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 2023  febbraio 09 Giovedì calendario

Intervista a Vivian Gornick

Vivian Gornick sta vivendo uno di quegli strani momentiche a volte si presentano, nella letteratura e nella vita: un grande successo tardivo.
Crede che il MeToo e un cambiamento nella sensibilità abbiano portato le donne giovani a guardare a quelle della sua generazione, riscoprendo riferimenti come La fine del romanzo d’amore(Bompiani), un’opera degli anni Novanta nella quale Gornick ridimensiona la fede eccessiva che la letteratura ha riposto nella coppia.
Nel libro, questa newyorkese di 87 anni profondamente femminista demolisce i luoghi comuni sull’amore. E così in una conversazione via Zoom.
L’amore così come lo conoscevamo non esiste più?
«Oggi è impossibile fare grande letteratura partendo dall’amore romantico. Un tempo l’amore era considerato, sotto molti aspetti, una grande metafora della condizione umana. Oggi non lo si considera né lo si vive più come un tempo, quando non esisteva il divorzio e le decisioni venivano prese nell’ignoranza. Oggi non si potrebbero più scrivere Anna Karenina oMadame Bovary.
Sappiamo che l’amore romantico non rappresenta la salvezza».
Lei crede nell’amore come motore della vita?
«L’amore è una grande necessità, uno dei modi principali che abbiamo per sentirci vivi. Ma lo è anche il lavoro.
Sono i due grandi elementi che ci fanno stare bene. Come ha detto Freud, la vita è lavoro e amore, in quest’ordine. Non amore e lavoro».
Anche il matrimonio come modello di felicità non esiste più?
«Esatto, oggi tutti si sposano sapendo di poter divorziare, la sacralità del matrimonio è finita».
Lei come lo ha vissuto?
«Io sono cresciuta nel Bronx, dove in ogni palazzo vivevano molte coppie infelici. Nessuno si sognava di lasciare nessuno e le donne fantasticavano su come sarebbe stata la loro vita se avessero incontrato l’uomo giusto.
L’ambiente in cui sono cresciuta mi ha allontanata dal matrimonio. Mia madre credeva nell’idea di un grande amore, e mi diceva che era la cosa più importante, ma a me non piaceva. Mio padre è morto giovane e da quella catastrofe non ci siamo mai ripresi. Io non volevo riprodurre quelloschema».
E qual era la sua idea di indipendenza?
«Mi sono sempre immaginata scrittrice, fin da bambina. Quando avevo otto anni, un’insegnante lesse ad alta voce in classe una cosa che avevo scritto e poi disse: “Questa bambina è una scrittrice”. E io le credetti( ride)».
Cosa è accaduto dopo?
«Ho continuato, scrivevo brevi testi, impressioni, storie di vario genere. A sedici anni mia madre mi ha procurato una macchina da scrivere: doveva aver visto qualcosa in me. Feci dei corsi di scrittura. E poi arrivò il femminismo, che avviò la mia trasformazione in una vera scrittrice, seria e disciplinata».
Il femminismo l’ha aiutata?
«Mi ha fatto capire che il sesso femminile non veniva preso sul serio e nemmeno si prendeva sul serio. Io mi sono lasciata trasportare, mi sono sposata e ho divorziato due volte, non sapevo che cosa stavo facendo. Poi il femminismo ha preso piede con forza a New York e ha dato impulso a molte donne come me, donne istruite e intelligenti che non avevano uno scopo, una coscienza: da noi, tutti si aspettavano solo che ci sposassimo e avessimo dei figli. Quella prospettiva mi rendeva infelice: matrimonio, figli,amore, sesso, uomini e basta. Volevo qualcos’altro. E il femminismo, quando è arrivato, ci ha aiutate a capirci. Non so che cosa sarebbe stato di me se il femminismo non fosse entrato nel mio mondo».
Le donne oggi vengono prese sul serio?
«In quarant’anni abbiamo fattoprogressi incredibili, ma la lotta durerà per secoli. Né lei né io saremmo qui, oggi, se non fosse per il movimento femminista, ma ancora non basta».
Quali sono le fantasie delle donne di oggi?
«È una domanda difficile, non lo so.
Viviamo in un tempo moltoframmentato, è difficile capire chi siamo, che cosa vogliamo, perché lo vogliamo e come trovare il nostro posto nel mondo. Una volta erano le forze istituzionali a dirti chi eri: la famiglia, la religione… oggi non più.
Le ragazze che conosco sono piene di energia e quando hanno una coscienza politica sono molto attive nel campo dei diritti delle donne, del razzismo, dell’immigrazione… Molte donne lottano con forza per quelle cause. Però non so come vedono se stesse. Quando scrivono romanzi, non sono storie d’amore: sono storie di disconnessione, di alienazione. Oggi è così».
Che cosa trova lei nella lettura?
«Una lunga e continua cronaca dell’umanità, nella quale trovo consolazione. Leggendo Marco Aurelio, per esempio, si trova già tutto: lui sapeva tutto e lo ha messo per iscritto. Questo mi conforta molto».
E scrivere, che cosa le ha dato?
«Scrivere è ciò che mi fa sentire più viva».
Teme che gli Usa possano tornare indietro sull’aborto?
«La democrazia qui ha radici profonde: non appena si è fatto un passo indietro, un minuto dopo, c’erano migliaia di donne e organizzazioni in lotta in tutto il paese. Non possono vincere».