27 gennaio 2023
Tags : Dušan Vlahović
Biografia di Dušan Vlahović
Dušan Vlahović, nato a Belgrado (Serbia) il 28 gennaio 2000 (23 anni). Calciatore, di ruolo attaccante. Giocatore della Juventus (dal 2022; già Fiorentina, Partizan, Ofk Belgrado) e della Nazionale serba (dal 2020; già Serbia Under-21 e Under-19). Vincitore, col Partizan, di un campionato serbo (2016/2017) e di due Coppe di Serbia (2015/2016 e 2016/2017) e, con la Fiorentina, di una Coppa Italia Primavera (2018/2019). «Contro ogni pronostico. Sempre affamato» • «A Belgrado li chiamano i figli della guerra. Sono i nati nella prima metà del 2000, concepiti sotto le bombe della Nato. Il piccolo Dušan, per sua fortuna, non le ha mai viste. Forse solo sentite nella pancia di mamma Sladjana» (Marco Guidi). «La guerra un lontano ricordo. Dušan cresce con la sorella e con una famiglia di sani principi e valori fondanti. […] “Mi allenavo a pallacanestro – dice Vlahović – in un club della mia città. Belgrado, in Serbia. Ho iniziato che avevo quattro o cinque anni. Non ero altissimo, ero normale per la mia età, e mi piaceva il basket. Poi a dodici anni sono cresciuto di 15 cm. Comunque il calcio nella mia vita era sempre presente”» (Matteo Dovellini). «Ho iniziato a giocare che avevo 7 anni: è stata mia mamma a portarmi al primo allenamento. Mi piacque tantissimo». «Altina, sobborgo residenziale nel nordovest di Belgrado: è qui che il piccolo Dušan ha dato i primi calci al pallone, sognando da subito di fare il calciatore. Papà Miloš e mamma Sladjana, però, ci andavano piano. Prima la scuola, poi lo sport, con il calcio affiancato dalle arti marziali. Nessun club di primo piano, ma una piccola squadra di periferia che si allena ancora oggi in una tensostruttura anni Novanta nella sperduta Justina Popovića al numero 30. Le partite poco più in là, nel quartiere popolare di Zemun. Ecco, i primi gol di Vlahović, da queste parti, se li ricordano ancora adesso. “Lo chiamavamo il piccolo Van Basten”, raccontano nella minuscola sala trofei del club, tappezzata di foto di Dušan da grande, con le maglie di Fiorentina, Juve e Serbia. “Ma quando entrò qui dentro la prima volta era alto così”, fa segno con la mano Nebojša Pejović, presidente del club da una vita. “Aveva sette anni, era molto timido, ci mise mezz’ora soltanto ad allacciarsi le scarpe”. Poi però entrò in campo. “Un’iradiddio: prima partitella, quattro gol”. […] A un certo punto, la piccola Altina cominciò a stare un po’ stretta a un talento del genere. In un torneo giocato con i nati nel 1999, il 2000 Dušan ne segnò cinque all’Ofk, che decise subito di portarselo via. Poi toccò alla Stella Rossa. E qui va aperta una parentesi, perché DV9 con il club più famoso di Serbia durò pochissimo. “Non più di due settimane”, spiega Milan Ristić, […] allora tecnico delle giovanili del Partizan. “Avevo già provato a portarlo da noi, ma lui aveva dieci anni e aveva seguito un amico all’Ofk, o forse era andato lì semplicemente perché era più vicino a casa. Poi arrivò la Stella Rossa, che incredibilmente non sembrava credere molto in lui, e allora io tornai subito alla carica, convincendolo che al Partizan eravamo sicuri delle sue qualità”» (Guidi). «Il “trial” col Partizan va più che bene, il ragazzo mostra doti fuori dal comune: ha un sinistro micidiale, un passo superiore ai compagni abbinato ad altezza e forza fisica con la tecnica che si va sempre più affinando. A 15 anni firma già il suo primo contratto professionistico» (Massimo Franchi). «Il buon occhio di Ristić è stato fondamentale nella crescita di Vlahović. “Lo tenevo sul campo anche dopo l’allenamento a correggere i difetti – racconta –. E lui non mollava mai, era una macchina già da bambino”» (Guidi). «All’inizio del 2016, su invito dell’allenatore Ivan Tomić (ex centrocampista della Roma), Vlahović si trasferisce nella prima squadra del Partizan. Debutto in Super League serba il 21 febbraio nel derby contro l’Ofk. Diviene il più giovane esordiente nella storia del club bianconero. Sei giorni dopo diventa anche il più giovane a essere schierato nel cosiddetto “derby eterno”, quello sentitissimo con la Stella Rossa. Tomić lo manda in campo a 20’ dalla fine al posto dell’ivoriano Ismaël Fofana. […] Il 2 aprile Dušan centra l’ennesimo record di precocità firmando il suo primo gol con la maglia del Partizan in una partita contro il Radnik Surdulica valida per la Coppa serba. Infine, il 20 aprile, entra per la quarta volta nella storia del club come il più giovane calciatore a partire titolare: con lo Spartak Subotica (3-0 il finale) nelle semifinali di Coppa. L’11 maggio conquista il suo primo titolo con la prima squadra: vince la finale della Coppa di Serbia segnando la rete del definitivo 2-0 allo scadere contro lo Javor Ivanjica. La stagione successiva fa il suo debutto in campo internazionale (Europa League, secondo turno preliminare) il 21 luglio 2016 contro i polacchi dello Zagłębie Lubin. Al termine dell’annata conquista la “doppia corona”, campionato e Coppa nazionale, agli ordini del nuovo tecnico Marko Nikolić, che aveva preso il posto di Tomić. I media gli assegnano il soprannome di “Srpski Ibrahimović”, l’Ibra serbo» (Franchi). «La Fiorentina acquista Vlahović dal Partizan Belgrado nell’estate del 2017. È l’allora direttore generale Pantaleo Corvino, grazie anche alla sua rete di osservatori, a scovare sia lui che Milenković e a decidere di portarli a Firenze. Affare complessivo da pochi milioni di euro: Milenković arriva subito, per Vlahović si dovrà attendere il gennaio 2018 perché ancora minorenne. I due sono come fratelli, divisi da tre anni ma inseparabili già ai tempi del Partizan» (Dovellini). «Quando erano in Serbia, Vlahović passò alcuni mesi davvero complicati. Messo praticamente fuori rosa dal Partizan proprio dopo l’intesa raggiunta con la Fiorentina. […] Milenković anche in quel momento fu un punto di riferimento per Dušan: un obiettivo da raggiungere anche per lui, che si allenava da solo sul campo del Partizan sognando di arrivare il prima possibile in Italia, dove già c’era Milenković» (Dovellini). «Sbarcare in Serie A a 18 anni non è stato facile, all’inizio. Anche Pioli vedeva che non ero pronto, e quando arrivò Muriel chiesi di poter giocare con la Primavera per riprendere il feeling col campo, con la partita, col gol». «Arriva Dušan, e alla prima vera stagione da titolare in Primavera conquista la Coppa Italia e il titolo di capocannoniere con Emiliano Bigica in panchina. Un allenatore ma anche un grande amico per l’attaccante» (Dovellini). «Vlahović riprende in mano il proprio destino e torna in prima squadra. Montella, Prandelli, Iachini. Le due stagioni della nuova proprietà di Rocco Commisso e un pensiero fisso. “Ho sempre creduto in me stesso, ma non sono soddisfatto. Voglio sempre fare di più”. Vlahović si trattiene a fine allenamento e rimane solo, come in quell’anno e mezzo a Belgrado. “Lo faccio per provare e riprovare, perché quando sei in partita non ti accorgi se il gesto viene naturale. Il trucco è ripeterlo sempre, all’infinito. Ogni giorno provo qualcosa di diverso: i tiri col destro, lo stop spalle alla porta, l’uno contro uno, il dribbling”. Con Prandelli arriva la svolta, dettata dalla continuità: “Prandelli mi ha dato tutto. Ha puntato su di me fin da subito. Lo ringrazierò per sempre. Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse fare qualcosa di così grande per me”. Sotto porta la musica non cambia neanche col ritorno di Iachini» (Dovellini). «L’attaccante serbo trova continuità, fiducia, libertà di sbagliare. Tutto questo in una stagione in cui la Fiorentina rischia seriamente di dover fare i conti con la zona retrocessione. Vlahović ripaga questa scelta ed esplode: gol a raffica, alcuni davvero notevoli. Il cucchiaio su rigore contro la Juventus, la tripletta a Benevento, la doppietta alla Lazio. Arriva l’estate. Vlahović rimane, ma la sua valutazione schizza alle stelle. La Fiorentina prima annuncia Gennaro Gattuso e poi, colpo di scena, cambia allenatore. Arriva Vincenzo Italiano, che fin dal ritiro di Moena carica la squadra e l’ambiente. Compreso quell’attaccante in cerca della consacrazione. “Uno dei motivi per cui ho scelto di rimanere era lui – spiega Vlahović –, perché dopo il ritiro ho detto ‘con questo ci si diverte’. Ti sta sempre addosso, non ti fa respirare, e così puoi solo migliorare”. Eppure in estate la dirigenza prova a chiudere il discorso sul rinnovo, ma non arriva la fumata bianca» (Dovellini). «Il 2021 è stato tutto suo. Le 33 reti segnate in partite di campionato in un solo anno solare gli hanno permesso di eguagliare il record italiano stabilito da Cristiano Ronaldo. Tra i giocatori dei cinque campionati europei più importanti, solo Robert Lewandowski, che milita nelle file di un fortissimo Bayern Monaco, ha realizzato un numero più alto di reti. Contando tutte le partite disputate, Vlahović ha segnato 39 gol» (Jason Burt). «La Juventus nel destino, e quel feelingche sotto traccia viene alimentato giorno dopo giorno. Vlahović pensa solo al campo, ha in testa i gol, i record, la voglia di confrontarsi coi più grandi. Dà tutto. Sogna una carriera sulle orme del suo idolo Ibrahimović, che, dopo essere cresciuto nel Malmö e poi passato nell’Ajax, a 23 anni approdò proprio alla Juventus» (Dovellini). Il passaggio alla Juventus fu ufficializzato il 28 gennaio 2022. «Affare con cifre da capogiro che si aggirano sugli 80 milioni euro. L’ambiente freme, è subito Dušan–mania. L’esordio arriva il 6 febbraio nella sfida interna contro l’Hellas Verona. Bastano 13 minuti, un’invenzione di Paulo Dybala, e l’attaccante dolcemente insacca nella nebbia. A quel punto la Torino bianconera esplode. Pochi giorni dopo tocca il suo primo pallone in Champions League contro il Villarreal, e anche quello va a impattare contro la rete. Doppietta contro l’Empoli e buone prestazioni che blindano il quarto posto. Poi un calo dovuto ai ritmi diversi. Vlahović saluta la stagione con un gol in Supercoppa italiana, persa poi per 4-2. Nei suoi primi 6 mesi in Piemonte segna 9 volte in 21 presenze» (Salvatore Morreale). «Anche in Nazionale ha sempre bruciato le tappe. A 16 anni è già convocato nell’Under-19, a 19 nell’Under-21, mentre il debutto nella massima rappresentativa è datato 11 ottobre 2020, ventenne, a Belgrado contro l’Ungheria in Nations League. Il successivo 18 novembre, alla prima da titolare, realizza il primo gol nella gara vinta 5-0 contro la Russia» (Franchi). Da tempo afflitto da una persistente pubalgia, negli ultimi mesi Vlahović non ha partecipato a molte partite della Juventus, e anche ai mondiali disputati in Qatar non ha potuto giocare a lungo tra le file della Nazionale serba, che è stata eliminata già nella fase a gironi in seguito alla sfida disputata contro la Svizzera (2 dicembre), nonostante la rete da lui segnata proprio in quell’occasione • «Avevo un’unica società in mente, perché la Juventus è la Juventus. Non c’è altro da aggiungere. E ora mi sento onorato di aver ricevuto questa maglia. Mi procura una sensazione incredibile ogni volta che la indosso: è speciale. […] Mi identifico completamente con il Dna della Juventus, vedo chiaramente che la sua personalità è in linea con la mia. Essere qui significa non arrendersi mai, lottare costantemente, voler vincere sempre, sacrificarsi. È esattamente questo ciò che cercavo» • Celibe. Nel 2020, «per festeggiare San Valentino, postò sui social una foto a cena insieme a un pallone. Il suo grande amore» (Dovellini) • «C’è qualcuno che l’ha sempre sostenuta? “I miei genitori, mia sorella, la mia famiglia. Poi quando ero giovane guardavo Ibrahimović, Toni, Batistuta. I miei idoli. Idoli come i miei genitori”» (Dovellini) • «Chi conosce bene il serbo lo descrive come un calciatore atipico rispetto ad alcuni suoi coetanei: uno che si informa di tutto, legge, sa parlare tre lingue correttamente (serbo, italiano e inglese)» (Dovellini) • Ha indicato quale libro preferito L’alchimista di Paulo Coelho • Una predilezione per «musica serba, reggaeton, rap e trap (tra gli artisti preferiti anche Ozuna, Anuel AA e Dark Polo Gang)» (Dovellini) • Pratica anche tennis e padel • Da spettatore, appassionato di motociclismo • «Lei gioca al Fantalcalcio: chi schiera in attacco? “Me stesso, ovvio! (sorride, ndr)”» (Dovellini) • «Dicono che lei sia un ragazzo molto educato fuori dal campo: e quando gioca? “Devi rispettare tutti. Non è che tu possa sentirti migliore solo perché sei un giocatore. I miei genitori mi hanno educato così. […] Poi sul campo è diverso: tutti vogliono vincere, c’è cattiveria, fame. Se gioco contro mio padre, voglio vincere”» (Dovellini) • «Prima della partita, ha qualche rito? “Niente, penso solo a come fare gol. Studio le partite, guardo i difensori, i portieri. Questo è il mio rituale. Se sono in panchina, guardo i loro movimenti con attenzione”» (Dovellini) • «Cecchino d’area di rigore, 1,90 m di altezza e quel sorriso pulito e sincero che l’accompagna con umiltà anche se dentro al campo lo trasforma in energia pura. Sfrontatezza e decisione, costanza e disponibilità. Sembrano essere queste le parole chiave dell’attaccante serbo» (Dovellini). «Attualmente, insieme a Kylian Mbappé ed Erling Haaland, è uno dei giovani attaccanti più promettenti del panorama calcistico mondiale. […] Alto, con un fisico imponente e atletico, e determinato a fare sempre di più, Vlahović è in grado di segnare in tutti i modi possibili: con tap-in rapaci, di testa, su punizione, da lunga distanza, e, per di più, a ogni stagione migliora. […] Per gli eccellenti risultati e il suo grande potenziale, Gianluigi Buffon lo ha acclamato come “il miglior giovane al mondo” insieme a Haaland e Mbappé. Christian Vieri lo ha definito, “tra gli attaccanti, il miglior talento in circolazione in Europa insieme a Haaland, e il migliore della Serie A”» (Burt) • Tra i suoi modelli di riferimento in ambito sportivo, «ci sono due calciatori in particolare, e hanno entrambi giocato nella Juventus. Sono cresciuto con il mito di Cristiano Ronaldo, che ha vinto il suo primo Pallone d’oro quando avevo solo 8 anni, e poi c’è Ibra. Al di fuori del calcio c’è Novak Djoković: anche lui è serbo ed è senza dubbio il numero uno, e l’ho sempre ammirato molto. Infine, Michael Jordan: non l’ho mai visto dal vivo, ma ho guardato vari servizi e documentari su di lui, mi piace la sua mentalità» • «“Un paio di amici […] continuavano a domandarmi: ‘Che cosa provi esattamente quando segni un gol?’. Ho risposto: ‘Segnare per la tua squadra, per i tuoi compagni, i tuoi tifosi, i tuoi amici è qualcosa che puoi capire fino in fondo solo se hai vissuto direttamente questa esperienza’. Una grande gioia, è ovvio, simile a quella che provo quando sono con la mia famiglia, ma a livello di emozione non esiste niente di paragonabile. È un qualcosa che mi riempie, mi pervade completamente, quindi, quando non provo questa emozione, dopo la partita mi sento a terra, svuotato. Se segno, invece, mi sembra di volare. Mi sento al settimo cielo, volo. È una specie di carburante, e una volta che l’hai provato devi averne ancora, e poi ancora, devi a tutti costi vivere ancora quell’emozione. È una dipendenza che ti stimola in ogni momento. È ciò per cui vivo. Specialmente quando lo stadio è pieno, quando senti tutto il tifo, tutti i fan che gridano il tuo nome. È fantastico, incredibile. E il modo migliore per spiegare questa sensazione è paragonarla al volare”. […] Quanto bravo potrà diventare? “Dico sempre che l’unico limite è il cielo e vedo solo l’orizzonte”, afferma, proseguendo con la metafora del volo. “Farò tutto ciò che occorre per migliorare. Voglio offrire la versione migliore di me stesso”» (Burt) • «“In tutto il mio percorso, le parole chiave sono sempre state ‘sognare’ e ‘lavorare duro’. Non mi è mai mancata la fiducia e l’autostima. Mi impegno duramente e con grande determinazione. Queste sono le cose più importanti, il mio slogan, il mio motto. Devi crederci”. […] La sua voglia di lavorare è leggendaria, incluse le molte ore supplementari sul campo di allenamento. “Non mi voglio mai riposare”, ammette, e il tempo che gli rimane per attività extra-calcistiche è scarso. “Mi dedico al calcio 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, e quando vado a casa cosa faccio? Guardo partite di calcio!”, racconta. “Le guardo per divertirmi, per rilassarmi, ma anche per imparare e migliorare. Noto delle cose, le analizzo e penso ‘Io avrei potuto fare questo o quello’. Mi piace trascorrere del tempo con la mia famiglia, che da sempre è la mia forza, e con gli amici. I videogame non mi interessano, e non sono neppure molto bravo a giocarci: preferisco uscire a fare una passeggiata! In passato avevo tempo per leggere qualche libro, ma ora non più. Fondamentalmente mi sono completamente dedicato al calcio, e comunque, per me, questo è solo l’inizio. Il meglio deve ancora venire”» (Burt) • «Alla mia età fai un gol e sei un fenomeno, sbagli due partite e sei un flop. So come funziona. Mi concentro, testa sulle spalle e piedi per terra. Non so se e dove arriverò, ma un giorno, voltandomi indietro, vorrei non avere rimpianti». «Voglio che, quando un giorno smetterò di giocare a calcio, la gente ricordi il mio nome e dica: “Vlahović era un buon giocatore”».