9 gennaio 2023
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Biografia di Mario Capanna
Mario Capanna, nato a Città di Castello (Perugia) il 10 gennaio 1945 (78 anni). Politico. Presidente della Fondazione diritti genetici e del Corecom Umbria.
Titoli di testa «Mi volto indietro solo per guardare avanti»
Vita «Mio papà è morto giovane: avevo sei anni e la mia ultima sorellina aveva appena un anno, il maggiore 18 e faceva il meccanico. Poi avevo una sorella maggiore e altri due fratelli, anche loro più grandi. Ho fatto le elementari in una piccola frazione di Città di Castello, Badia di Petroia. Mi piaceva studiare: ho sempre pensato che tutto quello che immagazzinavo nella testa nessuno me lo poteva rubare. Ma soldi ce n’erano pochi, e il mio destino era fare il meccanico: tra l’altro a me non dispiaceva, in officina passavo tanto tempo. Ma la maestra parlò con i miei: “Dovete fare studiare Mario, a qualsiasi costo”. Li persuase. Così ho fatto le medie e dopo il liceo classico Plinio il giovane a Città di Castello: ero molto bravo nelle materie umanistiche, meno in matematica. Dopo la maturità, il prete del paese e il vescovo mi dissero che dovevo andare alla Cattolica. Io pensavo di iscrivermi a Perugia, era più facile. Ma non ne vollero sapere, e così la Cattolica fu. Partii con una valigia verde e molte aspettative. L’esame di ammissione era molto difficile. In commissione c’era Lidia Menapace, poi tenace femminista. L’esame serviva non solo per essere ammessi all’Università, ma soprattutto per entrare nel collegio Augustinianum, la mia unica possibilità per restare lì» [a Silvia Truzzi, Fatto] • Studia molto. Per restare in collegio bisogna avere la media del 30: «La cosa mi atterriva: i miei non avrebbero potuto mantenermi. In più entrando in collegio percepivo il presalario, in quanto figlio di una famiglia non abbiente: erano trecentomila lire l’anno, che mi servivano per i libri, l’iscrizione, senza dover gravare sui miei. Non studiavamo solo le materie d’esame. Di notte, di nascosto, studiavamo Marx e i teologi di frontiera: Schillebeeckx, Rahner, Bonhoeffer, che fu ucciso dai nazisti. Eravamo attratti dal clima del Concilio Vaticano II, è in quelle notti che nascono i primi germi della contestazione» [ibid.] • Nell’agosto del 1967 il Senato accademico raddoppia le tasse: «C’erano allora tantissimi studenti lavoratori, non solo rampolli della buona borghesia. Sospettavamo che questi soldi servissero per creare una barriera sociale e per finanziare l’espansione dell’Università: la facoltà di agraria a Piacenza, Medicina a Roma. Cosa che in effetti era ed è accaduta. Chiediamo di vedere i bilanci: come se avessimo chiesto al rettore di presentarsi nudo a messa. Allora ci mettiamo a volantinare davanti all’Università con i megafoni. Io avevo un impermeabile di quelli lunghi, che mi aveva prestato un prete. Quando avevo finito di parlare, il rettore mi chiedeva il microfono e avvisava tutti: “Guardate che non è un prete, è uno studente”. Il 17 novembre, in Aula magna, una selva di mani vota per l’occupazione. Alle 3, quella stessa notte, arriva la polizia, guidata dal rettore. La Cattolica non era mai stata violata, neanche in vent’anni di regime. Noi opponiamo resistenza passiva, ci mettiamo a leggere la Costituzione: quando quello che leggeva veniva preso dalla polizia, passava il libro a un altro, che continuava a leggere. Immediatamente scatta l’espulsione dal collegio: non sapevamo dove andare a dormire. Poi facciamo un presidio con le tende in piazza Sant’Ambrogio» [ibid.] • Il 5 dicembre una nuova occupazione e l’espulsione: «A Michelangelo Spada, a Luciano Pero e a me arriva una lettera di ammonizione. Ci chiedono, davanti al Senato accademico, una specie di abiura. Diciamo no, ci trasferiscono d’ufficio all’università Statale più vicina. Mia madre aveva fatto la terza elementare, i miei fratelli la quinta. Quando arrivano le prime notizie, in paese la gente comincia a parlare. La stampa poi non è favorevole. Mia madre al telefono mi diceva: “Mario, cerca di essere prudente, capisco tutto, ma insomma...”» [ibid.] • Nel 1968 la riforma Gui, la numero 2314 del 1965, accende le proteste studentesche: «Appena tra di noi si diceva “23 e 14”, si alzavano grida indignate. Ponevamo la questione dei contenuti dei programmi di studio. La scuola, le università erano luoghi di trasmissione del sapere dominante, un sapere libresco che educava alla soggezione. Volevamo discutere con i docenti di cosa ritenevamo meglio ci fosse insegnato. Inaudito, no? Grazie alle nostre lotte, insieme a quelle operaie, abbiamo ottenuto la famosa liberalizzazione degli accessi all’università. Il guaio è che hanno liberalizzato gli accessi all’Università senza prevedere una serie di strumenti fondamentali: biblioteche, laboratori, campus, presalari. Il disastro fu lì. Poi è ovvio che arrivarono un sacco di persone che pensavano di fare l’Università per trovare un lavoro e far soldi e a cui non fregava nulla di sapere o di studiare» [ibid.] • Il 7 dicembre 1968 guida la contestazione alla prima della Scala. Alberto Mattioli sulla Stampa: «Le sciure milanesi entrarono in teatro per il Don Carlo di Verdi diretto da Claudio Abbado con le pellicce imbrattate dal lancio di cachi e uova, che peraltro, come raccontò poi Capanna, non erano affatto marce» • Il 2 dicembre ad Avola, in provincia di Siracusa, la polizia spara su un corteo di 10.000 braccianti uccidendone due e ferendone decine e decine. Un deputato del partito comunista di allora raccoglie 3 kg di bossoli e li porta in parlamento. «Questa cosa crea indignazione massima in tutta Italia, il giorno dopo noi prontamente organizzammo un corteo sotto la questura dicendo “Assassini!”. Allora ci viene quest’idea farlocca di andare alla Scala, tra l’altro ricordo come se fosse adesso uno studente che issava fieramente in alto un cartello che diceva “I braccianti di Avola vi augurano buon divertimento”, ci fu lancio di uova e varie, si capiva che la polizia e il filo stava per spezzarsi. L’idea allora, avevo il megafono e ho detto “proviamo a fare un comizio rivolto a loro” e venne fuori questa roba del tutto spontanea, come comincia il comizio i lanci di uova si fermano, tutti si raggruppano ad ascoltare ciò che dicevo, in sostanza il discorso era semplicissimo, dissi: “Guardate che noi siamo qui perché difendiamo i diritti nostri e della povera gente e dei lavoratori, voi siete dei lavoratori che per un salario misero vi fanno stare qui al freddo a proteggere quei ricchi tutti in smoking, le donne con le pellicce ed i gioielli ecc ecc, e vi hanno ordinato di sparare là giù ad Avola. Poiché il 74% di voi vengono dal sud e dalle isole, vi rendete conto che quando sparavate ci poteva essere tuo padre, tuo zio, tuo fratello tra quei lavoratori, e questo per due soldi che vi danno. Lottate con noi per cambiare il nostro paese, perché questi scempi finiscano ecc”» [Ficola, Bellucci e Pacioselli] Al che nota «un agente, rigido sull’attenti nella fila, giovane, avrà 22 anni, alto e magro come uno stecco, con le lacrime che gli scendono. Lo abbraccio forte. Mentre lo stringo, lo sento mormorare: “Sono di Lentini”. Lentini è un grande centro agricolo, a un tiro di schioppo da Avola...» [Mario Capanna, Formidabili quegli anni] • «A 25 anni era carismatico, vestiva con l’eskimo e fumava in continuazione Marlboro, rappresentava la forza di piazza unita a un’autonomia intellettuale che nessuno degli altri leader ebbe» [Liuzzi, Fatto] • «Se non vi erano momenti di lotta o di assemblea erano momenti bellissimi di svago, di amore, di gioia di stare insieme. È vero, noi ci siamo divertiti da pazzi anche se le lotte furono faticose e costarono prigione, processi e denunce. Però era impagabile. Quella che nel Settecento veniva chiamata la felicità pubblica che si ha quando le persone si mettono insieme. Ognuna pensa con la propria testa, ma si agisce insieme» • «Il 24 marzo 1968 conduce un corteo non autorizzato di qualche migliaio di studenti a largo Gemelli, e trovandosi circondato dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa provocatoriamente intima loro: “Vi diamo cinque minuti per sciogliervi”, rifacendo il verso alla classica intimazione che i questori facevano ai dimostranti prima di ordinare la carica delle forze dell’ordine contro i cortei. La zuffa che ne segue diventa nota come il massacro di largo Gemelli: 60 fermati, altri 51 denunciati a piede libero e 31 agenti feriti» [Wikipedia] • L’11 marzo 1969 partecipa con alcuni compagni alla sessione di esame del professore Pietro Trimarchi, l’unico che ancora scriveva sul libretto i voti negativi. Dopo varie contestazioni fa irruzione la polizia: «Chiude tutto, prende il professore, lo porta fuori e noi in corteo dietro a dire “Vergogna, mette il voto negativo!”. Dopo un paio di mesi vennero fatti i mandati di cattura per 14 di noi me compreso, ed è il primo arresto per l’appunto dei tre che ho subito. Prigione, sciopero della fame per 12 giorni e 12 notti perché volevano fare il processo in autunno ma noi lo volevamo subito. Ed è in prigione che c’è il famoso corteo in segno di solidarietà» • «C’è la bomba in piazza Fontana, e la stessa Unità, organo del Pci, a tutta pagina titola un equivoco: “Sia fatta luce”. Come se davvero potessero essere stati gli anarchici e non i fascisti. Poi Pinelli “cade” dalla finestra, Valpreda viene arrestato. Il 16 gennaio indiciamo la prima manifestazione: nessuno, nemmeno il Pci, aveva osato mettere il naso in piazza. La Questura ci chiama e ci dice che se avessimo fatto il corteo ci avrebbero fatto a pezzi. Allora decidiamo di spostarla al 21: il divieto riguardava la manifestazione del 16, se ci avessero vietato anche quel giorno, si sarebbe sancita la sospensione dei diritti costituzionali. Mettiamo in prima fila i professori della Statale – Geymonat, Paci, Dal Pra, Berengo – e subito dietro i giornalisti democratici: Scalfari, Bocca, la Cederna, Bruno Ambrosi della Rai che prese tante botte dai Carabinieri per novanta giorni d’ospedale con fratture ovunque. Pensavamo che questi due cordoni impedissero le cariche: i giornalisti agitavano le tessere stampa e le prendevano di santa ragione. Resistemmo, con vigore. A quel punto tutta la Milano democratica è con noi: perfino il Corriere della Sera ci rende l’onore delle armi. Il 31 gennaio facciamo un altro corteo e naturalmente la polizia sta ferma. Per la prima volta risuona il grido: la strage è di Stato, Valpreda è innocente» [Truzzi, cit.] • Nel settembre del 1970, il settembre nero, conosce Arafat: «Andai ad Amman, in Giordania, inviato al congresso degli studenti palestinesi. Vidi dal vivo cos’era la guerra, un’esperienza sconcertante. Il primo grande massacro di rifugiati palestinesi. L’ultimo giorno arrivò Arafat, armato fino ai denti, accolto da una grande ovazione: dopo aver posato il kalashnikov sul tavolo, fece un discorso bellissimo. Poi l’ho incontrato tante volte, ho volato con lui sul suo aereo. Era un uomo molto razionale, difficilmente perdeva la calma. Quando si arrabbiava, di fronte a palesi errori o palesi ingiustizie, incuteva timore. Accelerava la parola, sia che parlasse in inglese sia che parlasse in arabo. Andai da lui dopo il massacro di Sabra e Shatila: un eccidio terribile, lo trovai in preda a un’ira incontenibile» • Filopalestinese: «Quando hai due fratelli e vedi l’uno che opprime l’altro, non puoi non stare con l’oppresso» [ad Andrea Marcenaro, Panorama] • Il personaggio più amato? «Arafat, senza dubbio. Un gigante. Ma anche Sandro Pertini. C’era la crisi di governo e andai al Quirinale coi capigruppo di Dp. Dopo il colloquio istituzionale il presidente mi rivelò: “Lei mi piace. In fondo è un avanzo di galera come me”» [Senesi, CdS] • «Dodici Giugno 1972, il movimento studentesco a Milano ancora regge con forza. Viene dato uno degli assalti più terribili all’università di Milano che era un po’ la nostra roccaforte. Il nostro servizio d’ordine cerca di arginare l’assalto della polizia e dei carabinieri ma poi ad un certo punto non ce la fa più. L’università viene riempita di lacrimogeni nell’aula magna che era strapiena ne vengono sparati a centinaia. La polizia che irrompe in tutte quante le aule e manganella gli studenti e gli stessi professori. Una sorta di rastrellamento, una roba mai vista. Messi in un grande cortile che si chiamava “cortile del laghetto” perché c’era un minuscolo lago artificiale con una fontanella, stipati, non riuscivamo nemmeno a muoverci, tanto eravamo una calca e sopra dai balconi i poliziotti ed i carabinieri che buttavano sulle nostre teste pezzi di mobili, libri, pietre, tutto quello che trovavano. E dopodiché ammanettano tutti e li legano con catene, sembrava il mercato degli schiavi, vedevi queste colonne di poveracci legati con delle catene, portati in questura. Alle ragazze il minimo che veniva detto era “puttane” anche alle professoresse, a noi anche qualche bella sberla, per poi rimetterci in libertà giacché non potevano accusarci di niente. Questo vi dà l’idea del comportamento dello stato, totalmente illegale, una cosa che a parlarne oggi sembra di raccontare delle favole, delle cose inconcepibili» [Bellucci] • Nel 1973 la latitanza: «Sentiamo odore di mandati di cattura, dopo l’assassinio di un altro studente, Roberto Franceschi. E ci nascondiamo, io e Fabio Guzzini ci riusciamo, il terzo poverino, Fabio Giverani, era stato appena chiamato soldato una settimana prima e quindi era a Cuneo e non poteva scappare. Stiamo latitanti tre mesi e questa cosa faceva arrabbiare tantissimo i poteri perché io dai miei luoghi di nascondiglio facevo interviste e dichiarazioni. Tenete conto che venne spiccato un mandato di arresto internazionale. Dopodiché si arriva al processo e Guzzini ed io decidiamo di costituirci e ci travestiamo ed entriamo non visti dentro al palazzo di giustizia e andiamo a consegnarci alla polizia. Fummo ovviamente arrestati per poi essere liberati a causa delle false accuse. È un piccolo prezzo da pagare per gli ideali in cui si crede. Ogni volta che nelle società sono stati fatti passi avanti per conquistare dei diritti civili e sociali, coloro che hanno lottato per questi obbiettivi hanno sempre dovuto pagare dei prezzi. Pensate ad un personaggio grandissimo, Nelson Mandela, 27 anni in galera e alla fine lo scarcerarono e lui divenne il capo di stato del suo paese e fece la grande opera di riconciliazione tra bianchi e neri. Allora tutto sommato dobbiamo essere contenti che abbiamo avuto delle vicissitudini molto più piccole» [Bellucci] • Nel 1973 la laurea: «Poi ho fatto lavoretti, un po’ qua un po’ là. Ho fatto il barista nel bar di un amico, il meccanico quando tornavo d’estate a casa. Nel 1975 sono stato eletto con Democrazia proletaria («Il piccolo partito dalle grandi ragioni») al Consiglio regionale della Lombardia» • Contro la violenza prendono le distanze dalla lotta armata del 1977 • E l’estate della sua vita, quella che non potrà mai dimenticare? «Quella del 1981. Il giorno dei funerali di Michael Doerthy, morto dopo 66 giorni di digiuno in carcere. Chiedevano, lui e gli altri, di non indossare le divise della prigione, di poter ricevere posta, chiedevano – e lui che era stato eletto al parlamento lo fece con una credibilità che diventò internazionale – di non vivere in carcere nelle condizioni disumane alle quali erano obbligati. Il giorno del funerale c’erano cattolici, componenti dell’Ira (Irish Republican Army, ndr) col passamontagna. Una scena tragicamente plastica. I combattenti dell’Ira spararono dei colpi in aria in segno di saluto. Poi fecero sparire le armi e si tolsero i passamontagna, la polizia rimase inerme. Fu un momento di pace. Il più alto livello che la democrazia può raggiungere, la dimostrazione che non si combatte e non si vince a far la conta dei cadaveri» [Marcenaro, cit.] • Segretario nazionale di Democrazia Proletaria fino al 1987, viene eletto parlamentare europeo (1979-84), già consigliere regionale della Lombardia (1975-80), comunale di Milano (1980), deputato nazionale per due legislature (1983-92) • Poi la pensione con due vitalizi. «E allora? È una pensione. E quello da europarlamentare poi non l’ho mai preso, ho dato i soldi a Dp. Questa storia dei privilegi della politica è come la focaccia di Cerbero dell’Eneide. La focaccia di miele e sonnifero data in pasto al mostro per addormentarlo. Cerbero però prima o poi si sveglierà e capirà quali sono i veri privilegi e le reali ingiustizie» [Senesi, CdS]. «Prendo 5mila euro netti al mese che arrivano da Regione Lombardia e Parlamento italiano». Bè, non sono pochi. «Non sono pochi, lo so benissimo, rispetto alle pensioni minime. Il problema è alzare il reddito di quelli che prendono 1.000 euro al mese, e anche meno. Lotto per questo da una vita» [Truzzi, cit.]. Michele Brambilla: «Il ’68? È stato l’unico anno di lavoro di Capanna. Aver guidato il movimento e megafonato fuori dalle università gli è valso un bonus di quarant’anni di pensione» • Nel 1995 partecipò al Festival di Sanremo nel gruppo La riserva indiana, accompagnando sul palco dell’Ariston David Riondino e Sabina Guzzanti durante l’esecuzione della canzone Troppo sole. Altri componenti del gruppo erano Sandro Curzi, Nichi Vendola, Antonio Ricci, Daria Bignardi, Bruno Voglino, Remo Remotti • Vive in Umbria, in un casolare a Vocabolo Colle, una frazione di Badia di Petroia a Città di Castello. Produce olio e miele. Non ha il telefonino («Fossi matto, ci tengo al mio equilibrio mentale») • In prima fila nel movimento anti Ogm (nel 2012 ha chiesto, e ottenuto, la distruzione del campo ogm dell’Università della Tuscia). «Quella che per definizione chiamiamo ancora politica è ormai simulazione, finzione. E infatti non risolve niente. Ormai le decisioni vengono prese alle spalle della politica, dai grandi potentati economici e finanziari» • «Ho già dato, e continuo a combattere. Mi occupo da anni di biotecnologie con la Fondazione diritti genetici, attività per cui giro moltissimo nelle scuole, nelle università e non solo. Ho scoperto che non è affatto vero che i ragazzi sono apatici e senza interessi: quando poni loro questioni vere – le biotecnologie, per esempio, ignorate da media e istituzioni formative – si appassionano. Non vola una mosca per due ore. E poi lavorare la terra mi piace, penso che si debba diffidare di un politico che non abbia mai tenuto in mano una vanga» • Ha passato poi il resto dei suoi giorni a spiegare o rievocare quel periodo con conferenze, comizi e libri. Tra questi Formidabili quegli anni (Rizzoli 1988) e Lettera a mio figlio sul 68 (Baldini & Castoldi 1998). Per ragionare. Sessanta domande sul nostro futuro e alcune proposte (Garzanti 2010), Il fiume della prepotenza. Critica della ragione moderna (Betelgeuse 2012), Noi tutti (Garzanti 2018). Da ultimo un libro sull’olio: Evo. La magia dell’ulivo e dell’olio (Schibboleth) e Il risveglio del mondo (edizioni Mimesis).
Amori Nel 1967 scrive un trattato di 70 pagine per convincere la sua ragazza di allora che i rapporti sessuali prematrimoniali sono compatibili con le teorie di Sant’Agostino. E la convince. Sposato in prime nozze con Patrizia Arnaboldi, poi con Ivana. Un figlio.