la Repubblica, 10 febbraio 2023
Codice Vermeer
La ragazza con l’orecchino di perla, notevole romanzo di Tracy Chevalier uscito con la fine del primo millennio nel 1999, ha dato un contributo determinante alla creazione del mito Vermeer, grazie anche, e forse soprattutto, al bel film che nel 2003 ne trasse Peter Webber con immenso successo. Johannes Vermeer è l’ autore del mitico quadro conservato al Mauritshuis de L’Aia. Non aveva certo bisogno di quel romanzo per crescere di fama, ma per entrare nel mito forse sì, tanto che adesso dire mostra di Vermeer è come dire mostra di Caravaggio, Van Gogh, Warhol, Leonardo. La ragazza con l’ orecchino di perla vale laGioconda e ne ha le caratteristiche: è bellissima, misteriosa, dal fascino magnetico quasi oltre la bellezza stessa.
Ma, a prescindere, la sostanza non cambia perché il punto vero, e che si avverte con assoluta spontaneità, è un altro: chi ha dipinto la ragazza con l’orecchino di perla non è un grande pittore, è un grande artista. Il mistero, poi, aiuta ad alimentare il mito e Vermeer, in tal senso, è un caso da manuale. Di lui complessivamente si sa poco. Scarsissimi sono i documenti d’archivio riguardanti la sua vita e le sue opere. Poche le testimonianze a stampa coeve. Difficile stabilire le datazioni. Persino le firme sui quadri risultano talvolta dubbie, anche se quasi sempre antiche. Non si sa nulla su eventuali imitatori o copisti che pure dovettero esistere a giudicare da alcuni quadri che circolano adesso, attribuiti a Vermeer ma con scarso fondamento. Per secoli di Vermeer di Delft si è parlato e scritto poco. Una cosa, però, è chiara e forse lo è sempre stata: il suo stile è unico e inconfondibile, la qualità della sua pittura è sublime, magica. C’è in effetti nei suoi quadri un misto, sconcertante e affascinante, dell’ovvio e dell’insondabile. La bella ragazza che legge una lettera che cosa legge? Una lettera è evidente, ma non si vede che cosa c’è scritto, non si sa chi l’ha scritta né si sa lei chi è. Una domestica si avvicina alla padrona all’interno della casa e le consegna una lettera interrompendola mentre sta suonando. Le due donne si guardano con lieta complicità. Ma di che? In un altro quadro un ragazzo e una ragazza conversano. Lei gli sorride come se la felicità che sente in sé si espandesse nell’aria e divenisse qualcosa di tangibile. Ma perché, di che stanno parlando? In una stanza della casa alcune persone si avvicinano ad un cembalo ma sono di schiena, non si capisce cosa stiano facendo effettivamente. Anche il pittore nello studio è visto di spalle. Sembra che stia dipingendo ma non è in abito da lavoro. La modella regge in mano la tromba della Fama. Ma il Maestro la sta guardando o no? È così sempre in tutte le opere autografe. E tutto questo può ben essere letto in chiave di ovvietà. Come tanti altri pittori di quel tempo operosi nei Paesi Bassi e a Delft in particolare, Vermeer produce quadri che sono il documento della vita quotidiana in una casa borghese e ricca, dotata di arredi cospicui, di bei quadri e frequentata da belle persone che vivono una bella vita. Gli ambienti sono arredati di cose belle, carte geografiche, predilette da quella cultura, mappamondi, quadri della moderna scuola caravaggesca, strumenti musicali e scientifici concretamente utilizzati dai padroni di casa. A quel tempo i pittori di interni fungevano un po’ anche da agenti immobiliari e arredatori. Le cose che rappresentavano nei quadri le vendevano, dando una sorta di servizio completo ai clienti. Vermeer non fa eccezione e si sa bene che ha sempre svolto, proseguendo peraltro una attività familiare, il lavoro di consulente e commerciante di dipinti di cui pare fosse eccellente conoscitore, pur non essendo mai stato in Italia. Perché allora dipinge quadri di cui non si capisce bene cosa vogliano veramente dire, se non l’immediatezza della percezione, sia pur espressa con sublime qualità pittorica? Una prima risposta facile è che i committenti o acquirenti sapevano benissimo cosa c’è scritto nella lettera, cosa dicono la serva e la padrona o di che parlano i due ragazzi che sembrano la quintessenza della beatitudine. Se il quadro piaceva, i clienti lo compravano e lo mettevano in casa per rallegrarsene come di una persona di famiglia. E indubbiamente questa risposta sarà giusta.
Ma non è del tutto esauriente e infatti ce n’è un’altra, meno giusta e meno logica ma probabilmente vera. È che Vermeer dipinge direttamente l’Arte stessa, la cui primaria caratteristica è che non richiede spiegazioni ma partecipe attenzione. Proust evoca la Veduta di Delft nel racconto della morte di Bergotte. Una scaglia di colore per lui ormai giunto alla fine dell’esistenza. L’immenso cielo in alto, e in basso le chiacchiere della sera sulla sponda del canale. Nella città non c’è nessuno.