Tuttolibri, 11 febbraio 2023
Il capitalismo stellare
Alcuni libri producono un suono particolare, il suono delle sirene di allarme. Capitalismo Stellare, scritto da Marcello Spagnulo con la prefazione di Alessandro Aresu, è uno di questi. L’autore infatti, alla luce di più di trent’anni di esperienza nel settore aerospaziale come ingegnere aeronautico, manager e analista, lancia come un grido in solitaria rispetto ai rischi di una narrazione apologetica della cosiddetta space economy. La tesi del libro è che quello che è accaduto negli ultimi vent’anni con le big tech – Google, Amazon, Facebook e Apple – passate dall’essere considerate paradigma di inclusione e libertà a pericolose monopoliste dei nostri dati e del nostro tempo, accadrà, anzi, sta già accadendo con le grandi società private volte alla conquista dello spazio. Se non altro, perché sono esattamente le stesse companies, se non addirittura le stesse persone, proprietarie dei colossi di cui sopra, a rivolgere oggi lo sguardo e gli investimenti verso il cielo, e con lo stesso atteggiamento predatorio e che hanno avuto nei confronti dei business che hanno inventato e monopolizzato sulla Terra. Sono i rich guys in love with rockets, i ricchi ragazzi innamorati dei razzi – come li definì Donald Trump e i più famosi sono Elon Musk, patron di Tesla e di Space X, Richard Branson, fondatore di Virgin Galactic, Jeff Bezos, proprietario di Amazon e di Blue Origin e Peter Thiel, già capo di PayPal e ora di Palantir, colosso dei big data che ha appena lanciato in orbita i suoi primi satelliti. Naturalmente tutti questi «giga-capitalisti» brandiscono il miraggio del progresso tecnologico o della colonizzazione di altri pianeti per suscitare ammirazione, «mentre in realtà – scrive Spagnulo – stanno plasmando a livello planetario nuove forme globali di economia e di società strettamente a misura delle loro imprese e dei loro prodotti».Nel metodo, i capitalisti stellari vogliono mantenere il ruolo di gatekeepers, chiudendo i cancelli alla possibile concorrenza secondo il principio enunciato da Thiel in Da Zero a Uno, e cioè che «il progresso discende dal monopolio e non dalla competizione». Nel merito, invece, il loro obiettivo è la colonizzazione dello spazio come luogo vergine che assicuri loro materie prime rare e possibilità di osservare – ma in alcuni casi sarebbe meglio dire di spiare – la Terra dal cielo. E vogliono creare ecosistemi di business al tempo stesso interrelati e autosufficienti. Il caso di Tesla e di Space X, in questo senso, è emblematico. Basti pensare che già oggi chi compra una Tesla può opzionare una connessione satellitare Starlink che, ovviamente, appartiene sempre a Elon Musk. Il settimanale The Economist l’ha definita «The great Teslafication» sottolineando come il modello Tesla – che accentra nelle sue fabbriche la quasi totalità delle catene di approvvigionamento – punti a diventare il paradigma dell’industria automobilistica del futuro, con macchine sempre più simili a computer su ruote collegate allo spazio. La cinese Geely, ad esempio, già proprietaria della svedese Volvo, sta per lanciare una costellazione satellitare a supporto dei suoi futuri veicoli autonomi, ma persino il gruppo Porsche-Wolkswagen ha acquisito una partecipazione nella società Isar Aerospace.Tutto questo, secondo Spagnulo, non ha ricadute soltanto economiche, ma anche democratiche, ambientali e geopolitiche. Democratiche perché questa nuova era dominata dai baroni dello spazio che hanno ormai capitalizzazioni superiori agli Stati si configura come «una nuova globalizzazione tecnologica con caratteristiche di libertà solo formali, ma di fatto – scrive Spagnulo – è incardinata su binari di un cogente capitalismo di sorveglianza». Se sul piano democratico le ripercussioni sono facilmente intuibili, le conseguenze ambientali di questo assalto al cielo, invece, sono invisibili a occhio nudo, ma non meno gravi. In particolare, quello che l’autore definisce l’Antropocene Spaziale, è causa di due tipologie principali di inquinamento, uno su base fisica e l’altro su base chimica. Il primo tipo di inquinamento è dettato principalmente dall’immensa mole di detriti e oggetti lasciati morire in orbita – l’Esa stima oltre 36.500 oggetti più grandi di 10 cm. Senza contare poi che l’enorme numero di lanci di satelliti previsti nei prossimi anni causerà impatti visivi gravissimi sulla scienza astronomica, «accecando» di fatto anche i più moderni telescopi.Sul piano chimico invece, a questi ritmi di crescita dei lanci spaziali con motori alimentati a idrocarburi, lo strato di ozono verrebbe pesantemente danneggiato, modificando così il modello di circolazione dell’atmosfera, come stima un rapporto del Journal of Geophysical Research Atmospheres.La più temibile conseguenza di questa corsa allo spazio, tuttavia, rischia di essere quella geopolitica. Ne sa qualcosa il ministero della Difesa di Pechino, che considera la «biosfera SpaceX» un potente mezzo nelle mani del governo Usa per «portare il mondo in un altro caos o calamità». Spagnulo chiama i conflitti spaziali già in atto le «Star Wars X». Sono guerre che si svolgono mediante sempre più sofisticate armi antisatellite e potrebbero culminare in temute operazioni nucleari spaziali, con il paradosso che simili azioni, pur nella loro gravità, «non sarebbero considerati attacchi atomici rivolti a una nazione specifica, perché l’orbita terrestre è nei fatti di tutti e, quindi, purtroppo, di nessuno».Speriamo di non doverci trovare mai a dare certe risposte. Nel frattempo, sarebbe utile iniziare a prendere sul serio le domande che ci pone Spagnulo.