Robinson, 11 febbraio 2023
Lettere ad Albertone
Un’ammiratrice («mi scusi, ma non firmo»): «Caro Alberto, avevo nove anni quando Lei interpretò il suo primo film. D’allora Lei è stato un personaggio sempre presente nella mia vita». Mario, dirigente Ufficio Postale di Teramo, 1988: «Carissimo. Vengo con la presente a proporle la realizzazione di un meraviglioso ed impegnativo film a livello internazionale della durata di tre ore, sarà un vero capolavoro». Centinaia di testimonianze d’affetto del pubblico per un attore a cui si guarda come a un parente, al dio accessibile della risata, allo specchio di un Paese, lettere dell’Archivio Sordi raccolte nel volume
(Laterza) curato da Alberto Crespi, con le prefazioni di Walter Veltroni e Carlo Verdone.
Dietro il personaggio pubblico, come per molti artisti, c’era una personalità complessa che è cambiata nel tempo. «In mezzo alla gente era il Sordi che amiamo e che vogliamo, in privato il carattere era un altro», sottolinea Carlo Verdone, che ha sempre rifiutato l’investitura di suo
erede cinematografico. Veltroni lo racconta invece in un’altra età, quando preparava con il padre Vittorio Veltroni e Ettore Scola esilaranti trasmissioni radiofoniche, tra scherzi surreali e pranzi pieni di battute e aneddoti: «Era l’opposto del cliché del comico triste, che fa ridere in pubblico ma è malinconico in privato. Solo negli ultimi anni si era intristito, capiva di non assomigliare più al se stesso di un tempo». Caro Alberto è diviso in tre parti, la prima con le missive degli ammiratori, poi biglietti e inviti di colleghi celebri e politici, infine il dolore spedito o lasciato dopo la morte alla villa romana di via Druso 45, oggi sede della Fondazione Museo, che con questo libro ne celebra i vent’anni dalla morte.
Sordi è stato un incredibile archivista, conservava e catalogava film, sceneggiature, resoconti bancari, biglietti, contratti, locandine, messaggi. Non rispondeva a tutte le lettere, ma annotava i nomi dei fortunati che avevano avuto la foto con l’autografo. Pochissime le persone che
l’hanno conosciuto davvero, che hanno varcato il muro di quella ritirata, lo stile monastico, il fratello e le sorelle come sponda e rifugio. Eppure è stato un amico, un modello, un parente che ha aiutato, con i suoi film, i personaggi, le battute, tante persone, facendo anche qualche piccolo miracolo terapeutico. Una signora romana gli racconta la propria depressione: «A casa da mesi, senza parlare o sorridere, sul mio letto di tristezza vedevo la tv come qualcosa di lontano. Poi misero in onda una serie di suoi film (...). Le battute esilaranti, le magnifiche espressioni cominciarono a destare la mia attenzione e il sorriso tornò sulle mie labbra. I farmaci facevano effetto, ma lei è stato determinante per la mia guarigione». Sono fogli vergati a mano o battuti a macchina, con fiori, ritagli di giornali, svolazzi, le foto di Anne Geddes. Ottavio di Acerra, 12 anni: «Quaggiù c’è un fotomontaggio con me e te. Ti lascio il mio telefono. Se vuoi puoi pure non telefonarmi, tu sei un grande, io nun songo nisciuno. Vorrei fare l’attore, anche se fosse solo teatro mi contento». Guido, 17enne di Matera, racconta di quando marinava ascuola per andare in una sala di paese a vedere i suoi film «del resto dovremmo studiarli nella scuola». Axel, ventitreenne studente di cinema, da Sospiro, ricorda inI nuovi Mostri quando Sordi lascia la madre anziana in ospizio «visto da piccolo, ho pianto tanto. Per qualche strana alchimia nella mia vita c’è un po’ di Sordi». Tante le ammiratrici, Mirella da Milano, nel giugno del ‘98, implora: «Fate il possibile per far leggere al signor Sordi questa lettera», complimenti per Nestore, con cui «ha dato una lezione ai miei concittadini di adottare i cavalli altrimenti destinati a morire», la richiesta di foto «ho già comperato la cornice per mettercela!». Fanny da Aprilia chiede aiuto per salvare «tre creature equine destinate al macello». Una ex indossatrice lo invita a cena, sottolineando «non sono tanto brutta». Dal mondo: Sebastian scrive dall’Olanda, chiamandolo Father Christmas, dall’Iran una lettera spartito con le quartine di Omar- Khayyam, conigli e coccinelle dalla Germania da parte di Marco. Divertenti la proposta di tagliare Monte Testaccio per recuperare il Ponentino, la richiesta di scarpe per una istallazione, le lettere firmate come il robot Caterina del film o dalla nobildonna romana Beatrice Cenci. Nella seconda parte biglietti di colleghi e politici come Giulio Andreotti. Nel Natale ’62 gli auguri di Sylva Koscina e Lea Padovani. E poi De Sica, Lollobrigida, Anthony Quinn con le foto di famiglia. Due lettere di Monica Vitti, nel ’ 96: «Sono dispiaciutissima e ci ho anche pianto, per non poter essere stata con te per il tuo compleanno» e il no a un film insieme, «sarebbe stata una gioia, siamo due compagni di giochi che si amano come fratelli». Infine i tanti messaggi dopo la scomparsa, il 24 febbraio 2002: «A lupa t’ha allattato, er monno t’ha adottato», «È come se ‘na mattina se semo svegliati senza er Colosseo», «Si spegne il cuore di Roma»