Robinson, 11 febbraio 2023
Il carteggio ad alto tasso di erotismo, e finora inedito, tra Manganelli e l’ex partigiana Flamini
Un amore goloso. Viene il dubbio che gran parte del mistero di uno dei più grandi autori del Novecento sia racchiuso in questa folgorante stagione del 1960, quando un quasi quarantenne che aveva già alle spalle la guerra partigiana, un matrimonio, una figlia (Lietta, oggi sua biografa), il legame con Alda Merini e l’inizio di un lungo lavoro editoriale – ma non era ancora uno scrittore – all’improvviso incontra la sua «anima carnale». Una stagione all’inferno, ma al contrario. Stavolta il demone che per sempre lo dominerà si chiama Eros.
«Sono un mandrillo con gli occhiali» dirà di se stesso Giorgio Manganelli. Oggi questo cruciale spaccato di vita viene rivelato dal carteggio tra lo scrittore e l’intellettuale romana, partigiana e azionista Ebe Flamini (Mia anima carnale. Lettere a Ebe, Sellerio, a cura di Salvatore Silvano Nigro). Sono epistole che rivelano l’animo umano nella sua nudità. Non solo: in molte, sottolinea il curatore, si spalanca la bottega dell’artista. Si tratta di vere prove d’autore per l’imminente Hilarotragoedia, primo capolavoro ed esordio «in stile tardo» del 1964. «Verbolerie manganelliane» le definisce Nigro.
Il Manga è un geroglifico. Ogni volta che credi di averlo interpretato, ti sconcerta. Così in letteratura come nella biografia. «Cara la mia cotogna, tu mi sembri un morbido, sugoso frutto autunnale… quei frutti deliziosi, voluttuosi, goccianti zuccheri interiori, che hanno una lunga, afra e lazza (acerbetta) adolescenza, quando erano piccoli e duri, e legavano i denti. Ora sei nespola, ananasso, pompelmo e cotugna. E io ti voglio mangiare, ammannita sul desco delle tue lenzuola» gli scriveva lui. E lei rispondeva: «Al tuo ritorno… potrai venire a gustare la tua cotogna sul desco delle lenzuola nella usata stanza. Ti attendo, mio caro, e ti desidero tanto e intensamente… desidero riaverti accanto per essere addentata come polpa e stringerti tra le braccia».
Gli inizi furono in salita. Manganelli ha 38 anni, Ebe 43. Si conoscono nella villa “La Rufola” di Sorrento di Giuliana Benzoni. Quindici anni dopo la guerra, il Paese è animato da movimenti che hanno rispolverato l’utopia risorgimentale, ritenendo giunto il momento «dopo l’Italia di fare finalmente anche gli italiani». Il gruppo di Collaborazione Civica, nel quale Ebe lavora, è uno di questi. Manganelli, in quelle riunioni,è frastornato: si sente dentro un quadro di Chagall, come se il provocante capolavoro L’origine del mondo di Gustave Courbet fosse esposto «nell’aria visionaria di un’aula scolastica, accecando le pareti». Inizia a scriverle lettere prudenti, ma poi sarà la stessa Ebe a invitarlo a piantarla con «inchini e salamalecchi». Lui, allora, si lascia andare alla «relazione rapinosa» e ammette: «Sono avviluppato in brodi bollenti». Poi sancisce: «Ebe è anima di cerva».
Il cacciatore è stato catturato. Per giunta, in quei mesi, Manga è in analisi. Ha appena seguito il consiglio della poetessa Cristina Campo di rivolgersi allo psicoterapeuta tedesco Ernst Bernhard, che avrà in cura anche Natalia Ginzburg e Federico Fellini. Bernhard è un professionista singolare: amico dell’orientalista Giuseppe Tucci, nello studio romano di via Gregoriana non disdegna di consultare l’oracolo cinese degli I-Ching. Ma la terapia funziona. In una lettera del 23 maggio 1961 Manganelli confessa a Ebe «il complesso della Grande Madre»: «Non sono padrone di me, lo sarò mai? Voglio essere libero, essere me stesso, non crollare davanti ai miserabili miti della mia infanzia. Vattene, sventurato Edipo». E scrive: «Non una divinità sia Ebe, ma una donna… un nome brevissimo e colmo d’indugio… è carnalmente il nome di un corpo, del corpo di Ebe, che è amore e violenza, è caverna, e gorgo, e fosforescenza, è geometria ed è foglia, è l’aprirsi nell’aria di una voragine precipitosa e mansueta».
Negli anni ’70, quelli dei viaggi in Africa, Malesia, Filippine, Ebe diventa «una Penelope più fortunata, poiché riceve i messaggi dell’errante». Qui, «in deliri alla Poe», lo scrittore scopre un mondo «preistorico e preumano, deposito di angosce, di orrori e di incredibili splendori» che costituisce tuttora la sua attualità. E preconizza l’avvento di una nuova specie di «recensione recitante» dei libri, in luogo dell’abituale prosa accademica.
Ma nell’agosto del 1973 Ebe rivela nel diario l’inizio di una relazione con Viola Papetti. «Tra Giorgio e Ebe si apre un abisso» sottolinea Nigro. Le lettere si interrompono per sempre. Da allora solo cartoline. Ma non finisce qui: Manganelli avrà una relazione con la stessa Viola. Racconta Nigro: «Ci furono anche altre amanti, l’ultima la traduttrice tedesca. Al funerale nel ’90 partecipò un esercito di donne, tutte in nero, ciascuna sentendosi vedova. Ma la sua Penelope e la sua Circe restò per sempre Ebe».