Corriere della Sera, 12 febbraio 2023
Intervista all’ex moglie di Gianni Vattimo
Capelli bianchi con un caschetto scomposto, sigaretta accesa, un viso un po’ scavato che ricorda quello di Valeria Bruni Tedeschi. C’è anche una moglie segreta nella storia intricata e malinconica del filosofo Gianni Vattimo e del suo assistente condannato a due anni di carcere per circonvenzione d’incapace. E questa non è solo la versione colta del feuilleton che imperversa in tv su Gina Lollobrigida e il suo assistente che è a processo per circonvenzione d’incapace. Le due storie, una in cui l’eredità contesa include un taccuino di Fidel Castro, l’altra dove si discute se la diva fosse solita spostarsi in elicottero, sono la summa di un’Italia che va via via diventando Paese di anziani longevi come mai, ma anche soli come mai, con meno fratelli, con meno figli o nessun figlio e perciò bisognosi dell’aiuto di qualcuno più giovane e sperabilmente non malintenzionato, anziani che vanno massicciamente incontro al nuovo dilemma da talk show: si può essere capaci di intendere e di volere e però influenzabili e quindi privati della libertà di decidere della propria vita e dei propri soldi?
Martine Tedeschi, 66 anni, medico, psicoterapeuta torinese (e sì, cugina di secondo grado di Valeria e di Carla Bruni), è stata la moglie di Gianni Vattimo dal 2010 al 2022. Non sono mai stati insieme, ma lei è figlia di una cara amica che non c’è più e il professore l’aveva sposata per poterle lasciare i suoi beni. Poi, ha chiesto il divorzio per poter sposare invece Simone Caminada, il suo giovane assistente, brasiliano, oggi 38 anni. Ma, col processo in corso, scattato dopo una segnalazione del medico curante di Vattimo, l’unione civile è stata bloccata, prima a Torino, poi a Vimercate. Martine, finora, se n’è stata zitta.
Che amicizia era quella di sua madre e Vattimo?
«Un’amicizia che durava da oltre cinquant’anni. Si sono sempre visti, con un giro di amici stretti che andavano al cinema insieme, mangiavano insieme, facevano vacanze insieme. Da che avevo dieci anni, Gianni, nella mia vita, c’è sempre stato. E quando sono cresciuta, l’ho frequentato anche indipendentemente da mia madre».
Chi era sua madre?
«Nessuno di celebre, un’insegnante con una testa molto bella, molto colta, sempre al centro di circoli di artisti, cineasti, intellettuali».
Come arriva la decisione sua e di Vattimo di sposarvi?
«Un giorno, mi disse che non voleva che i suoi averi andassero perduti e, non avendo nessuno a cui lasciarli, mi propose di sposarci, continuando, però, a fare ognuno la propria vita. Pensavo che scherzasse. Poi, all’ennesimo rinnovo di proposta, gli ho chiesto: stai dicendo sul serio? Per non far circolare la notizia, ci siamo sposati in Francia, a Roquebrune-Cap-Martin, dove aveva una casa. C’erano con noi solo gli amici stretti. Dopo, tutto è andato avanti come prima. Almeno fino all’arrivo di Simone, due o tre anni dopo».
Vattimo ha detto al Corriere che il matrimonio era più utile a lei che a lui.
«La spiegazione che mi sono data è che ha pensato a me perché tra i figli dei suoi amici sono l’unica non sposata, che non ha una casa e a cui nessuno ha lasciato niente».
Però porta un cognome dell’alta borghesia torinese.
«Mio padre si è giocato tutto in investimenti sbagliati. E i miei si sono separati quando avevo due anni e mezzo, l’ho sempre visto, ma non ho vissuto il suo ambiente. Ho scoperto di essere parente di Carla Bruni solo quando lei è apparsa sui giornali».
Cosa succede quando entra in scena Caminada?
«Ha preso sempre più spazio e si è conquistato Gianni finché l’ha convinto che era da sposare. Quando nel 2017 Gianni mi ha detto “divorziamo” sono rimasta di stucco».
Non aveva avuto avvisaglie?
«Sono stata un po’ babbiona: non ho capito che Simone raggirava anche me, gli occhi mi si sono aperti di colpo e ho capito che faceva l’amicone solo per farmi accettare più facilmente il divorzio. Eppure, avrei dovuto accorgermi dell’attenzione che metteva sulle questioni economiche. Io avevo la firma sul conto di Gianni, ma non ho mai interferito con le sue scelte e le sue spese. Simone, intanto, aveva ormai accesso alla sua mail, alle sue password. Un giorno, essendoci crisi di liquidità, io e lui abbiamo controllato gli estratti conto e ci siamo accorti, per esempio, che Gianni mandava duemila euro al mese a un ragazzo in Sudamerica, per aiutarlo a finire Medicina, ma lo faceva da anni e anni e questo ragazzo doveva essere ormai già medico da un pezzo. A un altro aveva pagato il dentista, a una ragazza pagava l’affitto... Era tutto così».
Vattimo sostiene che Caminada è stato prezioso nel limitare la sua generosità, ma il tribunale ritiene che lo abbia fatto per tutelare la sua eredità.
«Quando, da testimone, mi hanno chiesto che penso di lui ho risposto che lo raggira. E a me un funzionario della banca manifestò preoccupazione perché Gianni aveva comprato una casa a Simone e pagava sua madre come badante. Ma non c’era più verso di parlare con lui: tutti gli amici cari sono stati allontanati da Simone e ora tutti patiscono per Gianni senza poterlo avvicinare. Telefonavano ma rispondeva Simone e diceva che Gianni dormiva o era impegnato. Oppure Gianni rispondeva, ma Simone era presente e lui non era libero di parlare o si sentiva Simone parlar male e a voce alta delle persone con cui Gianni era al telefono».
Il tribunale aveva imposto al professore un amministratore di sostegno, poi lui ha vinto il ricorso e non ce l’ha più. Lei, da medico, ritiene che ne abbia bisogno?
«Certo, di uno che gestisca i sui soldi, controlli le bollette: cose normali che da tempo lui non è più in grado di fare. Ed è necessario perché già ai tempi del divorzio i suoi soldi erano diminuiti drasticamente».
Il professore, a 87 anni, come sta fisicamente?
«Già prima che chiedesse la separazione, le difficoltà a muoversi erano aumentate e non poteva essere lasciato solo la notte».
Alla fine, e di nuovo lo chiedo al medico, pure la mente più brillante può restare ostaggio di chi si prende cura del suo fisico malandato?
«Si finisce per dipendere da chi ti aiuta a far tutto. Gianni non è incapace di intendere o di volere, ma è facilmente influenzabile da Caminada, che può fargli fare tutto quello che vuole».
Lei come prese la richiesta di divorzio?
«Ci sono rimasta male. E ho speso pure undicimila euro di avvocato. Abbiamo fatto una consensuale, Gianni mi paga un assegno divorzile minimo. Non sapevo neanche che fosse obbligatorio. Ma credo che lo faccia volentieri. Io non ce l’ho con lui, anche se sono combattuta: continuo a volergli bene, ma a volte potrei anche dargli delle martellate in testa. Non solo perché mi ha illusa di poter fare una vecchiaia tranquilla e non è così. Sono arrabbiata perché mi sembra che non ragioni in autonomia».
Forse è arrabbiata perché si è sentita abbandonata da una figura paterna?
«Le domande le ho fatte anche a me stessa e credo di aver cercato in quel matrimonio il riferimento paterno che non ho avuto. Ma, soprattutto, sono arrabbiata perché, se Gianni fosse contento, saremmo contenti tutti, il problema è che non mi sembra contento: anche se non gli parlo da più di un anno, in ogni foto, mi sembra molto, molto, triste».