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 2023  febbraio 10 Venerdì calendario

Intervista a Tananai

È sempre una questione privata a farci sentire sulla pelle l’orrore della guerra: la quotidianità stravolta e violentata, le bombe che dividono e straziano famiglie. Come quella di Olga e Maxim, 35 anni, e la loro figlia 14enne Liza. Vengono da Smolino, in Ucraina. La guerra li ha separati, lui al fronte e Olga, che era segretaria in una clinica, scappata in Italia un anno fa con Liza. E chi ha pensato ascoltando Tango che Tananai avesse scritto «solo» una canzone d’amore, guardando il videoclip darà un nuovo senso all’«amore tra le palazzine a fuoco»: le immagini sono quelle girate con il telefono, tenere buffe e ordinarie come quelle di tante storie, fino a quando i video cambiano, Olga e Maxim non sono più insieme. E si rispondono «sto bene» quando «come stai?» diventa la domanda più importante del mondo.
Tananai, questa volta si è eclissato, nel video ci sono solo Olga e Maxim.
«Di me ho già parlato abbastanza. È il primo video che faccio senza mettermici dentro, ma l’ho fatto con piacere».
Come ha conosciuto questa storia?
«Avevo già iniziato a scrivere Tango quando Olmo Parenti, il mio videomaker, me l’ha raccontata. In quel momento ho associato due volti alla canzone, che ancora non li aveva. Mi ha toccato profondamente, e mi sono reso conto che nel mio piccolo stavo già parlando un po’ di loro».
Alla fine la guerra, in modo poetico, l’ha portata lei sul palco di Sanremo. Cosa pensa delle polemiche sul messaggio di Zelensky?
«Io non so quale sia il testo di Zelensky. Io cerco di portare un messaggio di pace e speranza. Senza nessuno schieramento politico. Il mio è uno schieramento umano».
Quale impatto si aspetta?
«Ho capito l’anno scorso sulla mia pelle che importanza ha questo palco. Volevo condividere questa storia con quante più persone possibile. Non voglio fare della retorica, è ovvio che non possiamo cambiare le cose che succedono nel mondo, ma sarebbe bello anche solo se qualcun altro sentisse quello che ho sentito io: mi ha fatto rendere conto di quanto sono fortunato e grato di quello che ho. Le persone più grate sono persone più felici e persone più felici fanno del bene, ecco. L’anno scorso mi è andata alla grande perché ho fatto qualcosa in cui credevo, portare un po’ di leggerezza dopo il periodo tremendo del Covid».
L’anno scorso veramente è arrivato ultimo ma in effetti è stato l’inizio del suo successo: come è cambiato in questo anno?
«Mi sento più maturo, ho imparato a dare importanza alle cose. E ho preso più seriamente questo lavoro, faccio una vita più morigerata».
Lei è arrivato ultimo ed è maturato molto. Blanco è arrivato primo e ha devastato il palco. Viva le sconfitte?
«Sinceramente, prima di rispondere vorrei provare a vincere qualcosa».
Magari il Festival? Chi lo vince quest’anno?
«No, non rispondo, non voglio “tirarla” a nessuno. Neanche a me stesso».
Allora parliamo di Biagio Antonacci, con cui duetterà su Vorrei cantare come Biagio Antonacci di Cristicchi. Ha definito Biagio «un suo mito»: davvero? Sembra un po’ quelle cose che si dicono.
«Lo giuro! Se lo incontri capisci che è un puro, la musica che fa rispecchia precisamente com’è. Da ragazzino davvero quando ascoltavo la canzone di Cristicchi pensavo “cavoli, Antonacci è proprio così, canta nei palasport, firma autografi, che figata, vorrei essere anch’io così da grande».
A maggio andrà nei Palasport: i sogni son desideri?
«Piano piano mi sto avvicinando a quel sogno».
E Cristicchi che ne dice?
«È contento, come potrebbe non esserlo? Con noi ci sarà anche Don Joe, uno dei padri italiani del rap».
Con Tango è uscito fuori dai suoi schemi, l’orchestrazione è potente: nessuna paura di aver fatto un pezzo sanremese?
«Ma ben venga un pezzo sanremese a Sanremo. Poi per me quella è avanguardia, sono stato sempre più vicino all’elettronica. E sinceramente mi piace affidarmi soprattutto agli strumenti classici. Quando una canzone funziona bene piano e voce vuol dire che è una bella canzone. E secondo me Tango è una bella canzone.
Cosa vuole dire a chi si classificherà ultimo?
«Di prenderla come la vuole prendere. Non per forza positivamente. Non è vero che bisogna prendere tutto con allegria, con gioia: io sono fatto così e quindi l’ho fatto, però la costante è che bisogna essere se stessi, e se qualcuno si sente abbattuto e triste è giusto che si senta così, e va rispettato. L’importante è cercare di trarne un insegnamento e prendere tutto quello che arriva come una grande lezione per apprezzarsi di più e per migliorare». —