17 gennaio 2023
Tags : Marco Tronchetti Provera
Biografia di Marco Tronchetti Provera
Marco Tronchetti Provera, nato a Milano il 18 gennaio 1948 (76 anni). Industriale. Manager. Dal 1991 è amministratore delegato del gruppo Pirelli, del quale è stato presidente dal 1995 al 20 ottobre 2015, data in cui ne è diventato vicepresidente esecutivo: «Mi fa sentire più giovane. Dopo una certa età diventano tutti presidenti». Già presidente di Tlecom Italia.
Titoli di testa «Chiunque faccia l’imprenditore ha un senso dell’eternità diverso: conosce i propri limiti, ma vede l’azienda oltre la propria vita».
Vita «Il bisnonno all’inizio del Novecento era uno dei più grossi produttori italiani di vino. Suo figlio, il nonno di Marco, morì in guerra durante la campagna d’Africa del 1911, tre mesi prima della nascita di Silvio, il padre di Marco. E Silvio fu il vero artefice delle fortune della famiglia. Laureato alla Bocconi, entrò alla Falck e divenne direttore centrale. Quando, nel 1965, decise di lasciare la Falck, pattuì come liquidazione la quota che la Falck possedeva nella Cam, di cui poi negli anni Ottanta egli acquisì il controllo • «La prima volta in cui sono entrato in una fabbrica avevo tredici anni. Era il 1961. Mio padre Silvio mi portò a visitare un impianto a Cividate al Piano, vicino a Bergamo. L’azienda si chiamava Minmetal. Produceva tubetti e scatole di alluminio» [Bricco, Sole] • «Mio padre conosceva il tedesco e parlava il francese e l’inglese. In casa nostra, con lui e con mia madre Giovanna, parlavamo in francese. L’educazione era molto severa, ma anche divertente. A dieci anni assistetti alla mia prima partita di calcio: a San Siro l’Inter giocava con la Spal. Ricordo, pochi anni dopo, l’esordio di Luis Suárez, appena arrivato all’Inter dal Barcellona. Era sera. Fece un lancio millimetrico di quaranta metri che lasciò tutti a bocca aperta. Una emozione fortissima, paragonabile a quella provata, tanti anni dopo, con il Triplete conquistato dal mio amico Massimo Moratti. Ho frequentato l’istituto Zaccaria, dei Padri Barnabiti, dalle elementari al liceo classico. Alle superiori, mi piacevano molto storia e filosofia. Studiavo, per riuscire a cavarmela. Era una scuola di grande rigore. Il mio professore di latino e greco, Luigi Annibaletto, che era un traduttore di Erodoto e di Tucidide, entrava in classe e ci parlava in greco antico. Appartengo a una generazione per la quale il liceo era una sorta di libertà vigilata fino alla maturità. La libertà coincideva poi con l’università. Anche se, in quel modello educativo, erano certe le pene, se uno per esempio non passava gli esami in Bocconi, e non erano affatto sicuri i premi, che di solito si applicavano sulla possibilità o meno di vedere le ragazze e di guidare la macchina» [Ibid.] • Marco si laureò nel 1971, in Economia, e la sua prima esperienza fu un semestre d’apprendistato a Londra in un’azienda di trasporti marittimi. Qui capì la rivoluzione in atto in un settore complesso e sofisticato come quello della logistica, che aveva scoperto il container, e ciò gli aprì un’intuizione: i terminal per la movimentazione delle merci dovevano essere vicini all’industria. Tornato in Italia, fondò un proprio terminal a Rho, nel cuore della Lombardia produttiva, collegandolo con i porti europei. Chiamò Sogemar la nuova società, che guidò per molti anni, fino al 1986. Ma, dopo il matrimonio, la svolta più importante nel rapporto tra le famiglie Tronchetti e Pirelli risale al 1984. La Pirelli stava vivendo un periodo di debolezza, determinato dall’avversa congiuntura economica e dal fallimento degli accordi di espansione con l’inglese Dunlop. La Pirelli fu sostenuta (forse salvata) da una serie di ingegnerie di controllo progettate da Mediobanca, ma l’assetto era tale da esporre il gruppo a tentativi di scalata. Così Marco Tronchetti Provera “in” Cecilia Pirelli decise, in proprio e attraverso la Cam, ricca dei proventi del petrolio, di investire nella Pirelli con l’obiettivo di dare al gruppo un assetto familiare più solido ed entrò così negli equilibri del controllo del gruppo centenario. Nel 1987, poco dopo il suo ingresso nella dirigenza Pirelli, avvenne la vera incoronazione: contro ogni attacco di potere venne costituita la Pirelli & C., società in accomandita per azioni. Un modello nel quale i soci accomandatari hanno nelle proprie mani tutto il potere. Per esplicita richiesta di Leopoldo, Marco venne elevato al rango di accomandatario. “Sarà più di un capo”, disse. Gli anni successivi Leopoldo, alla strenua ricerca di fare massa critica con un prodotto maturo come gli pneumatici, s’impantanò in sfortunate operazioni estere. Prima Dunlop, poi Firestone, poi Continental: tre fallimenti. L’ultima scalata, condotta forse con troppo tatto, mise in ginocchio l’azienda, che solo alcuni anni dopo riuscirà a liberarsi dei pacchetti acquistati grazie al favorevole cambio del marco. Ed è in questo momento drammatico (1992) che “Marco Tronchetti proverà” (allusione all’errore di una conduttrice di tg che, trovandosi di fronte per la prima volta quel cognome, ne sbagliò l’accento – ndr) a risanare e rilanciare l’azienda. Egli assunse il potere e, con il suo carattere deciso e impegnativo, diede alcune svolte importanti. Puntò sull’immobiliare, trasformando le aree della Bicocca da fabbriche fumose e puzzolenti in un ridente quartiere residenziale, con teatro e università (...) Poi nel 2000 l’affare della vita: in piena new economy, i sistemi ottici Pirelli furono venduti alle americane Cisco e Corning per una cifra colossale: 4,7 miliardi di dollari. Da qui comincia la storia recente, con la scalata a Telecom del 2001» (Paolo Stefanato) • Erano passati all’incirca due anni da quando la cosiddetta “razza padana” conquistò il colosso delle telecomunicazioni: la compagine guidata da Roberto Colaninno nel frattempo s’era divisa, alcuni soci, a partire da Emilio Gnutti volevano vendere e passare all’incasso. Tronchetti aveva voglia di comprare, per arrivare al controllo di Telecom: «Cominciò a cercare dei possibili soci. Ne individuò tre: la famiglia Benetton, il finanziere milanese Francesco Micheli e Mediaset. Questa fu la squadra che, nella primavera del 2001, meditò di rilevare la Telecom dalle mani della “razza padana”. Quando si arrivò al dunque, nel luglio del 2001, ci fu un colpo di scena. Micheli e Mediaset dissero che la “razza padana” voleva troppi soldi, più di 4 euro per azione, e che a quei prezzi comprare Telecom era un’operazione troppo rischiosa. E abbandonarono la partita. Restarono in campo Tronchetti e i Benetton. L’operazione andò in porto verso la fine di luglio, e in settembre Tronchetti Provera si insediò come nuovo presidente di Telecom. E coronò un sogno che durava da almeno dieci anni, se non di più» (Giuseppe Turani) • Colaninno e i suoi soci pretesero per il controllo di Telecom (cioè il 18 per cento che passò da Olivetti a Olimpia) una valutazione di 4,17 euro per azione (sul mercato i titoli quotavano attorno ai 2,1 euro) e un prezzo conseguente di 80 miliardi. Tronchetti si sarebbe fatto carico di tutti i debiti: in quel momento 48 miliardi. Colaninno e soci avevano speso per la scalata 50 miliardi, rilevandola dalla vecchia compagine (guidata dalla famiglia Agnelli) che ne aveva impiegati 25 • Tronchetti, per diminuire l’esposizione, passò il periodo 2001-2005 a vendere pezzi di azienda ritenuti non strategici ed era riuscito a far scendere l’indebitamento fino a 26 miliardi. Ma nel 2004 decise di fondere Tim in Telecom, per avvicinare l’imponente flusso di cassa determinato dalla telefonia cellulare alla casa-madre che doveva fronteggiare il debito. Per questo si dovette procedere a un’Opa su Tim e aggravare l’esposizione del sistema di altri 15 miliardi. Nel frattempo, Tronchetti si era finanziato piazzando sul mercato bond per 11 miliardi. A ottobre 2006 uno di questi bond veniva a scadenza e inoltre si sarebbe dovuta ricomprare da Banca Intesa e Unicredit una quota del 4,75% per cento che le due banche avevano preso insieme a Tronchetti al momento dell’acquisizione del 2001, impegnando però Pirelli a riacquistarle sempre al prezzo di 4 euro (nel 2006 Telecom quotava 2,6). Con queste urgenze di cassa e con un debito di 41 miliardi Tronchetti pensò di separare quello che aveva appena unito – cioè Tim e Telecom – e di venderlo probabilmente a un investitore estero. Creando poi una società indipendente per la gestione della rete, Telecom sarebbe stata trasformata in una media-company, cioè una televisione via Internet da vedere sugli schermi dei computer. Per questo Tronchetti iniziò a studiare con Rupert Murdoch una fusione tra Sky Italia e Telecom, oppure almeno una cessione di contenuti dalla library di Murdoch a Telecom Media. Il presidente del Consiglio Romano Prodi, informato dallo stesso Tronchetti dell’operazione, incaricò però il suo consulente Angelo Rovati di preparare un piano per rilevare il 30% per cento della rete telefonica fissa e conferirlo alla Cassa depositi e prestiti, trasformandola così definitivamente in un piccolo Iri. Prodi sostenne la tesi, assai poco credibile, che Rovati aveva fatto tutto di testa sua e a sua insaputa. In ogni caso, informò Tronchetti che non avrebbe ammesso la cessione di Tim a uno straniero (il governo non possiede più azioni Telecom, ma ha una golden share con la quale può bloccare operazioni giudicate in contrasto con l’interesse nazionale). Tronchetti Provera, affermando che il governo voleva «scippargli la rete» (secondo l’espressione usata al momento dai giornali), diede le dimissioni da presidente Telecom e il consiglio d’amministrazione il 15 settembre 2006 nominò al suo posto Guido Rossi, che restò in carica fino al 6 aprile 2007 • «In questo quadro dai contorni drammatici – sono di mercoledì 20 settembre i primi arresti di Tavaroli & C. per l’inquietante caso dello spionaggio illecito in Telecom – la nomina di Rossi alla presidenza assume la valenza dell’arrivo di un garante, dotato di credibilità e indipendenza anche nei confronti della magistratura. E in effetti Rossi lavora proprio in questa direzione, smonta le speculazioni sul debito della Telecom troppo alto, si adopera per eliminare dai giornali la parola “intercettazioni”, cerca e trova un dialogo con l’Authority sulla spinosa questione dello scorporo della rete che interessa soprattutto il governo. Tronchetti lo sceglie anche in una logica politica, poiché Rossi rappresenta un ponte verso Massimo D’Alema, da contrapporre all’avanzata prodiana che lo sta sommergendo. Ma Rossi fa di più perché ritiene che il suo ritorno in Telecom, dopo la breve parentesi della privatizzazione, debba spingersi oltre. Cerca di spezzare quella catena strettissima che lega Pirelli, azionista al 18 per cento, a Telecom. Rossi indossa i panni, ovviamente non graditi a Tronchetti, di presidente di tutti gli azionisti, secondo un modello di public company in vigore nei più evoluti mercati anglosassoni (...) I rapporti con Tronchetti cominciano a deteriorarsi. La miccia che innesca l’ordigno si accende intorno al 10 febbraio, quando la Repubblica anticipa l’intenzione della Pirelli di vendere agli spagnoli di Telefónica un pezzo di Olimpia. Rossi la prende male, la interpreta come una forzatura che arriva dall’alto. Un’operazione nell’interesse dei soli soci Pirelli e non di quelli, ben più numerosi, di Telecom. Gli uomini di Tronchetti, al contrario, mettono a punto un documento in cui dalla grande alleanza scaturirebbero enormi vantaggi per entrambe le società. Ma il sospetto che Telefónica voglia appropriarsi del gioiellino brasiliano (Tim Brasil – ndr) è molto forte. L’operazione non varca la soglia del cda, Rossi ha eretto una muraglia e l’8 marzo si arriva al primo scontro frontale. I “pirelliani” Puri Negri, Moratti e Pistorio si astengono dall’approvazione del piano industriale giudicato troppo tiepido in mancanza di una prospettiva industriale con Telefónica. Rossi risponde che gli accordi con Cesar Alierta si possono fare ma senza legarsi le mani, così come ha fatto la Fiat di Marchionne. Passa la linea di Rossi e per la prima volta negli ultimi cinque anni la volontà di Pirelli non trova riscontro nelle deliberazioni del consiglio. La conseguenza, per Tronchetti, è gravissima: il premio di maggioranza costruito negli anni intorno al 18% di Olimpia si sgretola. Decide di mettere tutto in vendita e porta un nuovo compratore: il vecchio Slim (il magnate messicano che aveva già avanzato una proposta per Tim Brasil – ndr) torna utile con i suoi alleati americani, il colosso At&t si ripresenta dopo dieci anni. Il rischio che Rossi mandi tutto all’aria un’altra volta è reale, anche perché la maggioranza di governo si schiera contro l’operazione. Informando solo Benetton, Tronchetti decide di far fuori Rossi, nottetempo, con un tratto di penna che esclude il professore dalla lista dei consiglieri che dovranno essere eletti dall’assemblea» (Giovanni Pons). Al suo posto alla presidenza sarà nominato Pasquale Pistorio • In tempi diversi le offerte di At&t e di America Móvil di Slim, che si proponevano di rilevare in parti uguali il 66% di Olimpia vengono ritirate. È in questa occasione che scende in campo anche l’ambasciatore Usa Ronald Spogli che sul Corriere della Sera denuncia la difficoltà di fare affari in Italia, perché «spesso vengono innalzate barriere nei confronti delle imprese straniere che intendono investire» • Passa meno di un mese, tornano in scena gli spagnoli di Telefónica. Il 28 aprile 2007 l’operazione va in porto: Pirelli ha raggiunto l’accordo per la cessione della partecipazione in Olimpia (attraverso cui controllava Telecom) a un pool di banche italiane e all’operatore spagnolo Telefónica. Tronchetti Provera spunta il prezzo, 2,82 euro ad azione, richiesto per vendere, il consiglio d’amministrazione della Pirelli accetta l’offerta da 4,1 miliardi della cordata formata da Generali, Mediobanca, Intesa San Paolo, Sintonia (gruppo Benetton) e appunto Telefónica per l’acquisizione di Olimpia, che custodisce il 18% di Telecom. Nelle casse Pirelli entrano 3,3 miliardi di euro, rispetto a un investimento iniziale di circa 7 miliardi. Il ricavato dell’uscita dalla telefonia ha consentito al gruppo di azzerare i debiti e tornare al 100% nel capitale di Tyre, la controllata nel settore pneumatici. Nel giugno 2008 ha firmato una prima intesa per costituire una joint venture paritetica con Russian Technology per la produzione in Russia di pneumatici per auto e camion. Ha indicato anche l’India come obiettivo dell’espansione internazionale del gruppo. Sulla prima semestrale 2008 ha pesato ancora l’eredità Telecom, un 1,36% di partecipazione che Pirelli ha mantenuto in portafoglio: la società ha svalutato la quota ai valori di mercato del 30 giugno, con una minusvalenza di 155 milioni che ha contribuito a portare i conti in rosso (nonostante l’incremento dei ricavi) • Attraverso la Pirelli, Tronchetti Provera ha un ruolo fondamentale nell’informazione del Paese. Da ultimo, punta tutto sui giovani e sulla sostenibilità: «Nel 2022 Pirelli ha ottenuto negli indici S&P Dow Jones World il massimo punteggio in diverse aree di gestione, tra cui Governance e Due Diligence in ambito diritti umani, gestione delle risorse naturali e riduzione delle emissioni di Co2, innovazione e cyber security, e completezza e trasparenza della rendicontazione sociale e ambientale, con un punteggio complessivo di 85 punti, lo score più alto del proprio settore a livello globale.
Provvedimenti giudiziari Il 14 luglio 2008 la procura di Milano ha chiuso le indagini sui dossier illeciti costruiti dentro Telecom all’epoca in cui era presidente del gruppo. Dopo averlo sentito come teste i giudici milanesi non gli hanno mosso alcun rilievo, ritenendo vera anche la tesi ribadita in più interrogatori dall’ex capo della sicurezza di Telecom, Tavaroli, secondo la quale né lui né l’amministratore delegato di allora, Carlo Buora, erano a conoscenza di quello che combinava la Security. La Procura ha imputato però la responsabilità oggettiva alle aziende Pirelli e Telecom» (Rinaldo Gianola). Il proscioglimento indignò fortemente i suoi nemici • Condannato in primo grado a un anno e otto mesi il 17 maggio 2013 dal tribunale di Milano, che lo dichiarò colpevole di ricettazione per il disco con il materiale informatico sottratto dal team di Giuliano Tavaroli nel 2005 ai computer dell’agenzia investigativa Kroll. Assolto «per non aver commesso il fatto» in appello, per 3 volte la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza fino al 25 novembre 2020 quando la Cassazione ha respinto la quarta impugnazione da parte della Procura Generale di Milano, rendendo la sentenza di assoluzione definitiva • Il 21 maggio 2014 caddero le accuse di corruzione internazionale e associazione a delinquere, «il giudice preliminare Giuseppe Gennari stabilisce che non c’è prova che Tronchetti abbia condotto la battaglia brasiliana violando le regole, e non si può escludere che questo riconoscimento pesi anche nel processo d’appello per la storia del dvd pieno di dati illegalmente acquisiti dagli hacker di Giuliano Tavaroli» (Luca Fazzo) [Grn 22/5/2014] • Nel gennaio 2015 prende il via il processo per diffamazione contro Tronchetti Provera da parte di Carlo De Benedetti Assolto con formula piena.
Politica Si è definito «un liberale di antica estrazione».
Tifo Interista, molto amico di Massimo Moratti: «La tifosa dell’Inter era mia madre. Mio padre non era un appassionato, anzi considerava bizzarro che questi signori corressero in mezzo al campo in mutande...» (da un’intervista di Umberto Zapelloni).
Vizi Ama la vela e lo sci. Veste Caraceni, porta scarpe su misura, se non per il tempo libero quando usa Tod’s e Prada, indossa camicie Loro Piana, orologio Audemars Piguet Royal Oak, cravatte Marinella.
Amori In prime nozze sposa Letizia Rittatore Vonwiller, in seconde Cecilia Pirelli (nel 1978). Con lei ha avuto i figli Giada, Ilaria e Giovanni. Nel 2001 il terzo matrimonio, con Afef Jnifen. I due si sono separati nel 2018. Ora è fidanzato con la modella russa Helena Schmidt, di 30 anni più giovane.
Titoli di coda «Ho dei figli che sono meglio di me e dei nipoti che sono meglio dei miei figli come potenziale. Dobbiamo aiutare i ragazzi anche a conoscere sé stessi e le loro capacità per avere uomini e donne felici che costruiscano il migliore futuro».