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 2023  gennaio 31 Martedì calendario

Biografia di Gabriel Omar Batistuta

Gabriel Omar Batistuta, nato a Reconquista (Argentina) il 1° febbraio 1969 (54 anni). Ex calciatore. Attaccante. In Italia ha giocato con Fiorentina, Roma (squadra con la quale ha conquistato lo scudetto 2000/2001), Inter. Ha chiuso con l’Al Arabi nel 2005. Capocannoniere della Serie A nel 1994/95 con 26 gol. Quarto nella classifica del Pallone d’Oro 1999, sesto nel 1998, settimo nel 2000, tredicesimo nel 1996, ventesimo nel 1995, ventitreesimo nel 1997. Con la nazionale argentina 77 partite e 54 reti. «Il calcio per me non è mai stato un gioco, e sa perché? Perché se sbagliavo un gol nessuno si metteva a ridere o ad applaudire. Anzi. Il calcio per me è sempre stato un lavoro, che mi piaceva».
Vita «Racconta che quando era un ragazzo, ai tempi del Grupo Alegria e delle partite in piazza dei Friulani, tirar calci a un pallone non gli sembrava il modo migliore per guadagnarsi da vivere: “Preferivo studiare: la matematica, la fisica, la chimica. Avevo una buona memoria visiva. Facevo pallavolo, basket, tennis. Il calcio per me allora era solo un bel gioco, non una prospettiva. Scappavo via dagli allenamenti. E non perché fossi una testa calda: non ci credevo abbastanza”. Quasi un presagio: “Temevo di infortunarmi. Oddio, pensavo, se mi spacco e mi ritrovo senz’arte né parte che faccio?”» (Paolo Baldini) • «Non arrivò giovanissimo alla Fiorentina, del resto aveva cominciato tardi a giocare. Entrò in una squadra a sedici anni, ben oltre la scuola calcio; due anni dopo, già diciottenne, venne chiamato nella Primavera del Newell’s Old Boys, che gioca nella Primera División argentina. Per avere un termine di paragone, Lionel Messi – che è anche il secondo marcatore della storia dell’Argentina, dopo Batistuta – fu tesserato per la prima volta a cinque anni, e arrivò al Newell’s Old Boys a otto. Per questo la carriera di Batistuta è stata relativamente breve. Ha cominciato tardi, quando era troppo forte per non giocare, e ha finito presto, quando ha smesso di esserlo» (Giovanni Fontana) • «L’uomo gol resterà appeso a un urlo: ”Te amo, Irina”. Non è stato il gesto tecnico più esaltante di Gabriel Omar Batistuta, ma il più importante sì. Ha deciso un matrimonio e anche il modo di far girare una carriera: l’argentino è passato da bomber a simbolo, lì, con il faccione piazzato sotto la telecamera a chiedere scusa e festeggiare il gol del 2-1, vittoria della Fiorentina contro il Milan, Supercoppa del 1996. [...] Batigol si è innamorato di Irina e del pallone contemporaneamente e per avere entrambi ha faticato. Ha sudato per qualsiasi successo. Ha conosciuto la futura moglie a una festa, in Argentina celebrano i 15 anni con balli e cerimonie: Gabriel ne aveva 16 quando ha guardato Irina nel vestito delle grandi occasioni e ha capito che il suo futuro stava lì. Lei lo ha respinto e il Newell’s Old Boys, il suo primo club, stava per fare lo stesso. Batistuta ci era arrivato folgorato da Mario Kempes nei Mondiali del 1978. Prima esisteva solo il basket. I primi calci li tira nel Grupo Alegria e lì scopre cosa lo diverte. Da professionista però non funziona, Marcelo Bielsa dubita sulle sue qualità, l’attaccante passa al River Plate e trova Passarella che non lo può vedere. Solo che all’improvviso Irina, tampinata ogni giorno a partire dal primo incontro, dice sì. Si sposano nel 1990 e con il trasferimento al Boca Juniors arrivano pure i gol. Cecchi Gori lo scopre in una Coppa America dove un Batistuta indiavolato e innamorato segna 6 volte. La maglia viola gli si incolla addosso, resta a Firenze per nove stagioni, una in B, realizza più di chiunque altro prima: 167 gol. Uno sproposito che gli vale una statua, fiumi di amore, una città ai piedi e due miseri trofei: Coppa Italia e Supercoppa vinti nel 1996, l’anno del ”Te amo Irina” che gli cambia la vita. Quell’anno era un divo, uno dei primi per cui sbandavano le donne famose. Si dice che il Re Leone fosse inciampato sulla Ferilli e che Irina fosse a un passo dal rientro in Argentina prima del ”Te amo”. rimasta, hanno avuto quattro figli [...] quattro maschi che da grandi guarderanno quel filmato e capiranno che, a volte, nella vita, servono gesti estremi. Il secondo Batistuta lo ha fatto per vincere uno scudetto. L’anno in cui stava per sfiorarlo in viola si è rotto e la Fiorentina senza di lui è scivolata dalla classifica. Il campionato se lo è preso con la Roma nel 2000, a 31 anni perché uno che deve penare per tutto non trionfa certo da giovane e dopo quello scudetto era logica solo la pensione. Invece c’è stato un altro inutile anno in giallorosso, una stagione ridicola con l’Inter e due in Qatar, in pantofole» (Giulia Zonca) • «Un’epopea: dall’11 settembre 1991 al 14 maggio 2000, tanto è durata la sua avventura con la maglia della Fiorentina. Nove campionati che gli sono serviti a battere il record di Kurt Hamrin, 150 reti in maglia viola. arrivato a quota 168, prima di salutare e prendere la strada di Roma. Eppure la sua storia italiana non era iniziata sotto ottimi auspici. Approda diciannovenne alla Serie A del suo paese, col Newell’s old boys da cui parte alla conquista della gloria, e nell’immediato di una maglia del River Plate. Lì la sua personalità fa attrito con quella di Daniel Passarella, e la società lo scarica al Boca. Nella stagione 1990/91 fa scintille, 11 reti in 19 partite, e la Fiorentina gli mette gli occhi addosso. In realtà, punta soprattutto sul compagno di squadra Diego Latorre, che invece si rivelerà un flop. Ma anche per Batistuta il viaggio comincia in salita. Il commento di Omar Sivori non lascia speranze: scarso tecnicamente, inadatto al calcio italiano, spiega il vecchio “Cabezon” ai dirigenti della Juventus, che si fidano del suo parere e abbandonano la pista. Meglio per Cecchi Gori, che non trova concorrenza. Ma a Firenze, in concorrenza con Branca e Borgonovo, viene criticato e non decolla. Si parla addirittura di un suo rientro anticipato in Argentina. Ma le doti tecniche ci sono, e oltre a quelle non manca il carattere. Segna un gol decisivo alla Juventus e accende la leggenda di “Batigol”, che non si spegnerà più, alimentata a suon di gol. Il fenomeno diventa l’idolo della curva Fiesole, quando la Fiorentina scende in serie B, la riporta in alto in una sola stagione, a suon di reti. inarrestabile su punizione, dalla distanza, in acrobazia, di testa, sa trovare la strada del gol con opportunismo e bruciando in velocità i difensori avversari. Con lui la Fiorentina vincerà la Coppa Italia e la Supercoppa di Lega nel 1996. Gli mancherà la gioia di un successo in campionato, e per raggiungere il traguardo ormai trentunenne dovrà indossare la maglia della Roma [...] In nazionale alimenta la sua leggenda nonostante sia ormai lontano dai campi di calcio argentini. Mette in bacheca la Coppa America del 1991, si ripete nel 1993, diventa il relizzatore principe della storia biancoceleste, lasciando a notevole distanza Diego Armando Maradona, il mito assoluto. Al mondiale americano del 1994 segna quattro reti, due su rigore. Nel 1998, in Francia, arriva al top: in gol all’esordio con il Giappone, fa tripletta con la Giamaica e apre le marcature nella sfida accesissima all’Inghilterra» (Marco Tarozzi) • «Quando Franco Sensi lo ha comprato, subito dopo lo scudetto vinto dalla Lazio, subito dopo l’addio del Principe Giannini finito in rivolta, i tifosi della Roma tutti hanno pensato: “Ok, adesso tocca a noi vincere”. Il fatto che poi sia andata effettivamente così contribuisce al ricordo di un Batistuta infallibile. L’attaccante forte, freddo, che sotto porta, o lontano dalla porta, trovava sempre l’angolo o lo spazio per far passare il pallone – e quando lo spazio non c’era tirava così forte che dava l’impressione di crearlo bucando le mani al portiere, o magari impedendogli inconsciamente di mettercele. Da giovane “non aveva la forma del calciatore”, racconta nel documentario El numero nueve Jorge Bernardo Griffa, il suo scopritore: “Era un ragazzone che calciava forte. Che la rompeva, la palla, per quanto calciava forte”. È rimasto quel tipo di giocatore, anche se aveva 31 anni quando è arrivato a Roma e l’aria era già quella dell’ultima occasione. Una cosa eccezionale che sarebbe durata poco. Era Batistuta, ma era anche il ricordo di Batistuta. Nei suoi occhi lucidi, piegati verso il basso come le sue spalle, c’era già una luce malinconica. Soprattutto, si era già rotto i legamenti del ginocchio, la caviglia gli dava già problemi. Il suo corpo eccezionale, apollineo, stava iniziando a mostrare i propri limiti. Era diventato calciatore tardi, sorprendendo se stesso, per un “talento che avevo, ma che non sapevo di avere”, come ricorda a un certo punto, e per delle doti fisiche fuori dalla norma, era grosso il doppio e veloce il doppio dei difensori che si trovava davanti, ma ha pagato quella forza eccezionale con altrettanta sofferenza» (Daniele Manusia) • «Per anni preda di difensori (da ragazzo pure di qualche infiltrazione forse azzardata), alla fine Batistuta si è arreso a un dolore bestiale: “Chiesi al mio medico di amputarmi le gambe”. Il Re Leone era finito in gabbia: “Non mi reggevo più in piedi, mi sono urinato addosso mentre ero a letto, perché il bagno era a tre metri di distanza e non ce la facevo ad alzarmi”. Oggi Gabriel Omar Batistuta si è rialzato e ha trovato altra forza, per correre di nuovo e per raccontare, a TyC Sports. “Appena ho smesso con il calcio, da un giorno all’altro non ho potuto più camminare. Ricordo che decisi di lasciare perché mi sentivo stanco e due giorni dopo non mi reggevo sulle mie gambe. Il dolore alle caviglie era insopportabile, un dolore che non riuscivo a descrivere, a tal punto che chiesi al mio dottore di tagliarmi le gambe. Vidi Pistorius e mi dissi che quella era la soluzione. Il medico non volle, mi disse che ero pazzo, mi operò alla caviglia destra ma la situazione non migliorò. Mi ha spiegato che avevo le due caviglie a pezzi, completamente distrutte, e che potevamo provare a fissarle con delle viti. Il mio problema è che non ho cartilagini, non ho tendini, non ho niente di niente, e allora i miei 86 chili si appoggiano sulle ossa dei piedi ed era la frizione di un osso contro l’altro che mi provocava quei dolori. Poi pian piano la situazione è migliorata, dopo una serie di operazioni. Ora sto meglio, ho ricominciato a camminare ma c’è voluto molto tempo” (Alessandra Gozzini) • «Sull’odissea di Batigol e i retroscena della sua formidabile carriera, Pablo Benedetti ha realizzato un docufilm, El numero nueve, prodotto da SenseMedia e presentato al festival Alice nella città durante la Festa del Cinema di Roma (nel 2019, ndr). Il Re Leone dice che a fare l’attore non ci ha mai pensato, che l’occasione è arrivata, inaspettata, a 50 anni. Spiega che i gol non hanno mai riempito completamente la sua esistenza. Che ha sempre conservato una parte segreta di sé, disponibile solo per Irina, “la chica hermosa che aspettavo all’uscita da messa quando eravamo ragazzi e con la quale, fra poco, festeggerò trent’anni di matrimonio”, e per i quattro figli, tutti maschi: Thiago, Lucas, Joaquin e Shamel. “Thiago fa l’attore, vive da solo a Baires. Lucas lavora nell’azienda di famiglia. I primi tre sono nati a Firenze, Shamel in Qatar quando giocavo per l’Al-Arabi e la mia carriera stava finendo”» (Paolo Baldini) • Nel 2016 ha ottenuto la cittadinanza onoraria dal comune di Firenze • Nel 2019 è stato ospite della trasmissione di Raiuno Ballando con le stelle, insieme alla moglie Irina • Fama di tirchio • Antonio Cassano, compagno di squadra alla Roma, ricorda nella biografia Dico tutto, scritta insieme a Pierluigi Pardo: «Batistuta proprio non mi piaceva perché aveva la puzza sotto il naso. Era argentino sì, ma dei Parioli. Non me ne fregava niente di lui. Aveva una marea di difetti. Tirchio, invidioso, criticone. Con lui non mi sono preso dal giorno zero. Ti diceva le cose alle spalle, e davanti ti sorrideva. Io dei tipi come lui me ne sbatto. […] Mi vendicavo in allenamento. Quando prendevo palla gli dicevo: “Corri, vecchio, vieni a prenderla, vienimi dietro”. Non ce la faceva più».