Corriere della Sera, 8 febbraio 2023
Il manifesto di Schiavone
Chi dovesse cercare nel manifesto Sinistra! che Aldo Schiavone pubblica da Einaudi un’indicazione di voto per le primarie del Pd, resterebbe deluso. Il compasso temporale che il libro apre non riguarda i prossimi trenta giorni. Semmai i prossimi trenta anni o più ancora. E il suo interlocutore non è solo il Pd, ma l’intera sinistra, italiana ed europea. Una mira alta, che restituisce profondità e respiro a un dibattito politico che rischia di ridursi alla previsione dei sondaggi e alle schermaglie tra le correnti.
È un appello drammatico a spostare lo sguardo dalle diatribe quotidiane allo scenario in rapido movimento della contemporaneità. Il baricentro dello schieramento progressista non può essere che la trasformazione già in atto nelle nostre vite, anche se non ne abbiamo ancora consapevolezza. È questa opacità su noi stessi a trattenere la discussione nei confini di una dialettica inadeguata ai traumi e alle opportunità del nostro tempo.
Ma Schiavone, prima che analista dell’oggi, è uno storico di vaglia, abituato a cercare le chiavi del futuro nei processi di lunga durata e nelle discontinuità che li scandiscono. A partire dalle tre grandi rivoluzioni – agricola, industriale e tecnologica – che modificano irreversibilmente gli assetti storici precedenti. A segnare la nostra epoca è l’incrocio che a fine Novecento lega vittoria del capitalismo e crollo dell’Unione sovietica. L’impatto di questo doppio evento sulla sinistra occidentale è stato devastante. Cresciuta nell’antagonismo tra lavoro e capitale, essa si è sempre identificata con la classe operaia e coloro che l’hanno sostenuta. Ma quando la rivoluzione tecnologica ha emarginato il lavoro manuale, destinandolo a un ruolo residuale accanto a forme non più collettive di produzione, la sinistra è rimasta letteralmente senza parole. È allora che le sue vele hanno cominciato a non intercettare più il vento della storia.
Eppure – sostiene Schiavone – proprio la vittoria del capitale, ormai inglobato nelle nuove tecnologie produttive, consegna un’ultima occasione alla sinistra per «saltare oltre la propria ombra». Nonostante tutto, rispetto a una destra volta all’indietro, prigioniera delle proprie memorie, è solo la sinistra a possedere gli strumenti cognitivi per capire il cambiamento e governarlo. Il salto, logico e storico, che deve compiere è duplice: staccare l’idea di sinistra daquella di classe e disarticolare eguaglianza e lavoro. È un passaggio complesso, ma reso possibile dallo stesso sviluppo tecnologico che ha messo fine alla lotta di classe. Si tratta nientemeno di sostituire alla classe operaia, ormai introvabile o radicalmente mutata, il genere umano nel suo complesso, consegnando all’etica e alla politica le chiavi a lungo assegnate all’economia.
Ovviamente il passaggio dal locale al globale non può essere che graduale – di qui il ruolo decisivo dell’unità europea. Ma il riferimento ultimo è la comunità mondiale, intesa come ciò che, aldilà di legittime differenze e di inaccettabili ineguaglianze, congiunge la specie umana in una rete di bisogni e di opportunità valida per tutti. Ciò determina la necessità di un Patto per l’Italia e per l’Europa, proiettato su scala quantomeno occidentale, capace di opporre alla macchina del disuguale creata dal capitalismo finanziario la costruzione di spazi, sempre più ampi, di beni comuni.
Resta la domanda su chi possa essere soggetto di questo progetto letteralmente visionario. Nell’ultimo capitolo del libro Schiavone lo individua in un nuovo partito della sinistra, sgravato dalle ideologie e dalle strutture novecentesche e innervato nella società anche attraverso le nuove risorse della rete. Per l’autore è il solo modo per rilanciare la politica democratica nel tempo del suo declino attraverso una federazione che unifichi le sinistre europee con l’ambizione di estendersi anche altrove.
Che dirne? Sul terreno metapolitico – su cui il manifesto oggettivamente si situa – è difficile resistere al fascino intellettuale di un progetto che rielabora originalmente paradigmi filosofici già fortemente innovativi. Che possa essere oggi incarnato da un partito politico, mi pare più problematico. Non fosse altro perché ogni partito, in quanto necessariamente “di parte”, difficilmente può rappresentare il tutto. Certo può, e deve, rivolgersi all’intera società, ma sempre dal punto di vista di determinati interessi e valori. Questo significa inclusione e mediazione, ma anche competizione e conflitto con chi, legittimamente, ne rappresenta di altri, incompatibili con i primi. Soprattutto in una fase in cui conflitti identitari e nazionali stanno spaccando il mondo con esiti imprevedibili. Sul tempo lungo saranno pure scorie novecentesche da lasciarsi alla spalle, ma intanto la politica deve farsene carico, decidendo pur sempre da quale parte stare.