la Repubblica, 9 febbraio 2023
Intervista a Hassan Sheikh
Gli Al-Shabaab hanno tentato di uccidermi tre volte, ma sarò io a togliergli l’ossigeno». Mohamud Hassan Sheikh è il presidente che vuole liberare la Somalia dai jihadisti islamici. Nel 2012 guidò il primo governo dopo il rovesciamento di Siad Barre nel 1991. Caduto nel 2017, è stato rieletto lo scorso maggio, ha scatenato contro gli Al-Shabaab quella che lui stesso definisce una «guerra totale». Li aggredisce con i soldati ed erode il loro consenso popolare facendo leva su aiuti economici e fatwe religiose. È una sfida dura, feroce. Hassan Sheik, 67 anni, è venuto a Roma perché crede nel «rapporto storico» con il nostro Paese, afferma di aver bisogno «dell’Italia e dell’Europa» ed è disposto a cooperare «per bloccare il traffico dei migranti». A Mogadiscio rischia la vita ogni giorno, poche settimane fa nel tentativo di eliminarlo i jihadisti hanno causato con un duplice attentato oltre cento morti. Fra i temibili nemici da cui deve difendersi ci sono anche carestia e cambiamenti climatici. Ecco l’intervista che ci ha concesso durante una sosta della sua visita ufficiale a Roma, mostrando sul volto segnato il sorriso amaro di chi è consapevole di vivere in trincea.
Teme di essere assassinato?
«Hanno tentato di tutto per riuscirci, sono perfino entrati a Villa Somalia con due autobombe.
Ma non sapevano dove ero.
Vogliono uccidermi perché sanno che io sono l’unico che può sconfiggerli. Li farò morire come si fa con i pesci quando si aspira l’acqua da una vasca».
Perché è l’unico a poterli sconfiggere?
«Perché la mia è una strategia su tre fronti. Militare, con i soldati.
Religiosa, con le fatwe religiose contro di loro. Economica, usando le finanze per aumentare il benessere della popolazione. Gli tolgo l’ossigeno. Non hanno più l’acqua in cui nuotare. In soli due mesi, il mio governo ha ripreso il controllo su una fascia territoriale di oltre 600 km. Rimangono poche e circoscritte frazioni territoriali, nelle quali si possono verificare incursioni dei terroristi. Ma le libereremo presto. Il tempo gioca contro i terroristi».
Gli Al-Shaabab sono però arroccati in alcune aree della Somalia centrale e meridionale. E da lì vi minacciano. Cosa pensa di fare?
«L’iniziativa militare è determinante per acquisire il controllo del territorio, come lo sviluppo economico e sociale è cruciale per consolidare il consenso popolare. Nessuna formazione terroristica oggi gode di appoggio popolare, perché tutto il popolo somalo ha compreso due cose: il governo sta creando i presupposti del benessere di tutti; la propaganda di Al Shabaab è fondata sulla menzogna, porta solo lutti e disgrazie. Sotto questo profilo, possiamo festeggiare il trionfo della pace sulla violenza estremistica, del bene sul male. Ma pensare che il male sia sconfitto definitivamente è utopistico».
Lei ha descritto gli Al-Shabaab come “cimici”. Quale è l’origine dei gruppi jihadisti?
«Quella definizione vuole significare che i terroristi causano gravi e luttuose offese alla convivenza civile, ma senza mettere in pericolo le istituzioni della Repubblica perché il corpo sociale è sano. Non dobbiamo sottovalutare la capacità reattiva del corpo sano, né sopravvalutarela forza eversiva dei terroristi, provenienti e indottrinati dall’estero. Ecco perché li ho paragonati alle cimici. Sulla loro origine posso dire che la motivazione religiosa di questa presunta Jihad è totalmente falsa».
Anche Al Qaeda opera in Somalia?
«Non posso escludere che gruppi di Al Qaeda operino nel nostro territorio. È possibile che i loro membri non siano somali. Escludo però con certezza che la popolazione somala offra protezione ai sanguinosi terroristi di Al Qaeda, che si sono macchiati di delitti efferati. In questa lotta al terrorismo, il mio governo confida di ricevere il necessario aiuto dalla comunità internazionale e dai Paesi che rispettano i diritti dell’uomo».
E nelle vostre acque territoriali ci sono ancora le bande di pirati?
«Non esiste più alcun pericolo né ostacolo alla libera navigazione nei nostri mari. Su questo punto è bene precisare che la questione della pirateria, oggi non più attuale, afferisce all’ambito della criminalità comune. I pirati che hanno operato nello stretto di Aden non erano “combattenti” o “guerriglieri” politici; hanno compiuto, in passato, le loro scorrerie per lucro economico. La navigazione ora è sicura, il fenomeno è stato debellato. Al contempo dobbiamo pensare a impedirne il possibile ritorno, confidando nella forza propulsiva dello sviluppo economico. Ci stiamo adoperando per dare una reale prospettiva ai pescatori, per sfruttare e valorizzare al meglio le immense risorse della pesca nei nostri mari. Il punto dolente della filiera economica risiede nella commercializzazione del prodotto. Non si tratta di un problema di poco conto, perché a monte ditutto c’è la grave insufficienza delle infrastrutture viarie, alla quale il governo non può porre rimedio da solo. Per questa ragione, l’aiuto dei Paesi occidentali, dell’Italia e dell’Europa, può essere determinante affinché i pescatori di oggi, commercializzan-do i prodotti, non diventino i pirati di domani».
Le forze Usa hanno spesso operato assieme ai militari somali. Quanto è importante il ruolo degli alleati nella guerra ai jihadisti?
«Siamo grati all’aviazione e alle forze speciali degli Stati Uniti, della Turchia e dell’Unione Africana per l’aiuto alle nostre forze armate. In linea di massima, tutti gli aiuti sono graditi, purché rispettosi della sovranità somala».
Sareste pronti a negoziare con gli Al-Shabaab come il governo afghano ha fatto con I taleban?
«La similitudine tra la situazione in Somalia e quella in Afghanistan non ha alcuna ragion d’essere. Il governo somalo, insediatosi a seguito di libere elezioni il 15 maggio scorso, gode di pieno consenso popolare,ha il controllo effettivo del territorio ed esercita la sovranità giuridica con il riconoscimento internazionale. I terroristi di Al Shabaab non sono assolutamente paragonabili ai talebani, sia in relazione alla forza militare, sia in relazione alla capacità di acquisire sostegno e consenso popolare.
Siamo pronti a offrire garanzie di immunità a coloro che spontaneamente abbandoneranno Al Shabaab e i suoi programmi».
Quanto conta la Turchia per la vostra sicurezza nazionale?
«Il governo turco ha dato un grande contributo per il ripristino delle condizioni di pace e ordine pubblico in Somalia. Inoltre ha fornito cospicui aiuti economici per la ricostruzione. Esprimiamogratitudine verso un Paese amico e un governo che non ha in alcun modo interferito con l’esercizio della nostra sovranità».
Che ruolo vi aspettate dall’Unione europea nel Corno d’Africa?
«Il consolidamento della pacificazione e del risorgimento nazionale in Somalia è, innanzitutto, interesse del nostro popolo, ma in secondo luogo anche dell’Ue. I grandi flussi migratori incontrollati sottraggono alle terre di partenza le risorse umane più dinamiche e al contempo creano problemi ai Paesi di arrivo. Ne deriva che lo sviluppo economico e sociale in Somalia, come in tutta l’Africa, costituisce parte essenziale di un equilibrio internazionale al quale tutti devono contribuire. Non a caso questa mia visita in Italia fa seguito alle precedenti in Turchia, negli Stati Uniti, nei Paesi confinati con la Somalia, perché è intendimento del mio governo contrastare ovunque i trafficanti senza scrupoli di esseri umani. Ci attendiamo pertanto che l’Italia e l’Ue ci vogliano aiutare nei programmi di costruzione delle infrastrutture essenziali e nella creazione di posti di lavoro in Somalia».
Cosa c’è in cima alla vostra agenda in Italia e perché avete deciso di nominare un inviato speciale per le relazioni con Roma?
«L’interscambio culturale tra Italia e Somalia affonda le radici nei secoli. Questo rapporto di amicizia e collaborazione mi ha suggerito di nominare un inviato speciale proprio in Italia, per approfondire tutte le tematiche di comune interesse. Il professor Alì Abukar Hayo è un eminente esponente della nostra comunità e un insigne studioso di diritto penale in Italia. È la persona più adatta per finalizzare i rapporti italo-somali in direzione dell’armonizzazione degli ordinamenti. Il sapere scientifico dei giovani somali può essere migliorato con il contributo italiano e fungere da volano per il nostro sviluppo. Per questa ragione, ho incontrato la Luiss di Roma e la Fondazione Med-Or.
Ringrazio il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro per un’accoglienza speciale. Siamo fiduciosi che questi incontri producano impegni comuni per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei somali».
Come state affrontando le conseguenze della guerra ucraina, temete la carestia?
«Le conseguenze della guerra in Ucraina si fanno sentire, soprattutto in Europa, nel settore energetico, ma il perdurare della guerra può avere ulteriori effetti destabilizzanti, in ambito più generale, sui Paesi in via di sviluppo. Noi somali, e noi africani, abbiamo bisogno della distensione, perché solo in condizioni di pace possiamo dedicarci ai gravosi compiti necessari per assicurare le condizioni basilari della convivenza, a cominciare dalla produzione agricola per la sopravvivenza alimentare e la ricerca delle risorse idriche».
I cambiamenti climatici hanno un forte impatto sull’Africa Orientale. Come li state affrontando?
«In Somalia abbiamo avuto una delle peggiori siccità degli ultimi anni. Ciò ha reso più acuta la crisi idrica e danneggiato le produzioni agricole. Chiediamo l’aiuto dell’Italia, dell’Ue e dei Paesi economicamente più forti, per migliorare l’utilizzo delle nostre risorse idriche, nonché le tecniche di agricoltura e allevamento».