Avvenire, 10 febbraio 2023
Entrare nel metaverso per parlare di morte
Martedì scorso, quando in Italia erano le 19, un gruppo di persone provenienti da diverse parti del mondo ha inforcato degli occhiali/visori per la realtà virtuale e per un’ora ha parlato di morte nel metaverso. Accade da mesi. Accade ogni settimana. Uomini e donne che sono state segnate da un lutto recente o passato, o che stanno affrontando la malattia terminale di un proprio caro, si trovano a condividere pensieri ed emozioni molto intimi in uno spazio virtuale. Per qualcuno è solo una “moda”, per altri persino una follia. Qualunque sia la ragione e qualunque possa essere la nostra opinione sul metaverso (cioè, sui mondi digitali basati sulla realtà virtuale) non si può rimanere indifferenti davanti a questa iniziativa. Si chiama Death Q&A (cioè, domande e risposte sulla morte), ed è come ha ben raccontato Technology Review, la rivista del MIT (l’Istituto di tecnologia del Massachusetts, una delle più importanti università di ricerca del mondo) – «uno spazio con una combinazione unica di anonimato e solidarietà». Il tema è ampio. E tocca diversi aspetti, a partire dal fatto che delle persone in carne ed ossa per confrontarsi su questioni così delicate usino un avatar, cioè un alter ego digitale.
Ripeto: quello che a molti di noi può sembrare persino una follia, per chi vi partecipa è un fatto reale. Reale e utile.
Un’ora la settimana che attende con ansia, alla quale non rinuncerebbe per niente al mondo e che crea tra i partecipanti legami importanti. Anche se nella percezione comune gli occhiali/visori per la realtà virtuale sono strumenti per giocare, in realtà servono anche ad altro. Per esempio, servono a malati bloccati in un letto o a persone impossibilitate a uscire di casa per visitare (virtualmente) luoghi da sogno, per fare una passeggiata (virtuale) in riva al mare o in montagna o anche per cantare in un locale (sempre virtuale) di karaoke.
Come ci ricorda la giornalista Hana Kiros, «le persone che partecipano agli incontri di realtà virtuale come Death Q& A stanno di fatto testando un nuovo tipo di comunità digitale a 360°: molto più coinvolgente di un incontro su Zoom o di una discussione sui forum online e sui social». Chi ha partecipato a questi momenti di confronto sulla morte racconta «che davvero senti le altre persone come fossero vicine a te.
Attraverso le cuffie riesci a cogliere i suoni più intimi attorno a te; persino i respiri e i sussurri degli altri, fino ad arrivare a “sentire” le loro emozioni». Uno dei creatori di questi incontri Death Q& A, il 73enne Tom Nickel, con un passato accanto ai malati terminali, ha spiegato: «Queste relazioni che creiamo nella realtà virtuale possono diventare molto intime, profonde e delicate». Gli incontri online si svolgono davanti alla ricostruzione digitale di un tempio buddista, con Tom che sembra vestire i panni di un monaco o di un insegnante di Dharma, che si occuperà della recitazione dei Sutra del funerale tibetano. Quanto in questi incontri si parli anche di religione, di preghiera e di fede è difficile dirlo. Una cosa però è certa: questi momenti virtuali vanno a colmare un bisogno molto reale: superare la solitudine, il dolore e la paura della morte nell’anonimato ma sentendosi al tempo stesso parte di un gruppo. Meno il mondo reale se ne occuperà e più quello virtuale colmerà il vuoto a modo suo. Pensiamoci.