Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 12 Domenica calendario

Un libro pieno di tombe

Tre anni fa la BBC produsse un film, African Apocalypse, per svelare l’autentica identità di «Mistah» Kurtz, il più anomalo, inquieto, inafferrabile eroe della mitologia conradiana. Secondo Rob Lemkin, il regista, e Femi Nylander, lo sceneggiatore, il magnetico Kurtz, l’oscuro protagonista di Cuore di tenebra, il rapace commerciante d’avorio a capo di una tribù di cannibali nei recessi del Congo belga, sarebbe Paul Voulet. Volitivo, spietato, francese, Voulet, soldato semplice in Indocina, aveva fatto fortuna in Africa occidentale mietendo massacri in Mali, Niger e Ciad con il temibile compagno di violenze, Julien Chanoine. Pare che nella regione di Tahoua il micidiale Voulet, a capo della sua soldataglia abbia sterminato circa 10mila indigeni. Alle imprese di Voulet dedicò una copertina il Corriere illustrato della Domenica: l’immagine mostra il capitano che ammazza a sangue freddo l’ufficiale Jean-François Klobb, spedito da Parigi con l’ordine di arrestarlo. Voulet voleva farsi re di quel lato d’Africa; fu ucciso a tradimento da una sentinella. Quando, nel 1923, l’allora amministratore coloniale del Niger smobilitò la tomba di Voulet, la trovò vuota. Paul Voulet non è l’unico candidato a incarnare il Kurtz di Conrad. Secondo Hannah Arendt, Conrad si sarebbe ispirato alle imprese di Carl Peters, esploratore tedesco che terrorizzò la regione del Kilimangiaro, soggiogando tribù e costruendosi un harem di concubine. Secondo altri, i prototipi di Kurtz potrebbero essere il giornalista e commerciante d’avorio belga Arthur Hodister (torturato da un clan di schiavisti arabi nel 1892, la sua testa fu conficcata a un palo, il corpo smembrato e divorato), oppure il soldato belga Léon Auguste Théophile Rom, noto per la brutalità, uso a decorare la capanna che possedeva in Congo con le teste di quelli che osavano ribellarsi alle sue leggi. L’edizione Mursia di Cuore di tenebra suggerisce una analogia con la storia di Roger David Casement, che «andò in Congo per la prima volta a vent’anni, nel 1884, e rimase cinque anni al servizio del governo di re Leopoldo come esploratore, cacciatore, geometra e amministratore». Quanto a Conrad, è piuttosto chiaro: «Tutta l’Europa contribuiva a fare Kurtz». Quanto a noi, la ricerca storica non supera il gergo cinematografico: Kurtz ha il volto carismatico di Marlon Brando – il colonnello Walter E. Kurtz di Apocalypse Now, riduzione del romanzo conradiano in quinta vietnamita -, semmai quello isterico e malaticcio di John Malkovich – nella didascalica traduzione di Cuore di tenebra ad opera di Nicolas Roeg. Anche Gavin Young, estroso corrispondente dell’Observer, è stato in Congo, «per il mio primo lavoro di reporter». Figlio di un alto militare della Welsh Guards, nipote di Sir Leolin Forestier-Walker, parlamentare inglese conservatore, Gavin Young sa che i romanzi di Conrad impongono il viaggio, pretendono di essere vissuti. Nello specifico, Gavin Young fu folgorato, a quindici anni, dalla lettura di Gioventù: quelle parole, scrive, «mi diedero alla testa come un liquore forte». Uscito da Oxford, la carriera giornalistica lo ha condotto, per lo più, in Iraq e in Medio Oriente, su cui ha scritto alcuni dei suoi libri più noti – Return to the Marshes, 1977; Iraq: Land of Two Rivers, 1980, ad esempio. Finì come corrispondente da Parigi e New York. «Uno si occupa di guerre finché non è sopraffatto dalla nausea per il business della morte, le distruzioni, i profughi», scrive, con sgargiante cinismo. Archiviata la vita giornalistica, Gavin Young inseguì la sua leggenda. Amava, in particolare, i romanzi malesiani di Conrad, fitti di derelitti, di porti importunati da imprese folli, fallite prima di cominciare. Amava le brume della deriva. A Singapore si mise a cercare «tutto il possibile sull’uomo che Conrad chiamò Lord Jim». A differenza di Kurtz, l’identità di Lord Jim è certa: si tratta di Augustine Podmore Williams, nato in Cornovaglia nel 1852, primo ufficiale sul «Jeddah» nell’agosto del 1880, quando decide, sotto le sferzate di un fortunale, di disertare, mollando la barca al suo destino, insieme al capitano Joseph Clark. Il «Jeddah» ospitava quasi un migliaio di pellegrini musulmani diretti alla Mecca. La nave non affondò, la notizia fece scandalo, Williams abbandonò per sempre la vita di mare. A differenza del Lord Jim di Conrad, Augustine Podmore Williams continuò a fare affari in quel lembo di Oriente. Si sposò con la giovane e bella Jane Robinson, «di sangue misto, singaporiana-indiana, istruita, la vita sottile»: aveva sedici anni, gli diede sedici figli. «Williams, una tranquilla vita domestica da fornitore marittimo... forse non seppe mai che un libro aveva resuscitato la vergogna della sua giovinezza«. Il prolifico Williams morì nel 1916, mentre si recava a lavoro: inciampò fratturandosi l’anca; l’incidente si rivelò mortale. Sui mari di Lord Jim. Un viaggio nel cuore di Conrad, pubblicato in origine nel 1991, ora tradotto da Settecolori (pagg. 476, euro 26), è il capolavoro di Gavin Young. Ha il genio sinistro del reprobo e della fuga, questo libro: lungi dall’essere un invito alla lettura di Conrad, è un elogio del viaggio e dello spaesamento; dopo averlo letto, ti viene voglia di partire per Celebes e Bangkok, di veleggiare lungo la costa dello stretto di Makasar. La ricerca del vero Kaspar Almayer, protagonista del primo libro di Conrad, Almayer’s Folly, è un romanzo nel romanzo. William Charles Olmejier, di origini olandesi, morì nel settembre del 1900, dopo una vita di oscuri traffici tra Giava e il Borneo. Gavin Young scopre la sua tomba in un cimitero di Surabaya. «Il nome era stato vandalizzato, ma certo questa era la sua tomba – indistinguibile come ci si sarebbe aspettato, senza volto e senza nome, pure, abbandonata a marcire in un cimitero dimenticato. Povero Olmejier! Ovunque sia spero sappia che Conrad lo ha reso immortale». I francesi, di solito, viaggiano per perdersi o per depredare; gli inglesi lo fanno scoprendo in ogni angolo remoto del mondo un pezzo della loro contea: sempre in tour, con cinico sussiego. Nel Preludio che apre Sui mari di Lord Jim, Gavin Young discute di Joseph Conrad, «dei luoghi a lui cari nel Sud-Est asiatico», con un prof di letteratura, davanti a una tazza di Earl Grey, «nel cielo blu pallido e molto poco tropicale del Warwickshire». In questo libro pieno di tombe, l’ultima è quella di Joseph Conrad: a Canterbury, priva di croce. Sulla lastra in pietra bianca sono incisi alcuni versi di Edmund Spenser: «Una grande gioia dona il sonno dopo la fatica,/ il porto dopo la tempesta, la morte dopo la vita». Non sono particolarmente originali. È più appropriata la frase tratta, pare, dai fratelli Grimm, che apre Gioventù: «qualcosa di umano è più caro per me di tutte le ricchezze del mondo». Si viaggia per amore dell’uomo, per sconfiggere il demone che ci divora, per dissotterrare gli eroi e pungolare gli spettri.