Corriere della Sera, 9 febbraio 2023
Intervista a Giancarlo Giorgetti
Giancarlo Giorgetti, 56 anni, non ama esprimersi al di fuori dei momenti in cui il suo ruolo di ministro dell’Economia glielo impone. Forse per questo, quando lo fa, parla con l’urgenza di uno che ha accumulato a lungo e ora si sfoga. Giorgetti per esempio non ha gradito che i suoi colleghi di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Robert Habeck, siano andati a Washington a discutere di politica industriale, quasi che fossero solo loro a rappresentare l’Europa. Il ministro italiano non nasconde il disappunto, in un incontro con un gruppo ristretto di quotidiani europei.
A Giorgetti, soprattutto, non piace l’idea che Parigi e Berlino ottengano un allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato alle imprese – come risposta ai sussidi di Washington – senza misure che creino un riequilibrio. Una di esse riguarda le regole di bilancio: se l’Unione europea autorizza più sussidi per la transizioni tecnologiche, osserva il ministro, allora dovrebbe trattare quelle spese in maniera più benevola nel Patto di stabilità.
A dare all’Europa quella che Giorgetti chiama una «sveglia» è stata l’ondata di aiuti e crediti d’imposta dell’amministrazione di Joe Biden: fino a duemila miliardi di dollari fra i programmi «Build Back Better», «Chips Act» e «Inflation Reduction Act». Ma la reazione franco-tedesca, con la missione dei ministri economici Le Maire e Habeck a Washington lunedì, non è andata giù al governo di Roma. «È un’iniziativa di due Paesi, non un’iniziativa europea – dice subito Giorgetti —. Non siamo stati informati e la cosa non ci offende: ci sorprende. L’avesse fatto l’Italia, questo governo sarebbe stato accusato di essere sovranista e antieuropeo. Saremmo sotto processo», dice il ministro. Invece, aggiunge, «la risposta dovrà essere europea». Il punto è capire quale. Qui Giorgetti ha una proposta: legare la liberalizzazione dei sussidi a regole meno rigide anche sui bilanci pubblici. «Non è che si può prendere solo un pezzo, gli aiuti di Stato, senza discutere del resto – sostiene il ministro —. Il muoversi in modo disordinato può far saltare l’Europa. Le istituzioni e le regole europee sono in grave situazione di stress, se si comincia a cedere sui principi del mercato unico. Così non tiene più un sistema che è già troppo articolato».
Ma appunto Giorgetti non chiede per questo meno Europa: ne chiede di più. In prospettiva, punta su un «fondo strategico» di Bruxelles che finanzi e gestisca in comune grandi progetti industriali europei. Ma lui stesso capisce che non sarà per domani e nell’immediato vede un’altra possibilità: trattare in modo diverso, nel calcolo del deficit, gli investimenti pubblici nei settori sui quali Francia e Germania chiedono meno vincoli negli aiuti di Stato. È un tema di cui i leader dell’Unione parleranno oggi a Bruxelles. «Se il rilassamento dei vincoli e le deroghe sugli aiuti di Stato proseguono e a fine anno tornano in vigore le regole del Patto di Stabilità, allora si crea un disallineamento – osserva Giorgetti —. In concreto non potrei fornire gli aiuti, anche usando i fondi in prestito dal Piano nazionale di ripresa (Pnrr, ndr), perché comunque dovrei rispettare i vincoli di bilancio».
Per il Pnrr ci serve almeno un anno in più Rivedremo il Piano per rendere l’Italia l’hub dell’energia nel Mediterraneo. Certi progetti dei Comuni non servono alla crescita
Di qui la proposta dell’Italia: «Sarebbe un passo in avanti enorme – dice il ministro – se nel Patto di stabilità queste spese per investimento avessero un trattamento diverso rispetto alle spese correnti per personale o pensioni». Anche perché, aggiunge Giorgetti con un’altra stoccata a Berlino, «facciamo fatica ad accettare che ci siano Paesi di serie A e Paesi di serie C». Il governo di Giorgia Meloni, succeduto a quello di Mario Draghi, resta comunque attento a non dare l’impressione di essere un remake di quello giallo-verde che nel 2018 entrò in rotta di collisione con i mercati e poi con Bruxelles. «L’Italia non si sottrae alla responsabilità di condurre una finanza pubblica responsabile e prudente – dice Giorgetti —. Ci rendiamo conto che abbiamo un elevato debito pubblico, riteniamo di poterlo gestire e abbiamo il dovere di non creare problemi ad altri. Credo che l’ultima legge di Bilancio l’abbia dimostrato». Qui viene una rivendicazione del ministro, quando ricorda che il governo Meloni ha scelto di rischiare seri problemi nell’opinione pubblica e non rinnovare la sospensione delle accise sui carburanti. «È stato un atto politico non banale», dice.
Giorgetti sa però che il governo si gioca quasi tutto sul ridisegno e l’esecuzione del Pnrr. Un obiettivo ormai alla portata è ottenere «flessibilità» su contenuti e tempi nel piano: «Durante il primo anno (di Pnrr, ndr) siamo stati investiti dalle conseguenze della guerra in Ucraina – osserva il ministro – forse ha senso rivedere la scadenza del 2026 almeno di un anno». C’è poi il tema dei costi aumentati per le opere, per l’Italia più rilevante perché ha avuto la parte più importante del Recovery. Ma soprattutto il problema della qualità di alcuni progetti e dei bandi andati deserti, come quelli sulle stazioni di rifornimento a idrogeno. «Andate a vedere i progetti finanziati dai comuni italiani con i soldi del Pnrr e chiedetevi se possono aiutare l’economia e crescere. Nel fondo complementare c’è anche uno stadio», sferza il ministro (frecciata ai piani della giunta di Firenze sul Franchi di Campo di Marte).
Dunque la revisione del piano, in corso, cercherà di sviluppare le verticali industriali soprattutto nell’energia. Meloni parla spesso dell’Italia come hub nel Mediterraneo. «Ipotizziamo che grazie al sole e al vento del Mediterraneo e grazie all’Africa, possiamo portare tutta l’energia da sud verso nord e l’Europa. Abbiamo la capacità di trasmissione?» si chiede il ministro. Il riferimento a progetti di reti elettriche e via gasdotto nel Mezzogiorno è trasparente. Di certo per ora l’Italia non chiederà altri prestiti, nei circa cento miliardi ancora disponibili a Bruxelles. Non finché avrà la certezza di poter spendere bene i fondi già disponibili e (eventualmente) poter spendere in modo produttivo quelli nuovi.
Squilla il cellulare di Giorgetti, è Giorgia Meloni. Il ministro non risponde e continua a parlare. In realtà l’ora dei saluti sarebbe passata da tempo. Sembra uno che ha proprio bisogno di sfogarsi, dopo aver accumulato in silenzio molto a lungo.