo di Iris Blond (1996) di Carlo Verdone; successivamente ha diradato la sua presenza sul mercato italiano per lavorare essenzialmente in patria, sia per il cinema sia per la televisione» (Francesco Costa) • «Nel 1973 aveva 26 anni. Era l’anno in cui La grande abbuffata, il film diretto da Marco Ferreri, fu presentato in concorso alla ventiseiesima edizione Festival di Cannes. Era la maestrina che, offrendo le sue grazie, accompagnava al suicidio esistenziale-fisiologico Mastroianni, Noiret, Piccoli e Tognazzi. Il suo ruolo non fu preso bene in Francia. Fu addirittura minacciata. C’è chi, dopo averla vista al cinema, disse di vergognarsi di essere francese. “Un altro film come La grande abbuffata in Francia è impossibile, siamo stati tutti inquadrati, siamo diventati politicamente corretti”» (Dario Fasano) • «La grande abbuffata di Marco Ferreri cambiò la vita ad Andréa Ferréol. Non solo perché dovette ingrassare venti chili, ma perché “da sconosciuta sono diventata conosciuta. Mi ha aperto le porte del cinema italiano prima e di quello europeo poi”, dichiara in italiano fluente, con cadenza che mescola partenopeo e romano. Sarà per le frequentazioni dei set italiani. Il primo nel 1974 con Donna è bello di Luigi Bazzini. Per continuare con Viaggio con Anita di Mario Monicelli, Tre fratelli di Francesco Rosi, La nuit de Varennes di Ettore Scola, Francesco di Liliana Cavani, per citarne alcuni. Anni ricordati con bellezza ed entusiasmo, perché quei registi “erano dei signori e adoro gli italiani, sono esuberanti. Quando viaggi, senti ridere qualcuno e ti giri, chi vedi? Italiani. Portano la vita ovunque”, sorride. Vitalità bilanciata dai set dove non si sentiva girare una mosca, quelli di François Truffaut, con cui lavorò per L’ultimo metrò. “Era molto rispettato sul set. Dava del lei a tutti. Aveva le idee chiare. Si lavorava molto d’anticipo, arrivati sul set non c’era più niente da dire”. Della Grande abbuffata ricorda cene sul set e fuori dal set, “attori gentlemen. Anche se si vedono scene di nudo e sesso, non era pornografia, ma immagini forti per colpire il pubblico e le menti”. Il suo ruolo era quello di una maestra, “donna, madre, amante che sta accanto agli uomini con dolcezza. Un angelo della morte”» (Daniela Morandi) • «Andrea Férreol fu la donna di cuori in mezzo a quattro assi – Piccoli, Noiret, Mastroianni e Tognazzi – i quali, per confondere ancora di più le idee, conservarono nel film il loro nome di battesimo. I cinque attori ne uscirono vivi, senza traumi apparenti. “Maria Schneider, che mi era amica, non è sopravvissuta a Ultimo tango a Parigi. Si disperava perché la ricordavano soprattutto per la scena del burro” racconta l’attrice in perfetto italiano. “Io invece ce l’ho fatta. Se sei una persona fragile, il successo che ti danno film come questi può diventare una maledizione. Io su quel set diventai attrice e donna. A quel film devo tutto. Quando Ferreri mi scelse ero una ragazza borghese del sud della Francia che faceva i primi passi nel cinema. Avevo venticinque anni. Il copione non mi aveva per nulla scioccata”. Così finì anche lei rinchiusa per più di tre mesi in una villa dell’elegante sedicesimo arrondissement, oggi demolita. […] Al debutto di Cannes (dove vinse il Premio della critica internazionale) la platea lo fischiò. “Per la proiezione in Sala Grande indossavo un abito molto castigato. Ricordo che quando le luci si accesero guardai subito mio padre e lui mi fece un segno con il pollice in su. Ma con Ferreri e gli altri fummo costretti a uscire sulla Croisette accompagnati dalla Garde Républicaine. Il pubblico era furibondo. La gente gridava “a causa vostra ci vergogniamo di essere francesi”. Quella sera fu difficile trovare un ristorante che ci accettasse. Per anni, ogni volta che entravo in un luogo pubblico c’era gente che si alzava e se ne andava. Ci furono polemiche feroci e discussioni infinite”. Ma l’atmosfera sul set non era scabrosa come le scene che si giravano. “Ricordo Marco Ferreri sempre agitato. Urlava molto, troppo, e troppo spesso con il suo assistente. Ma i miei quattro uomini erano dei veri signori. Vivevamo nella villa. Gli amici venivano a trovarci per finire tutta quella roba da mangiare. Ogni sera a fine riprese vedevamo il girato. Per il film avevo dovuto prendere venti chili in due mesi. Avevo un’estetista che mi faceva continui massaggi al viso per non farlo gonfiare. Ero seguita da un dietologo, facevo esami clinici in continuazione e sul contratto era scritto che a fine riprese la produzione mi avrebbe pagato una cura dimagrante, della quale non ebbi bisogno perché me la cavai da sola. Ma una sera, durante la proiezione delle scene di giornata, notai il mio grosso culo, vidi tutta quella ciccia. Non ero più io. Ero enorme, mi facevo orrore. Ebbi una crisi di pianto. Per consolarmi i miei quattro uomini, meravigliosi, mi fecero uscire dalla claustrofobia della villa e mi portarono a cena fuori. Eh sì, mangiavamo sempre, sul set e fuori dal set”. Tognazzi cucinava davvero? “No, ma la cucina lo appassionava. I piatti arrivavano tutti i giorni pronti da Fauchon. Buonissimi, sempre molto pesanti. Pizze, polenta, gratin, timballi, arrosti, torte. Ricordo che, dopo la morte cinematografica di Marcello e quella di Michel, accompagnata da quel lunghissimo peto, toccò a Ugo. La sua scena finale era davanti a una torta a forma di basilica di San Pietro. Fauchon la mandò dolce, ma Ugo non ce la fece a mangiarla. Non amava lo zucchero. Tanto che Fauchon dovette rifarla salata. Anche Philippe, l’ultimo a morire, il lunedì mattina tra le mie braccia su una panchina del giardino, dovette ingollarsi una torta a forma di tette. Era più bella che buona. A cineprese spente sputò tutto, poverino”. Tognazzi muore mangiando San Pietro mentre Andrea, con lo sguardo di madre pietosa, lo masturba. “In quelle scene Ugo si infilava una banana nella patta. Marcello invece... Marcello è stato l’unico ad avere avuto un’erezione durante le riprese. Fu nella scena in cui mi prende da dietro”. Che notizia, signora. “Nulla di cui vergognarsi e adesso posso anche dirlo. Eravamo tutti molto professionali. Nessuno, dico nessuno, neanche nella scena della statua – quando Marcello con una mano tocca il mio sedere e con l’altra quello della ragazza di marmo – mi ha mai sfiorata. Quando mi accorsi che a Marcello stava accadendo qualcosa feci finta di niente per non metterlo in imbarazzo. Chiara era appena nata e in quegli anni lui viveva a Parigi con Catherine Deneuve. Ma il più protettivo fu Piccoli. Sul set, a un certo punto, arrivò una fotografa di Playboy. Io non ne volevo sapere, ma quella era sempre lì: “Quando vuole, mademoiselle, appena si sente pronta...”. Mi ossessionava. Michel andò da Ferreri e gli disse: “Se non se ne va io non recito più”. Fu l’unico a capirmi, e l’unico a difendermi”» (Laura Putti) • «Oggi è sempre più difficile avere ruoli, pensate che il mio agente inglese mi ha scaricato quando ho compiuto 50 anni. In Francia faccio un po’ di teatro, molta televisione, organizzo un festival nella mia città natale, Aix en Provence» • È stata l’ultima compagna dell’attore egiziano Omar Sharif (1932-2015), a cui è stata legata per dieci anni.