la Repubblica, 8 febbraio 2023
Giù le mani dal Classico
Quando Eva Cantarella, grecista, tra le nostre maggiori studiose di società antiche, partecipa a festival e incontri pubblici, è applaudita da folle di giovanissimi. E di giovanissime: ragazze che colgono nei suoi libri una intelligente lezione femminista, che invita a non dare per scontati i diritti di cui godiamo.
Le faccio una domanda brutale: e se abolissimo il classico?
«La prendo come una provocazione. Sarebbe una sciagura, una follia. Tanto più in un’epoca così confusa e turbolenta, di certezze che si sbriciolano. Quando una civiltà è fragile – parafraso Momigliano – la conoscenza delle radici diventa essenziale. Studiare il passato non è una curiosità o una forma di intrattenimento più o meno noiosa: è l’unico modo per capire il presente, e per capire come agire nel presente.
Nel bene e nel male, certo: pensi a quando George W. Bush “studiava” il volume di Kagan sulla guerra del Peloponneso...».
Si dice che le lingue morte aprano la mente, è un nobile luogo comune. Ma l’utilità pratica?
«La fermo subito. L’idea – sempre più diffusa e pervasiva – che si studi per utilità, per trovare un lavoro da fare da adulti è discutibile. Per non parlare dell’alternanza scuola-lavoro, del tutto inefficace oltre che pericolosa. La scuola serve a formare una cittadinanza, non è un’agenzia di collocamento. “Bisogna studiare materie che ti consentano di trovare un’occupazione”: neanche per sogno!».
Insisto: che posso fare con il greco nella mia vita quotidiana?
«Ci pensi: se dico “vado in farmacia”, sto usando una parola greca. Non solo c’è un’impressionante quantità di parole di origine greca nelle nostre giornate, ma c’è anche una storia culturale che permea la vita di tutti. È uno studio superato? Mah! Ho dedicato la mia vita a questo, mi riesce difficile anche solo accettarlo come pensiero. Quanto al latino, beh, siamo nel Paese in cui il latino è nato… Non basta?».
Da figlia di un grecista, considera le lingue classiche un destino familiare?
«A mio padre spettava, tra le mansioni domestiche, quella di addormentare me e mia sorella. Mentre ci accompagnava verso il sonno, ci raccontava o leggeva miti greci. Mia madre protestava quando sceglieva la storia del Ciclope. “Racconta Cappuccetto Rosso, la storia del Ciclope non è adatta alle bambine!”, insisteva. Ma lui rispondeva: “Maria, Cappuccetto Rosso è molto peggio!”. Ecco, vede: questo è praticamente il mio primo ricordo. E penso che queste storie siano un’eredità molto preziosa, ma non solo per me. Anche perché ci allenano alla differenza, a modelli culturali diversi, al confronto costante con un immaginario che non è schiacciato sul presente».