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 2023  gennaio 13 Venerdì calendario

Biografia di Giorgio Lotti

Giorgio Lotti, nato a Milano il 14 gennaio 1937 (86 anni). Fotografo e fotocronista. Uno dei più grandi d’Italia • «Un Maestro» • «Cinquant’anni di carriera con la macchina al collo» • Iniziò come free-lance (Milano Sera, La Notte, Il Mondo, Settimo giorno, Paris Match, etc.). Poi, per oltre trent’anni, lavorò per la rivista Epoca (vide passare 16 direttori, tra cui Nando Sampietro, Vittorio Buttafava e Sandro Mayer, fino alla chiusura della rivista) • Fu mandato a coprire il terremoto in Friuli, il Vajont, l’alluvione di Firenze, le prime navi cariche di migranti in arrivo dall’Albania. Immortalò Brigitte Bardot a Cortina, Sophia Loren nel suo letto, i Beatles, re Umberto nell’esilio di Cascais, Craxi ad Hammamet, Andy Warhol, Montale, Ungaretti, Armani, Agnelli, Fellini, Moravia... Fotografò insieme Giorgio Bocca, Enzo Biagi, Indro Montanelli ed Eugenio Scalfari («I quattro cavalieri della notizia»). Un suo ritratto di Zhou En Lai (eseguito a Pechino nel 1974) fu scelto dal Partito comunista cinese come immagine ufficiale del primo ministro di Mao: ancora oggi è considerato la fotografia più stampata al mondo • «Ridurre però Lotti a un’unica immagine significa dimenticare l’incredibile qualità di un lavoro che ha rilevato e rivelato i momenti topici della contemporaneità. Fotografo di profonda coscienza sociale, già a partire dal 1968 quando la parola “ecologia” era ancora da coniare, ha denunciato per primo in Italia e nel mondo i pericoli dell’inquinamento con esaustive ricerche su Venezia, Milano, il fiume Ticino. E sempre in immagini di una qualità stilistica e formale da essere esempi incomparabili per tutti coloro che pretendono di fare fotografia giornalistica e riescono unicamente a produrre documenti» (Giuliana Scimè) • Lui, quando gli si chiede quale sia il suo segreto, dice: «Compito del fotografo è far vedere quello che la maggior parte della gente non sa oppure non può vedere. Con sensibilità, però. La macchina fotografica può essere di una violenza inaudita» (ad Alessandro Bordin, fotografiedigitali.it, 27/12/2019).
Titoli di testa Suo motto: «Prima capire, poi fotografare». Spiegazione: «Se non entri nei personaggi, se non mangi con loro, farai soltanto delle orribili belle foto».
Vita Infanzia in collegio: a Comerio, in provincia di Varese. «Per me era sempre una gioia immensa fermarmi ad ammirare gli stupendi tramonti sul lago. Fin da giovane sono sempre stato affascinato dall’acqua» • I suoi lo vorrebbero disegnatore di gioielli, ma la sua passione è il cinema. «Guardavo i film tre volte: una per la regia, una per la scenografia, una per l’interpretazione. Finché non vedevo in controluce mia madre che veniva a prendermi per un orecchio: ‘Disgraziato, torni a casa o no?’”. Deve proprio a mamma Maria se è diventato quello che è. “Mio padre Lodovico se ne andò così giovane che manco mi ricordo più quale età avesse. Toccò a me mantenere la famiglia. “Giorgio, devi occuparti di fotografia”, insisteva mia madre. Alla cinquantesima volta, obbedii”» (Stefano Lorenzetto, CdS 3/9/2019) • La vedova Lotti ha frainteso tutto: crede che il cinema avesse qualcosa a che fare con la fotografia e spinge il figlio in quella direzione. «Fu la mia fortuna. La prima Rolleiflex me la regalò lei» • Il giovane Lotti studia seriamente. Scuole private. Poi Cleff Edon, della Columbia University, lo chiama negli Stati Uniti. «Trascorsi in America alcuni mesi ed ebbi l’occasione di completare i miei studi e perfezionare la tecnica. Devo molto a questo professore» (a Erika La Rosa). Altro maestro: Bruno Munari. «Mi ha insegnato a leggere la semplicità, una lezione che è stata fondamentale per tutti i miei lavori. Grazie a lui ho conosciuto anche Luigi Veronesi, che mi ha spiegato al teoria dei colori. Sono convinto che la tecnica sia importante ma è soprattutto l’arricchimento personale che ti permette di compiere un buon lavoro» • «Ricorda il suo primo scatto? “Un raduno di cani nei giardini di via Palestro, dove oggi c’è la statua di Indro Montanelli. Non dovetti fare molta strada: lavoravo per l’agenzia Giancolombo, che aveva sede nel vicino Palazzo dei Giornali di piazza Cavour. Alla seconda foto ero già in carriera: l’arresto di una madre che aveva ucciso il figlio”» (Lorenzetto) • Un po’ tutti i fotografi, in quegli anni, ambiscono a essere assunti da settimanali come Epoca o L’Europeo. «Quando sono tornato dal servizio militare sono stato chiamato da Enzo Biagi, che ai tempi era il direttore di Epoca, il quale mi dice: "Giorgio, proviamo a fare un lavoro insieme, se poi mi piacerà potrei pensare di farti una proposta." Sono andato a fotografare un radiologo ad Alessandria, non mi ricordo più bene chi era perché sono passati quasi 60 anni. Al mio ritorno in redazione, Biagi ha visto le foto e mi ha chiesto di andare a lavorare per loro. Ho iniziato come collaboratore, poi sono stato assunto nel 1960 con l’arrivo del nuovo direttore Nando Sampietro» (a Tony Graffio) • Sono anni epici. Il primo appuntamento con la storia è la tragedia del Vajont: «Mi trovai di fronte scene apocalittiche. Non potevo certo fotografare pezzi di cadavere. Ho aspettato che venissero coperti. Solo dopo ho iniziato a scattare. Non si può usare la macchina sempre e comunque». «Otto chilometri a piedi fra le macerie. Brandelli di cadaveri ovunque. A ogni passo mi dicevo: no, Giorgio, non li puoi fotografare. Finché in quella desolazione apparve un prete con la stola viola sulle spalle, che impartì la benedizione alle salme infagottate in coperte di lana. Ecco lo scatto che rispettava la pietà» (Lorenzetto) • Paolo VI in Terrasanta nel 1964. «Il primo papa a viaggiare in aereo e fuori dall’Italia. Epoca mandò De Biasi, Del Grande e me per uscire con 64 pagine di foto. Ci crede se le dico che laggiù non c’incrociammo mai? Passai la notte sul pavimento nella basilica del Santo Sepolcro per essere certo di non mancare l’inquadratura giusta l’indomani» (ibid.) • L’alluvione di Firenze nel 1966. «Andai dal direttore, era Nando Sampietro. “Vado a fotografare l’alluvione di Firenze” dissi. “Ma sono già andati Mario De Biasi e Sergio Del Grande… non posso mandare anche te, dai...”. “Andrei con i miei soldi, non c’è problema, direttore”, risposi io. Andai. Tantissimi servizi fatti per “Epoca” nascevano così. Arrivai a Firenze. Mi fermai vicino a ponte Vecchio, mi sedetti sotto un porticato e aspettai l’ondata. Cominciai a fare foto. Rimasi immerso in acqua per ore, avevo addosso una miscela di acqua e petrolio. A un certo punto andai ad asciugarmi in un bar, quando un collega mi avvisò che mi stavano cercando urgentemente dal giornale. Telefonai. Era il direttore. “Siamo disperati, dimmi che hai fatto le foto...”. De Biasi non era riuscito a partire con l’elicottero e Del Grande aveva avuto dei problemi. “Tieni un servizio di sedici pagine?” “Certo, direttore”» (Giuseppe Matarazzo, Avv 3/4/2006) • Nel 1969 segue la diretta televisiva dello sbarco sulla Luna assieme al poeta Ungaretti. «L’avevo conosciuto nella villa di Arnoldo Mondadori, a Meina, sul lago Maggiore. La notte della missione Apollo 11 lo invitai in un albergo di Roma, dove avevo allestito una camera buia con tre televisori. Nell’attesa, a cena, mi declamò le sue poesie. E quando Neil Armstrong posò il piede, immortalai il suo impeto di gioia mentre con i pugni chiusi esclamava: “Giorgio, siamo sulla Luna!”» (Lorenzetto) • «Altri tempi. “Allora con i direttori parlavi ogni giorno. I servizi da 16 pagine in parte me li finanziavo. Nel 1970 andai a Venezia per una settimana, a mie spese. Nacque così il reportage sulla morte della città lagunare, con il cartello “Pericolo caduta angeli” davanti alla basilica della Salute, che ispirò il titolo del libro di John Berendt”» (Lorenzetto) • Nel 1973 viene mandato in Cina per un reportage. È la sua prima volta in Oriente, del Paese sa poco o nulla. Fedele al proprio motto: prima di scattare le foto, vuole capire. Per farlo, va a trovare l’ambasciatore italiano a Pechino • «Grazie a lui, partecipai ad una festa in cui era presente Zhou en Lai. L’ambasciatore mi raccomandò di non portare la macchina fotografica perché vi era l’assoluto divieto. Io però non ebbi il coraggio di lasciarla a casa e da buon fotografo la infilai in tasca. All’ingresso una lunga coda di persone aspettava di salutare il primo ministro. Io ero circa a metà e pensai che l’unica occasione per poterlo fotografare era nel momento del saluto. Uscii dalla coda e mi misi per ultimo; non avrei potuto chiedergli uno scatto se avesse dovuto ricevere altre persone. Il mio pensiero era come riuscire a comunicare, la fortuna volle che Zhou en Lai avesse studiato in Francia e conoscesse alla perfezione il francese. Quando arrivai al suo cospetto mentre gli chiedevo di poter fare un ritratto lo invitai ad accomodarsi su una poltrona. Sapevo di avere la possibilità di un solo scatto come da cultura cinese. Il primo ministro accettò di farsi fotografare ma non essendo molto convinto della prima fotografia gli chiesi la possibilità di scattarne un’altra. In quel momento il suo assistente gli comunicò che in sala lo stavano aspettando e lui tolse lo sguardo dall’obbiettivo per guardare lontano. Così nacque il ritratto. Una volta tornato in Italia l’ambasciatore cinese mi chiese una copia della foto su richiesta esplicita di Zhou en Lai. Inviai la foto ma solo dopo tre anni seppi che era diventato il ritratto ufficiale. Un mio caro amico era in Cina quando il Primo Ministro morì e partecipò ai funerali in piazza Tienanmen. Tornato in Italia mi fece vedere le foto scattate alla folla. Tutti tenevano in mano la foto di Zhou en Lai scattata da me anni prima» • «E venne il giorno di Eugenio Montale, 1975. “Andai a trovarlo a casa. Il tempo di salutarci e squillò il telefono. Faceva delle strane espressioni. Presi la macchina fotografica, senza invadere il campo o distrarlo. Lui si voltò e sorrise. Tutto a un tratto si commosse, si mise le mani sul viso così come nella sequenza pubblicata. Riagganciò la cornetta. ‘Una cattiva notizia, maestro?’. ‘No, affatto. È bellissima. Mi hanno appena comunicato che ho vinto il Nobel’” È anche fortunato, Lotti. “Sì, ma se sai interpretare quello che succede un minuto prima… Altrimenti non sarebbe stata la stessa foto”. E conta esserci» (Matarazzo).
Politica «“Devi andare a fotografare il presidente”, mi ordinò uno dei boss di Epoca. Ok, prenoto per Roma, risposi. E lui: “Ma no, che hai capito? Il presidente Silvio Berlusconi, non il capo dello Stato”. Lì compresi che finiva l’era dei direttori giornalisti e cominciava quella dei direttori politici”. Che c’era di tanto scandaloso in un servizio posato sul Cavaliere? “I ritratti di regime non li avevo mai fatti. Appena giunto ad Arcore, cercai di sottrarmi all’incarico con una scusa: presidente, prima che lo sappia da altri, devo dirle che sono comunista. ‘Chissenefrega, caro Lotti, lei è bravo’, fu la replica. Lo seguii per quattro mesi. Le mie immagini finirono non so come su Paris Match e Stern. Cominciai a ricevere minacce di morte. Il matrimonio andò a rotoli e si guastò il rapporto con le mie due figlie. Non le vedo da 25 anni”. Suvvia, per così poco? “Passare per ritrattista ufficiale di Berlusconi mi attirò un mare di odio. Mi credevano prezzolato”» (Lorenzetto).
Tette «Ha coltivato altri interessi nella vita? “Il teatro. Paolo Grassi nel 1974 mi consegnò una busta: “Aprila”. Era un permesso d’ingresso perenne alla Scala. Ho passato lì dentro 536 serate. Carla Fracci e Luciana Savignano mi facevano entrare in camerino, ho visto il loro seno. Sapevano di potersi fidare”» (Lorenzetto).
Curiosità Dopo la chiusura di Epoca, passò a Panorama. Vi rimase dal 1997 al 2002. «Il direttore un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: “Giorgio, allora domani cambiamo il giornale”. “Va bene, dimmi di che cosa vuoi che mi occupi ed io lo faccio”: Solo che a me che andavo a fotografare Arafat, Chou En Lai, Gandhi ed altri mi chiede di occuparmi di gossip... Era troppo per me. E così sono andato a dare le dimissioni» • Abbandonato il giornalismo, si è dedicato alla fotografia d’autore, «evidenziando un personale, raffinato stile nella sintesi cromatica e nella composizione dell’immagine» (Treccani) • Dice che oggi nei giornali la politica conta troppo e tutti si danno troppe arie. «Siamo in un Paese in cui ormai non funziona più niente. Dimmi solo una cosa: perché devo pagare il canone Rai? Oppure, perché comprando il Corriere della Sera sono obbligato a pagare un giornale come iO Donna che parla di vestiti, scarpe e rossetti? Cosa mi interessa?» • «Chi ha ucciso Life ed Epoca? “Life non so. Quella di Epoca fu un’eutanasia decisa in un vertice dalle parti di via Montenapoleone. Me lo confessò un presidente della Mondadori. Avevamo raggiunto una tale qualità che le altre testate, per inseguirci, dovevano spendere cifre folli. E infatti oggi i giornali rigurgitano di foto orribili pagate 5 euro”» (Lorenzetto) • «Oggi siamo circondati da moltissime orribili belle foto. Ma è cambiato proprio il modo di lavorare e posso citare qualche esempio. Prendiamo gli uffici stampa, che non sanno fare gli uffici stampa. Vai per fare il reportage di un concerto e ti dicono che puoi scattare solo durante le prime due canzoni. Una follia. Ma anche per la politica: a Roma, quando un politico di spicco entra ed esce dai vari palazzi, trovi un nugolo di fotografi che scattano le stesse identiche foto, a raffica. Identiche, ogni giorno. Ma cosa te ne fai di tutte quelle migliaia di foto identiche? Io lavorerei in modo diverso: chiederei ad esempio al politico dove andrà a cena, se posso unirmi a lui, farci quattro chiacchiere, conoscere la persona. E poi scattare poche foto» • «La differenza la fa il contenuto. Sia sui giornali sia sui siti. Si dà la colpa del calo delle vendite a internet, ma anche i siti dei giornali che si lamentano sono pieni di fuffa. Internet è uno strumento bellissimo e una grande risorsa. Ma se trovo in tutti i siti d’informazione, come nei giornali, le stesse cose, un banale copia-incolla di comunicati, tante bufale, le immagini identiche dei ventisette fotografi che aspettano tutti i giorni l’ingresso del politico di turno davanti alla sede del Pd, o pessime foto scattate con i telefonini da fotografi improvvisati, per non parlare di video senza alcun valore, sarà un’ecatombe per questo mestiere. Perché i lettori dovrebbero sostenere questo modo di fare “giornalismo”?» • Ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di fotogiornalista consiglia: molta preparazione: università, scuola di giornalismo, conoscere perfettamente la lingua inglese, fare almeno quattro mesi negli Stati Uniti • «Il problema non è diventare un buon fotografo ma rimanere un buon fotografo» • Vive a Varese. Come gli capitava da bambino, prova ancora una grande gioia nell’ammirare i tramonti sul lago • Dice che più che essere stato bravo, gli piace pensare di essere stato utile • Il suo cruccio sono le 240 mila diapositive conservate in casa sua: «A chi andranno, quando non ci sarò più?».
Titoli di coda «Ha mai sbagliato una foto? “Dalle diapositive del sisma in Irpinia spedite a Epoca dimenticai di togliere la scena di una vittima sepolta dai detriti. Misero in pagina proprio quella. Non me lo sono mai perdonato”» (Lorenzetto).