23 gennaio 2023
Tags : Lorenzo Mattotti
Biografia di Lorenzo Mattotti
Lorenzo Mattotti, nato a Brescia il 24 gennaio 1954 (69 anni). Fumettista. Illustratore. Pittore. Regista. «Nell’arte sono considerato un fumettaro, nel fumetto un pittore. Oggi l’unica cosa che mi salva è essere Mattotti» (a Raffaele Alberto Ventura) • «Dice: “Mio padre era ufficiale della Guardia di finanza. Cambiava sede ogni quattro anni. Le città erano come film, finivano sul nero e ne cominciava sempre un’altra. Io abitavo nei seguiti, sempre dopo la parola ‘fine’”. È nato a Brescia nel 1954. Dopo Brescia e molto prima di Parigi, ha vissuto ad Ancona, Udine, Como, Venezia, Bologna, Milano. Dice che il solo posto che non ha mai smesso di ruotargli intorno è Castelbelforte, paese di Bassa Mantovana: “Casa dei nonni, nome carico d’avventure, dove assorbivo l’estate e le notti nere di campagna piene di fantasmi, di civette e di vampiri. A parte i terrori notturni che moltiplicavo per inventarmi inseguimenti e fughe, ho ricordi dolcissimi: i campi di grano, il cielo immobile, il fresco delle stanze, la penombra dei miei disegni”» (Pino Corrias). «Ho sempre amato i fumetti, ne leggevo più che libri. Li amavo, assieme alla musica rock. A 9-10 anni copiavo Asterix e Obelix. Il mio sogno è sempre stato quello di disegnare e fare fumetti» (ad Andrea Fiamma). «Dapprima disegnare per me fu un rifugio, poi divenne una precisa scelta, cioè volevo vivere di questo» (a Daniela Andreis). «Non ho fatto le scuole d’arte perché nella città dove vivevo non c’erano: sarei dovuto andare a Milano, era troppo complicato. Il liceo scientifico comunque all’epoca proponeva molta storia dell’arte, ci facevano fare molti esercizi di disegno classico. E poi ho sempre disegnato in classe. Ero con Fabrizio Ostani (Jerry Kramsky) e disegnavamo tutto il tempo. I miei libri di scuola sono pieni di disegni». «All’età di tredici o quattordici anni traevo ispirazione dalle opere che alcuni disegnatori italiani come Lino Landolfi o Dino Battaglia, ma anche Uderzo in Francia, realizzavano in quel periodo. Mi esercitavo a copiarli, creando a poco a poco, per via d’imitazione, universi umoristici personali, talvolta persino grotteschi. Certo, leggevo qualunque cosa mi capitasse sotto mano, e adoravo tutte quelle pubblicazioni che, dai fumetti italiani al Sergente Kirk (pubblicato da Florenzo Ivaldi), mi avrebbero fatto scoprire gli svariati universi del fumetto francofono, italiano, americano» (a David Rosenberg e Michel-Édouard Leclerc). «La sua storia ha una traiettoria e una infinità di bivi. Il primo compare con i disegni di Robert Crumb, fumettista di Village Voice, viaggiatore americano di strade blu e zaini hippy e allegrie rock: “Prima volta che leggevo storie a fumetti così folli e insieme così reali, piene di vite notturne, viaggi, marijuana, ragazze, polizia, tette e masturbazione. Era pura libertà”. […] Dice Mattotti: “Ho iniziato disegnando i muri delle mie camere da letto. Copiavo Michelangelo per imparare l’anatomia. Il cinema di Fellini e di Orson Welles mi stregavano per il taglio delle inquadrature. Divoravo fumetti. Disegnavo mostri e baci. Cercavo l’energia di Crumb. Percepivo l’elettricità che attraversava il mondo. Ne avevo abbastanza, della mia solitudine. Ero affamato di mondo. Inseguivo tutte le buone ragioni per mettermi in viaggio”. […] “Ho cominciato a far girare le mie tavole con storie di ragazzi metropolitani. Storie cattive, disegnate veloci, con il nero espressionista che caricava l’anima”. […] Poi c’è stata Venezia, la facoltà di Architettura: “Anni di apprendistato: paesaggio d’acqua e professori straordinari, Carlo Aymonino, Manfredo Tafuri, Aldo Rossi. Da loro ho imparato l’organizzazione dello spazio. Dall’acqua l’armonia”» (Corrias). «Era il 1968, il futuro era pieno di ideali e possibilità. […] Eravamo ingenui, anche un po’ fortunati: c’erano pochi disegnatori in Italia. Io ho cominciato sulle fanzine alternative: volevo vivere disegnando, e avrei disegnato qualsiasi cosa. […] Per 4-5 anni ho subìto costanti rifiuti. E poi piano piano, un lavoro dopo l’altro, ho cominciato a lavorare. Mazzate sulla testa. ne ho avute tante, ma per fortuna ero uno che si impuntava». «Ma anche Linus niente? “No. Dicevano: ‘Mattotti è inquietante’. Ma il bello è che non mi voleva neanche il gruppo di Cannibale, perché per loro, al contrario, ero troppo poetico. Così alla fine mi ha pubblicato una piccola casa editrice militante che si chiamava Ottaviano”. Anche quella però vi ha imposto diverse cose… “Sì. Io e Fabrizio Ostani, che aveva fatto la sceneggiatura e più in là avrebbe usato lo pseudonimo di Jerry Kramsky, l’avevamo intitolata La realtà è strabica, ma loro volevano una cosa riconoscibile per il ‘movimento’. Così hanno voluto intitolarla Alice Brum Brum nella riserva metropolitana, perché allora c’erano i famosi ‘indiani metropolitani’. Non solo: siccome la storia era di sole 50 pagine, ci hanno chiesto di allungarla per poter fare un libro, e così abbiamo aggiunto la storia di due ragazzi che facevamo l’autostop. In questo modo c’era un continuo passaggio tra fantasia e realtà del tempo”» (Luca Valtorta). «Friggevano gli anni della nuova rivolta, Bologna 1977 e seguenti, la politica, le notti, le sostanze. “Il fumetto, più del teatro, del cinema, della musica, sembra la via immediata per raccontarsi l’anima. Niente costi, niente mediazioni linguistiche. Bastavano fogli Fabriano e pastelli a cera, una luce, un tè, un po’ di silenzio”. Bologna pullula di fumettari, in piena autonomia visionaria. […] Mattotti pubblica la sua prima storia lunga, Incidenti, su Linus. Si incanta sulle tavole di Moebius, che anticipa il futuro di Blade Runner. Parte per la movida di Barcellona. Interrompe Architettura a quattro esami dalla fine. Si sgancia da tutte le implosioni bolognesi. Entra negli anni neri di Milano. “Neri con molto grigio – racconta –. Abitavo alla Bovisa, ero attratto da tutte le periferie, passavo interi giorni a Quarto Oggiaro, cercavo storie tristi, ero attratto dai ponti della ferrovia e non avevo mai una lira in tasca”» (Corrias). «“All’inizio le cose non andarono affatto bene. […] Eppure, questa difficoltà iniziale avrebbe rivelato nel corso del tempo il suo lato positivo, perché nella speranza di essere pubblicato fui costretto a sperimentare le modalità più diverse: dalla fantascienza al giallo al racconto introspettivo. Poi, finalmente, Oreste Del Buono mi chiese di fare delle piccole storie sul calcio, e le cose cominciarono a girare”. […] Il progressivo avvicinamento alla Francia a cosa è legato? “Dopo quella bellissima stagione, in Italia la figura dell’autore di fumetti era crollata. Chiudevano giornali e case editrici. […] In Francia, al contrario, è stato impostato proprio allora un importante lavoro di base che ha creato un pubblico affezionato, fedele, al di là degli inevitabili alti e bassi del mercato. Ed è arrivato il mio primo libro di un qualche rilievo, Spartaco, forse il più sperimentale. Pubblicato da Métal Hurlant e solo successivamente in Italia. Allora ho intuito che la Francia era per me il luogo ideale. […] A partire da Spartaco, nelle mie storie il linguaggio si è fatto decisamente più onirico e visionario e hanno assunto un peso crescente i riferimenti pittorici. Ed è nato Fuochi, che mi ha dato una visibilità internazionale proprio mentre i riferimenti italiani decadevano progressivamente, a vantaggio dei rimandi a Tarkovskij, Herzog, Stevenson”» (a Franco Marcoaldi). «Fuochi, pubblicato a puntate nel 1984 in Francia e in Italia, è unanimemente considerato il suo capolavoro. […] Quando le tavole vennero pubblicate a puntate sulla rivista Alter Alter, costola di Linus, Mattotti aveva da poco fondato il gruppo Valvoline assieme a Igort, Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Marcello Jori e Jerry Kramsky. […] “All’epoca volevamo spingere sempre oltre i limiti del linguaggio della narrazione per immagini, e Fuochi giocava con questi limiti. Il problema era capire fino a che punto si può usare un linguaggio pittorico per raccontare una storia: perché quella sperimentazione doveva comunque approdare a una storia. Con Fuochi ero arrivato a un punto di non ritorno: o abbandonavo il fumetto per la pittura, oppure dovevo cambiare direzione. Ed è quello che ho fatto”» (Ventura). «Fino alla pubblicazione di Fuochi, nel 1984, lavoravo soltanto sul fumetto. Ma dovevo guadagnarmi da vivere, ed è il mestiere di illustratore che mi ha garantito i migliori introiti. Così non ho disdegnato i lavori su commissione. Fin dall’adolescenza ho realizzato manifesti per venderli: all’inizio si trattava di poster un po’ psichedelici che vendevo ai concerti, poi sono passato a manifesti di grande formato, con immagini di ampie dimensioni realizzate con estrema libertà, finché un giorno, grazie agli amici del gruppo Valvoline, mi è stato proposto di realizzare disegni di moda per la rivista Vanity. Si trattava di esprimere e illustrare l’universo, l’atmosfera della moda e dei suoi creatori. Erano stati interpellati diversi disegnatori. Io mi sono ispirato ai disegni molto stilizzati degli anni Trenta. A partire da quei modelli, estremamente espressivi, ho prodotto una serie di lavori molto colorati, molto vivaci, che sono stati pubblicati a partire dal 1984. […] È stato un vero successo, che ha dato il via a una collaborazione a pieno ritmo con tutta la redazione, ma è stata soprattutto una formidabile scoperta personale. Ispirandomi al lavoro svolto per Fuochi o Il signor Spartaco, riscoprivo quanto un disegno potesse essere ricco, completo, complesso. Inoltre, per Vanity avevo bisogno soltanto di un’immagine alla volta, senza dovermi preoccupare degli aspetti narrativi o della collaborazione con uno sceneggiatore o un tecnico. Ho provato un senso di liberazione, di gioiosa leggerezza. È stato allora che ho capito che il fumetto era stato il migliore degli apprendistati e che quest’arte poteva aprire molte altre porte sul piano grafico e professionale». «Escono in mezza Europa i suoi libri vertiginosi, Il signor Spartaco, Linea fragile, Pinocchio, i viaggi di Caboto, i suoi capolavori Fuochi e Stigmate, scritto da Claudio Piersanti. Transitano, nella sequenza cromatica delle sue immagini, l’acrobazia in rosso e blu per il Festival di Cannes 2000, i ritratti di donne innamorabili, i gironi in fiamme della Divina commedia, la doppia luce del dottor Jekyll, i mondi favolosi dei Labyrinthes e i corpi in volo di Wong Kar-wai» (Corrias). «“Al fumetto finisco per tornare periodicamente, non per calcolo ma per necessità. È da lì che attingo gli spunti per poi tornare a dipingere”. Dopo un silenzio decennale è uscito nel 2017 Ghirlanda (Logos, Modena), scritto assieme al sodale Jerry Kramsky: un’opera monumentale, salutata dalla critica e premiata al festival di Lucca come miglior romanzo grafico dell’anno. […] Sotto le sue arie sostenute da fumetto d’autore, […] Ghirlanda non è altro che una favola. Si tratta di un mondo che Mattotti ha spesso frequentato, illustrando Collodi, i fratelli Grimm e altri testi per l’infanzia» (Ventura). «Da quando vive nella capitale francese, a mano a mano che la sua notorietà internazionale è cresciuta, Mattotti ha progressivamente allargato il campo delle ricerche, dedicando sempre meno tempo al fumetto, che ormai non può più essere considerato la sua attività principale, anche se resta la più amata. In compenso, tra i risultati del suo lavoro figurano illustrazioni per giornali e riviste (tra i suoi committenti ci sono il New Yorker, Le Monde e tanti altri), manifesti, quadri, libri di viaggio. Senza dimenticare le incursioni nel mondo del cinema e le collaborazioni prestigiose, come quella con Lou Reed per The Raven. Insomma, a poco a poco Mattotti è diventato un artista a tutto campo. […] Negli ultimi anni si è sempre più avvicinato al cinema. […] Dopo aver collaborato a Eros (il film a episodi di Soderbergh, Wong Kar-wai e Antonioni), al Pinocchio di Enzo D’Alò e al film collettivo Peur(s) du noir, si è infatti lanciato nella realizzazione di un film d’animazione tratto dalla Famosa invasione degli orsi in Sicilia di Buzzati: “È una storia bellissima, c’è tutto quello che fa per me: poesia, fantasia, leggerezza. È un esempio di quella corrente fantastica della cultura italiana troppo spesso trascurata o dimenticata. Ecco, con i miei disegni vorrei farla rivivere, dando corpo a un immaginario che non sia né quello americano né quello giapponese. Insomma, un immaginario italiano, dove siano presenti il nostro universo e i nostri paesaggi, che poi sono quelli che io so disegnare”» (Fabio Gambaro). Presentato nel 2019 al Festival di Cannes nella sezione «Un certain regard», La famosa invasione degli orsi in Sicilia, diretto da Mattotti, gli valse il plauso della critica, riscuotendo però scarso successo nelle sale cinematografiche. Nell’autunno 2021, nell’ambito della rassegna Lucca Comics, a Mattotti è stato conferito il prestigioso titolo di Gran maestro del fumetto. «“Maestro” mi imbarazza, “Gran maestro” mi fa paura: spero non abbia niente di massonico. Io spero per i giovani di essere un punto di riferimento, maestro di inquietudine… siate sempre insoddisfatti. Lucca mi ha visto la prima volta qui nel ’73, quando c’erano i grandi maestri che giravano per i bar e io piccolo che cercavo di fargli vedere i miei disegni. Spero che non si chiuda questa storia» • Sposato con Rina Zavagli, due figli: Ambra e Simone • «Da anni vive e lavora a Parigi, conservando sempre l’Italia nel cuore. Spesso torna a esporre in patria» (Chiara Vanzetto). «Io non sono mai stato un vero interprete della realtà italiana. Esistono autori che sanno parlare del proprio Paese, che lo indagano con straordinario talento: penso ad Altan in Italia e a Tardi in Francia. In tal senso, io non sono né francese né italiano: piuttosto, un apolide» • Mancino • «Un autore venerato in mezzo mondo per il suo disegno espressivo e raffinato, per la sua arte visionaria e onirica» (Lorenzo Viganò) • «Abita dentro a una sua luna silenziosa. Viene dalle geometrie variabili, isolanti, delle stanze che hanno coinciso con la sua infanzia. Viene da molte città che gli hanno traslocato intorno e da cui lui si è difeso costruendone una propria. […] Dice che oggi tutta la vita che galleggia nei suoi disegni arcobaleno viene dalla paura in bianco e nero della vita. Tutto l’amore, dalla paura dell’amore. Tutte le sue superfici, in giallo e azzurro, sono in omaggio alla curve di quel tempo preziosamente dissipato a Castelbelforte. I bianchi vengono dalle nebbie lombarde. Le trasparenze dall’acqua di lago. La stanchezza dalle zanzare di agosto. E il rosso dalla lucentezza delle angurie. Dice: “Vivo immerso in una permanente febbre di ricordi. Ho la testa piena di immagini. Le immagini sono il tempo che ho dentro, sono la mia storia”. […] Riempie decine di quaderni. Senza destinazione, senza progetto. “Sono il sismografo delle mie emozioni. Mi vengono in automatico, sono perfettamente gratuiti e senza scopo, a parte quello di salvarmi la vita”» (Corrias) • «“Ho sempre lavorato contro l’apparente leggerezza del fumetto. Ho trovato la strada grazie al colore”. Stratificandolo, lui riempie il disegno di spessore e tempo, lo trasforma in una storia. “Il colore agisce con lentezza, è il rituale con cui accarezzo i personaggi, cerco le loro sintonie, trovo nuove possibilità”» (Corrias). «Per me tutti i colori hanno un significato e un mistero. Posso sovrapporli per ore, assecondarli sino a quando trovo l’armonia. L’armonia, dice un mio amico francese, è il momento in cui tutti i colori si mettono a cantare. I disegni sono davvero finiti quando tutti i loro colori non spiegano, ma comunicano, respirano» • «Ora la si chiama “graphic novel”, definizione che io non amo particolarmente. Hugo Pratt la definiva “letteratura disegnata”, altri “narrazione per immagini”. Ma erano e sono fumetti» • «A me interessa raccontare la realtà, ma nella mia maniera. Non m’interessa più il realismo, il reportage, come nei miei lavori degli anni Settanta. Ora vado più verso la metafora, verso la parabola… In questo senso la favola è la più assoluta maniera di raccontare. Mi interessa esprimere una dimensione atemporale» (Ventura) • «Sono sempre voluto restare tra fumetto, arte, illustrazione e design». «Questa varietà è legata alla mia storia, e prima di tutto alla constatazione della mia iniziale ignoranza. Quando ho cominciato, volevo fare il disegnatore di fumetti. A poco a poco, mi sono diretto verso altre forme figurative. […] Rivendico i miei esordi sperimentali e la mia progressiva evoluzione». «Poco a poco Mattotti è diventato un artista a tutto campo. “Artista è una parola che mi fa paura, forse perché le attribuisco un valore troppo grande. È però vero che, ovviamente nel mio piccolo, mi sento in qualche modo legato alla tradizione dei grandi artisti italiani del Rinascimento, soprattutto per via dell’aspetto artigianale del mio modo di lavorare e per l’importanza della committenza nella mia evoluzione”. […] La sperimentazione è da sempre un tratto caratteristico dei suoi disegni magici, nelle cui forme e colori si alternano sogni poetici, melanconie metafisiche e incubi angoscianti. “Mi piace confrontarmi con problemi nuovi e da ogni lavoro imparo sempre qualcosa: nella ripetizione mi annoio”» (Gambaro) • «La mia attività può anche sembrare disordinata e senza un centro ma, se guardo meglio, mi sembra di vedere una coerenza: la ricerca costante dell’immagine che non descrive ma illumina, un’immagine che ci apre le porte di un mondo segreto. Poi, certo, io sono uno che sconfina sempre, da un genere all’altro, da una tecnica all’altra, ma proprio questo movimento in molte direzioni mi ha permesso di esplorare il mondo delle immagini in piena libertà. Senza dimenticare che disegnare per me è anche un modo per appropriarmi di quegli istanti della vita che di solito fuggono via velocissimi. Disegnare quindi è un modo per vivere intensamente. E questa, naturalmente, è una grande fortuna».