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 2023  febbraio 12 Domenica calendario

Cronaca di Sanremo 2023

La ministra Daniela Santanché dice – tra sarcasmo e rassegnazione – che il Festival di Sanremo è un po’ comunista (i russi, in effetti, vanno pazzi per quel palco: e Putin è un noto fan scatenato di Al Bano. Che, infatti, anni fa, pregò Romina di dimenticare per una sera la Lecciso e tornare a cantare insieme a lui, sulla gelida Piazza Rossa, Felicità — Al Bano, mitico, indossava un colbacco).
Però, calma: non saltare subito alle conclusioni.
E niente teoremi, ma fatti.
Anche nostri (così ci capiamo meglio).
In via Solferino, nella sala Albertini, il Festival di Sanremo è sempre stato – per 72 edizioni – un evento gestito dagli Spettacoli. Riunione con liturgia classica, tipo: che pezzi scriveranno gli inviati Renato Franco e Andrea Laffranchi, c’è un video di Nino Luca, Aldo Grasso manda un commento. Quest’anno ci siamo dovuti adeguare: avete letto le dichiarazioni di Matteo Salvini? Qualcuno senta Palazzo Chigi, è arrivata una nota del Pd, si potrebbe intervistare anche Ignazio La Russa, no? Certo se mettiamo in pagina La Russa, poi dobbiamo far saltare Mengoni.
Il rumore della politica ha (quasi) coperto le canzoni. Così, di botto. Con il centrodestra di governo che ha cominciato a guardare il Festival come se fosse una convention dell’opposizione. Cinque giorni francamente pazzeschi. Con le polemiche per la presenza del presidente ucraino Zelensky come sigla di apertura e di chiusura. Compatto e trasversale il fronte dei contrari. Dal vignettista Vauro Senesi a Carlo Freccero, da Moni Ovadia a Salvini che, delicatissimo, sintetizza per tutti: «Ho sempre pensato che, in un contesto di musica popolare, di svago, di gioia, di paillettes e di luci, portare Zelensky fosse fuori luogo: sia in presenza, sia in video, sia con un messaggio». Il Pd insinua che questo, più o meno, è lo stesso pensiero di Putin: ma siamo alle supposizioni inverificabili, perché – come sapete – attualmente il dittatore russo preferisce non farsi intervistare, ma bombardare.
Comunque: cronaca battente fin dalla prima sera.
Ricordate?
Roberto Benigni, magnifico folletto di settant’anni che – con un’esibizione geniale, appassionata, piena di antifascismo, citando l’articolo 21, sulla libertà d’espressione, e l’11, sul ripudio della guerra – celebra tutta la bellezza della nostra Costituzione, mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, appare d’incanto accompagnato dalla figlia Laura. D’incanto, esatto: la sua presenza così clamorosa – prima volta di un nostro Capo di Stato al concorso musicale – è tenuta infatti nascosta fino all’ultimo; trattative segrete tra il Quirinale, Amadeus e il suo agente Lucio Presta (che oltre agli interessi del direttore artistico, cura pure quelli di Benigni e Gianni Morandi); informato solo l’ad Carlo Fuortes; i consiglieri del Cda Rai eletti in Parlamento (Agnes, Bria, Di Blasio, Di Majo, Laganà), tenuti all’oscuro di tutto, scrivono una rovente lettera di protesta. Però, vabbè: Morandi attacca a cantare l’Inno di Mameli e il Presidente Mattarella gli va dietro. Standing ovation, brividi, dietrologie: lo sapete che la riforma a cui tiene maggiormente la premier Giorgia Meloni è proprio quella della Costituzione? E che la sua predilezione per il «presidenzialismo» è forte tanto quanto quella di Mattarella per il «parlamentarismo»? Polemiche durissime.
Alfredo Antoniozzi, vice-presidente dei deputati di FdI: «Benigni non è un costituzionalista, sul palco avrei preferito Sabino Cassese». Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura: «Ricordo solo che Mattarella fu iscritto al Pd, Benigni prese in braccio Berlinguer, Morandi ha sempre votato Pci e Pd». E ancora Salvini, collegato a Rtl 102,5 (ma cinque anni fa al Teatro Ariston con la fidanzata dell’epoca, l’indimenticata Elisa Isoardi, che gli scattava selfie mentre dormiva): «Mattarella? Era lì per svagarsi».
È a questo punto che Amadeus si scoccia di brutto – «Sono quattro anni che Salvini critica il Festival, si guardi un film» – e così ad alcuni osservatori viene il sospetto che le primarie del Pd siano inutili: perché un vero leader, l’opposizione, forse già ce l’ha. E guida un partito televisivo che sta al 66% di share con oltre 11 milioni di spettatori (i dati della serata di venerdì). La politica s’accorge che il simpaticone dai modi cortesi e le occhiate ingenue, capace di indossare giacche terrificanti (Ama, perdoni: ma dove le trova?) e fare umilmente la spalla a Fiorello, è diventato – di colpo – molto sicuro e molto potente. Non solo ha liquidato Salvini con un sorriso di ferro, ma ha schierato sul palco quattro donne che, con i loro monologhi, sono state capaci di scaldare i cuori di una sinistra da tempo disorientata, remissiva e perdente. Chiara Ferragni: puro femminismo, Elly Schlein – quella notte – non ha chiuso occhio; Francesca Fagnani: splendida sulle carceri; Paola Egonu: netta sul razzismo, molto meglio lei di certi sinistrorsi alla Nicola Fratoianni, responsabile dell’elezione di Soumahoro, quello che «anch’io ho diritto all’eleganza»; Chiara Francini: coraggiosa sulla maternità.
Capita l’atmosfera, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano detta un passaggio della scaletta: «Credo che il Festival, nell’anniversario del 10 febbraio, debba dedicare un ricordo all’orrore delle Foibe». Amadeus (furbissimo) accetta subito il consiglio.
Ma i due numeri del signor Ferragni (cioè Fedez) sono stati incendiari. Prima, durante un freestyle, ha strappato la foto del vice-ministro Galeazzo Bignami, il tipo che va alle feste di addio al nubilato vestito da ufficiale delle SS (un altro di FdI, il famoso Giovanni Donzelli, ha raccontato d’essersi travestito da Minnie: e quindi sì, certo, boh). Poi, cantando con gli Articolo 31, Fedez ha urlato: «Giorgia, legalizzala!» (si suppone la droga leggera).
C’è un altro articolo in cui leggerete tutti i dettagli della baruffa. Comunque la cosa più gentile che gli hanno urlato dal governo è stata: «Comunista con il Rolex!». Un grande classico. Anche Ernesto Che Guevara detto «Il Che», quando fu ucciso, ne aveva uno al polso: il Gmt Master ref. 1675, con bracciale Oyster e ghiera nera.