Corriere della Sera, 7 febbraio 2023
Intervista a Laura Marzadori, primo violino della Scala e influencer
Tra i suoi nobili predecessore c’è Franco Fantini, che nel 1946 suonò con il frac prestatogli da Toscanini. Ma oggi il primo violino della Scala è lei: Laura Marzadori, 34 anni, bolognese, un’epifania su quel palco glorioso. Giovane, talentuosissima. E social: 120 mila follower sulla sua pagina Instagram, dove ci sono la musica, certo; ma anche la moda e la bellezza. Generosa, esibita. «È il mio diario, autentico – ci dice, seduta in uno degli studi del Teatro, prima di un concerto, e alla vigilia dell’apparizione a Sanremo (duetterà con Lazza e Emma) —. Perché io mi racconto così, a 360 gradi. Infatti con me tante ragazze hanno imparato a non vergognarsi. Mi scrivono: siamo più libere».
Qui alla Scala questo suo lato da influencer come l’hanno preso?
«All’inizio non è stato capito».
Si dice che l’ex presidente della Fondazione fosse praticamente sotto choc.
«Nomi non ne farò, ma parliamo di critiche fini a sé stesse. Ci sono mondi aperti; altri in cui raccontarsi è ancora ingiustificabile, volgare. Ma negli ultimi tempi è cambiato molto. In altre orchestre europee ci sono già giovani con profili vivaci. C’è una fetta di pubblico che va a vedere i Berliner anche per quello...».
Lei è primo violino alla Scala da quando aveva 25 anni: un ruolo così importante... «Arrivavo dai concorsi solistici: altre tensioni. Qui se qualcosa non va ne rispondi in prima persona, anche se le colpe non sono tue. Non basta esibirsi bene, devi anche correggere gli altri, guidarli».
Come ha fatto a farsi seguire? I maligni dicono che nei primi tempi alcuni «anziani» le suonassero contro.
«I primi mesi sono stati difficili. Ho capito che fare troppo è controproducente. Devi essere trasparente. I miei colleghi volevano una figura di riferimento, anche umana. C’è stato un atto di fiducia».
Ha lavorato con direttori di altissimo livello. Qualche nome: Chailly.
«C’è voluto un po’ perché ci trovassimo. Non che non ci fosse sintonia: forse non si aspettava di trovare in quel ruolo una ragazza così giovane. Ma ora si è aperto, c’è affetto».
Barenboim? Fu lui a volerla alla Scala.
«Un genio».
Qualche anno fa c’è chi lo accusò di essere «un tiranno». È cambiata la sensibilità nelle orchestre su questi temi o c’è un problema irrisolto?
«Oggi bisogna stare attentissimi a tutto ciò che si dice. Da una parte è un bene, ma a volte c’è troppa ipocrisia. Le orchestre però vanno tenute in mano, anche se ho visto direttori dall’emotività prorompente».
Tipo?
«Chung. Molto diretto. Alla fine di un concerto lo raggiunsi nel camerino. Ripeteva “Qui non funziona niente”».
Gatti?
«Un signore. Dopo una prova piangeva per la commozione».
È mai stata diretta da una donna?
«Raramente... Non ne ricordo i nomi».
La dice lunga...
«Siamo ancora indietro».
In Italia c’è Beatrice Venezi.
«Mai conosciuta. Quando nel 2021 andò a Sanremo, si soffermò su un dettaglio: farsi chiamare direttore o direttrice. C’era il Covid, mi lasciò perplessa».
Oggi Venezi è consulente del ministro della Cultura.
«Non sono prevenuta, vediamo cosa farà».
Hai mai ricevuto molestie?
«Mai. È un tema delicato. Riuscire a capire una donna che ha provato una cosa simile è impossibile; ma tirare fuori accuse a distanza di anni è delicato. Uno si fa delle domande».
Lei ama i russi: Shostakovich. E Oistrach, che era di Odessa. La guerra quanto è entrata nella sua vita?
«Quest’anno hanno escluso tanti ragazzi russi dai concorsi: assurdo. Per altro è tutto molto border line: anche altre nazioni hanno fatto guerre, ma i loro artisti non sono stati estromessi. La musica deve unire».
Alla Prima quest’anno il «Godunov» però si è suonato.
«E sono stata contenta».
Sarebbe stata contenta anche che venisse concesso a Gergiev di dirigere? Sala lo fermò.
«Io invece non avrei avuto preclusioni. Anzi, nessunissima».
Andrebbe a suonare a Kiev alla fine del conflitto?
«Sì. Ma se è per questo anche a Mosca».
Ha scritto un libro: L’altra metà delle note (Harper Collins). Un romanzo, dove c’è molto di lei: anche i suoi disturbi alimentari. Una scelta coraggiosa.
«Avevo 16 anni, dopo la vittoria dei primi importanti concorsi mi trovai improvvisamente a suonare e viaggiare. Ma a quell’età il giudizio degli altri ha un peso diverso. Ero dimagrita tantissimo, c’erano giorni in cui mangiavo solo una mela. Pensavo di controllare tutto in modo maniacale. Invece ho cominciato a stare male».
Cosa l’ha salvata?
«Che ho la fortuna di riconoscere subito i miei problemi. Un giorno chiamai mia madre e le dissi: non voglio più andare avanti così».
E lei?
«Ero la prima figlia, non sapeva bene cosa fare. Decisi io di andare in un centro, ho visto situazioni terribili. È stato un dramma. Ne sono uscita, ma c’è voluto del tempo. Una sera improvvisamente richiamai sempre mia madre e le dissi: “Voglio prendere del sushi e invitare qualche amico”. Da allora ricominciai a mangiare. Ma sono cose che ti segnano. Se hai avuto problemi con il cibo, questo non ti resterà mai del tutto estraneo».
Da mesi si parla del caso delle ginnaste: ragazze soggiogate dai propri insegnanti in nome dei risultati.
«Anche nella musica ci sono persone che sono disposte a sacrificarsi per l’arte. Ho esperienze vicine di musicisti che hanno sofferto, anche per colpa di insegnanti non giusti. E che non sono riusciti a dire loro di no».
Può venire fuori quello che è accaduto per la ginnastica?
«Sì, purtroppo».
Lei è credente?
«Molto e non me ne vergogno, vado spesso anche a messa. Mentre i miei genitori sono atei: papà collezionista di giochi antichi per bambini (ha la più importante collezione al mondo), mia madre fisica all’Enea».
La sua paura?
«Un po’ stupida: di cadere dai palcoscenici alti».
Della moda cosa le piace?
«Sono una persona molto creativa. Amo Hermès. Non si vede?» (sorride, indica due borse dietro alla sedia)
Le hanno detto che fa pubblicità.
«Ho letto su di me cose al limite della diffamazione. Oggi i social sono anche marketing, che uno rimanga colpito è assurdo».
È vero che le foto gliele fa il suo ragazzo?
«Sì. Musicista anche lui, una viola. La cosa ci diverte».
I meglio e i peggio vestiti.
«Oddio. Tipo?».
Facciamo i politici.
«Beh, Giorgia Meloni alla prima della Scala mi è piaciuta tantissimo, proprio una grande eleganza: Armani, d’altronde. Ma di politici con stile ce ne sono pochini in giro, diciamo...».
Milano le piace?
«La conosco poco. Abito fuori, in mezzo alla natura. Comunque non ci vivrei».
Dove si vede tra 5 anni?
«Qui alla Scala».