Corriere della Sera, 11 febbraio 2023
In morte di Carlos Saura
È morto ieri a 91 anni per insufficienza respiratoria, a Madrid, il grande regista spagnolo Carlos Saura, che proprio stasera avrebbe dovuto ritirare a Siviglia il Goya d’onore alla carriera, dopo averne vinti altri per i suoi film, come a Cannes e Berlino, e dopo tre candidature all’Oscar.
Una carriera lunga, sempre in equilibrio delicato tra il reale e il fantastico, il pugno e la carezza, il silenzio e la musica, che aveva saputo toccare molti tasti, la cultura del suo Paese, la dittatura franchista ed ha molto lottato con la censura ma era ammirato da Kubrick. Ha lavorato fino all’ultimo, con un Io, don Giovanni nel 2009, Flamenco flamenco nel 2010 e un documentario su Renzo Piano del 2016. «Sono stato fortunato nella vita, avendo avuto la possibilità di fare ciò che mi interessa di più, cinema, teatro, opera e pittura». L’ultimo documentario era sulla evoluzione dell’arte murale, dalle grotte ai graffiti. Nato da una famiglia di artisti a Huesca, Spagna, nel ‘32, trasferito a Madrid dopo la guerra civile, sposa per prima la passione per la fotografia da cui accede alla scuola di cinema. Il primo lungometraggio del ‘59 è I monelli, che, come I figli della violenza di Buñuel, è un ritratto dei ragazzi sbandati dei sobborghi di Madrid che sognano di essere toreri, sposando così le istanze del realismo con la camera a mano della nouvelle vague. Con La caccia del ‘65 vince l’Orso d’argento a Berlino, parlando sottotraccia della violenza a vari strati del suo Paese, nell’ombra lunga del fantasma della guerra civile. Frappé alla menta del ‘67 è il titolo più immaginifico, pieno di ossessioni religiose e sessuali, fantasy alla spagnola: critico del reale ed esploratore dell’intimo, soprattutto femminile, sapeva alternare i due tasti, con un occhio di riguardo verso le metamorfosi della borghesia.
Nella Tana del ‘69 lavora con Geraldine Chaplin che diventerà la sua compagna: scritto con Azcona, è un’anatomia del rapporto coniugale. Inevitabile lo scontro con la censura (Il giardino delle delizie del ‘69), fino ad Anna e i lupi del ‘72, ancora un film sui poteri forti che hanno dominato la Spagna dal dopoguerra a oggi. La cugina Angelica del ‘74 fa dire a Buñuel che avrebbe dato la vita per girare un film simile. Ma il suo successo fu Cría cuervos (Premio della giuria a Cannes), sul mondo dell’infanzia, da cui passa all’indagine della figura della donna (l’intimista Elisa, vita mia) mentre Gli occhi bendati affronta il tema della tortura. Con Mamà compie 100 anni torna alla tragicommedia della straniera Anna che torna in Spagna dopo Franco, e con In fretta in fretta sulla delinquenza giovanile vince l’Orso d’oro a Berlino.
Bodas de sangre – Nozze di sangue, da García Lorca, segna l’inizio di una lunga collaborazione artistica col danzatore e coreografo Antonio Gadès con cui condivide l’esaltazione passionale in Carmen Story, da Bizet, L’amore stregone in cui il flamenco diventa la radice d’una cultura, come se con la danza si potesse raccontare anche la storia. L’allegoria, l’ossessione, la musica sono il triangolo della sua poetica fortemente buñueliana, tanto che, dopo un periodo stanco, torna con Flamenco nel ‘95 e Tango del ‘98, oltre al bio movie su Goya (99), ricerca sulla luce e il movimento, mentre nel ‘92 è autore del doc ufficiale del Giochi olimpici di Barcellona.