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 2023  febbraio 12 Domenica calendario

Il senso di Roald Dahl per il male

Matthew Dennison, che si era già occupato della vita di un’altra autrice di successo, Beatrix Potter, firma oggi una biografia di Roald Dahl, Teller of the Unexpected. Sul New York Times viene definito un libro elegante su una vita grandiosa, che sorvola sugli aspetti controversi dello scrittore a partire dal suo antisemitismo, aspetti che hanno portato la famiglia a scusarsi qualche anno fa con modalità anch’esse controverse (sempre che abbia senso scusarsi per quello che ha fatto un avo). Facciamo un passo indietro.
Da bambina, non sapevo chi fossero gli scrittori. Eppure leggevo un libro dopo l’altro: non c’era altro da fare e, per noia o per dolore, volevamo uscire da noi stessi, dalle nostre città e dalle nostre famiglie, che ci apparivano asfittiche o insufficienti. Leggere era molto più facile che giocare, non necessitava di un compagno ed era anche più veloce da concludere quando ci stufavamo, non c’era bisogno di mettere a posto oggetti sparsi sul pavimento, bastava chiudere il libro e rimetterlo sullo scaffale, magari con una cartolina in mezzo per ritrovare il segno il giorno dopo. In effetti, ora che ci penso, sapevo chi fossero gli scrittori: un nome sulla copertina da memorizzare perché allo stesso nome sarebbe corrisposto un altro libro simile. La percezione che fossero persone in carne e ossa è arrivata molto tempo dopo, e la contezza che fossero umani con pregi e difetti è arrivata dopo ancora, portandosi dietro reazioni contraddittorie, violente come le illusioni e disillusioni, tra fascino e spiazzamento.
Da grande, le biografie degli scrittori mi hanno portata dappertutto, mostrandomeli incantevoli e miseri, gretti, tenaci, innamorati, fragili, nevrotici, fedifraghi, presuntuosi. Ho scoperto quanto c’era di autobiografico nei loro romanzi d’invenzione, quanto fossero estreme le loro idee, ho scoperto che i loro libri portavano messaggi politici a volte per me sbagliati (ma evidentemente non così efficaci come le loro storie, se non me n’ero accorta), quanto fossero infelici le loro infanzie e assoluti i loro amori. E di volta in volta mi dicevo che non m’importava o che m’importava tantissimo a seconda del contesto e qualche volta anche del sentimento, perché ammettere di adorare i libri di una persona orribile è onesto ma difficile, e detestare quelli di una personcina perbene, pur se meno violento, non è comunque carino. In mezzo ci sono le sfumature, ovvero riconoscere che il punto di vista di un figlio o di un avversario politico, al netto di distorsioni consapevoli, non esauriscono quello che c’è da dire su una persona – e che guardare dentro le vite di qualcun altro significa sempre guardare dentro le nostre: abbiamo davvero sempre detto e fatto cose che non ci fanno arrossire di vergogna a ripensarci?
Ogni tanto, confesso, ho nostalgia di quell’infanzia in cui conoscevo gli scrittori solo per come avrebbero voluto essere conosciuti, cioè per i loro libri. Ma non è più possibile, perché negli anni ho anche amato spiarne i diari, gli epistolari, gli appunti forniti agli editori da amici o eredi.
Uno dei nomi che dall’infanzia è traghettato alla vita adulta è stato Roald Dahl. Era pubblicato in una delle mie collane preferite (seguire le collane era un po’ come seguire gli scrittori), gl’Istrici di Salani, e io i suoi libri li volevo tutti, da Matilda agli Sporcelli. E per un motivo preciso, perché il primo che avevo letto, Le streghe, mi aveva fulminata. Fino a quel momento avevo letto storie che finivano bene, dove tutti vivevano felici e contenti e altre che finivano male, su cui versare un mare di lacrime, ma mai nessun romanzo finiva bene e male insieme. Un po’ come la vita. Mai nessuna storia mi aveva detto con tanta chiarezza: sì, ti capitano eventi irreversibili, però di irreversibilità non si muore. Quando il bambino protagonista sconfigge le streghe ma da loro è stato trasformato in topo e tale dovrà restare per il resto della vita, comincia per lui una nuova fase, sotto altre sembianze. Avrà perso qualcosa (altezza, mani e piedi) e acquistato qualcos’altro (velocità di fuga, possibilità di nascondersi in piccoli buchi, e anche di viaggiare con la nonna dentro un taschino). In Dahl le donne sono megere ma anche salvatrici, sono la nonna e le streghe, così come in Matilda ci sono la madre stolta, l’insegnante cattivissima e quella che ti salva la vita. Insomma, i libri di Roald Dahl ci dicono che non ci sono certezze e dovremo imparare a cavarcela da soli, e ci dicono anche, in un modo così esplicito da risultare spesso sgradito agli adulti, che gli adulti sono di solito brutte persone.
Roald Dahl trascorse la sua infanzia in istituti oppressivi di cui ricordò da grande (in uno dei suoi libri, Boy) la rigidità, poi ebbe una vita familiare ricca e non sempre felice, uno dei suoi figli in seguito a un incidente soffrì di idrocefalia e un’altra morì di morbillo a sette anni, le malattie colpirono in vario modo la sua famiglia numerosa, ebbe due mogli, prima di diventare scrittore fece l’aviatore, visse in prima persona il colonialismo e la guerra mondiale. Nel 1982, quando era già un affermato scrittore per ragazzi, Roald Dahl in un’intervista si dichiarò arrabbiato con Israele per l’invasione del Libano, sostenendo la sua posizione con affermazioni esplicitamente antisemite e antisioniste. Nel corso degli anni, quelle affermazioni sono state retroattivamente rintracciate in alcune delle sue opere, attraverso personaggi e ipotesi. Contemporaneamente, per difenderlo, sono state ricordate molte sue amicizie e collaborazioni, soprattutto quella con il filosofo Isaiah Berlin. Secondo un amico di Dahl, lo scrittore avrebbe odiato qualsiasi forma di politicamente corretto, diceva sempre ciò che pensava e si era reso conto di aver sbagliato a esprimersi in maniera impulsiva. Si potrebbe controbattere che Dahl era troppo sconvolto dalle guerre cui aveva partecipato per accettarne un’altra e aveva bisogno di individuare un colpevole e scagliarsi contro, ma allora perché tirar fuori la legittimità stessa dello Stato di Israele? E poi si potrebbe rispondere ancora. E ancora. E mentre ci affanniamo nella ricerca della verità, in mezzo a quelle che ci sembrano le uniche due strade possibili – fare a pezzi il mito o cercare le pezze per rattopparlo – i suoi personaggi restano comunque a guardarci da un altrove misterioso dove gli adulti possono essere orribili o fantastici, in modo ugualmente forte e credibile. E sono tutti creati dalla stessa persona.