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 2023  febbraio 09 Giovedì calendario

La presunta austerità italiana

Oggesù, “Fate presto”! Il 10 novembre 2011 con questo titolone sparato in prima Il Sole 24 Ore invocava, senza nominarlo, il governo Monti. All’Italia serviva una bella cura da cavallo per tornare alla crescita “nell’arco di tre-cinque anni”: bene i primi tagli a pubblico impiego e pensioni di Berlusconi, bene “i segnali” sulle privatizzazioni, scriveva il direttore, “sia chiaro però che non è sufficiente”. Dall’arrivo di Monti, il SuperMario che non si porta più, furono anni di lamenti sulla “spending review tradita”, gli aumenti di uscite correnti (anatema) e in generale della spesa pubblica (quasi sempre definita “improduttiva”). Poi si sa com’è andata: l’Italia non ha ancora recuperato il picco del Pil del 2008 e la crescita del biennio post-Covid la dobbiamo in larga parte alla spesa pubblica (Transizione 4.0, Superbonus, etc). Ieri, però, improvvisamente abbiamo scoperto “La P.A. dimenticata: in Italia spesa reale giù del 14,9%, mentre la Ue cresce del 12%” (nel periodo 2003-2023). Ci riferiamo a una pregevole doppia pagina del Sole 24 Ore che ci ha spiegato come “le liste d’attesa infinite”, “i Pronto soccorso svuotati di medici”, “gli uffici tecnici e amministrativi degli enti locali senza personale”, la mancanza di “ispettori del lavoro”, eccetera eccetera stiano tutti in quei numeri: abbiamo tagliato troppa spesa (corrente eh, gli stipendi sono spesa corrente) e ora la macchina pubblica desertificata è il principale ostacolo alla crescita del Paese. Cioè, la tesi ardita è che abbiamo tagliato troppo, ma anche troppo poco: il problema del bilancio pubblico pare siano “voci come la spesa previdenziale e il debito pubblico con il suo carico di interessi”, mica la cura da cavallo che ha portato l’Italia in un equilibrio di sotto-crescita, quella è anzi “la presunta austerità italiana”. È così presunta che il Tesoro di Pier Carlo Padoan nel Def 2017 calcolò che la cosiddetta manovra “salva Italia” di fine 2011 (FATE PRESTO) costò al Paese una minor crescita di 300 miliardi in 4 anni (circa 75 l’anno, il 4,7% del Pil in media) finendo per far aumentare il peso del debito di 13 punti. L’eventuale bancarotta del Paese non sarà mai così profonda come quella intellettuale delle sue élite.