La Stampa, 12 febbraio 2023
Com’è la situazione in Turchia dopo il terremoto
La prima volta è successo a un distributore di benzina alla periferia della città. La coda era lunga almeno un chilometro. Un uomo ha indugiato troppo. È scoppiata una rissa: urla e pugni. Altri volevano passare avanti, si è creato un gigantesco parapiglia. Poi è capitato vicino a giardini del Municipio, quando tutti si sono accorti che erano finite le coperte in distribuzione. Più tardi un gruppo di cittadini è andato a urlare sotto la finestra del sindaco per chiedere l’intervento di una ruspa sulle macerie di un palazzo dimenticato. E per chiedere, anche, del cibo. Le persone si strappano di mano i vestiti usati che vengono lanciati fra centinaia di braccia protese. C’è chi cerca nella spazzatura qualcosa di utile. La fotografia di una signora di 68 anni, con la legna sulla schiena, ha fatto il giro del mondo. Fuoco, cartoni, cibo, pane, acqua e benzina: sta diventando una guerra per la sopravvivenza. Il sesto giorno dopo il terremoto è quello dello sfinimento e della rabbia. E anche di qualcosa di peggio. La tensione è talmente alta che l’Austria ha annunciato la sospensione delle operazioni di soccorso dei suoi militari inviati a Hatay. «Gli scontri fra fazioni sono in aumento», ha dichiarato il colonnello Pierre Kugelweis. È al comando di un piccolo contingente di 82 soldati. Ha deciso di stare al riparo al campo base. «Nella zona ci sono stati degli scontri a fuoco, anche se non direttamente contro di noi. Non c’è sicurezza. In queste condizioni non possiamo operare».
Il sindaco metropolitano di Hatay, Lütfü Sava?, sta lanciando appelli disperati. «Qui c’è solo distruzione. Sono crollati l’edificio del Comune, la caserma della polizia, una parte dell’ospedale nuovo. Anche il vecchio ospedale ha riportato gravi danni. La maggior parte dei nostri medici sono feriti e traumatizzati, abbiamo bisogno di volontari da altre zone. Manca ancora l’elettricità in molte parti della provincia, e senza elettricità non possiamo fornire l’acqua. E in questo sfacelo, è inaccettabile non avere ancora la linea telefonica ripristinata. Non possiamo usare internet. È impossibile comunicare. È tutto caotico. Il traffico è bloccato. Di notte la temperatura scende sotto zero. Bisogna accendere le automobili ogni quindici minuti per non morire di freddo. La gente non ne può più».
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato lo stato d’emergenza: «D’ora in poi, le persone coinvolte in saccheggi o atti di violenza devono sapere che la mano ferma dello Stato è sulla loro schiena».
Sono dieci le province turche colpite dal terremoto. Solo in quella di Hatay sono crollati 2 mila edifici e moltissimi altri sono danneggiati e verranno dichiarati inagibili. A Kahramanmara?, più a nord, nella zona dell’epicentro, un drone ha ripreso le nuove fosse nel cimitero cittadino di Kap?çam. Migliaia di tombe, fianco a fianco: finora sono già state seppellite tremila persone. I dati aggiornati dicono questo: 28 mila vittime. Sono 24.400 in Turchia, 3.553 in Siria. Ma, nel solo tempo necessario per la stesura di questo articolo, il numero sarà già più alto. Vanno aggiunti altri due altrettanto significativi: 80 mila feriti, 102 mila sfollati già trasferiti in altre province. Chi è rimasto non ce la fa più.
Le operazioni di ricerca stanno per essere dichiarate chiuse. Appena in tempo per veder tornare alla luce una bambina di nome Arda Can Övün, 13 anni: era rimasta intrappolata sotto le macerie del palazzo in cui viveva con la sua famiglia a Antiochia. Ha resistito per 128 ore. Non ce l’ha fatta, invece, la famiglia italo-siriana di cui non si avevano più notizie da lunedì. I corpi di tre adulti e tre bambini sono stati trovati sotto quello che rimaneva di un palazzo.
E quando le operazioni di ricerca termineranno, incomincerà un immane lavoro di messa in sicurezza e ricostruzione.
Parlando con il New York Times, Kevin McCue, membro dell’Australian Society of Earthquake Engineers, ha dichiarato: «La Turchia aveva una buona mappa dei disastri e conosceva i codici di costruzione. Ma la situazione che sta emergendo mette in evidenza che negli edifici crollati sono stati usati materiali scadenti e le strutture non erano a norma. Ci vorrà molto tempo per ricostruire. Almeno 10 anni, forse di più».
Rabbia e fame. Disordini e saccheggi. Condizioni igieniche allarmanti. Tende e fuochi accesi. Sono giorni estremamente difficili per il popolo turco. Non è più il mondo di prima, e non lo sarà mai più. Si dice sempre che, anche nella peggiore delle tragedie, la commedia della vita debba andare avanti: «The show must go on». Ma questa immane ecatombe dimostra, invece, che certe volte non è così. La squadra di calcio del Yeni Malatyaspor, che gioca in serie B, dopo la morte del portiere Ahmet Eyüp Türkaslan e i danni riportati nello stadio, ha chiesto il ritiro: «Non possiamo pensare di giocare a calcio mentre il nostro dolore è così grande e siamo impegnati a curare le nostre ferite. Per noi il campionato finisce qui».