Corriere della Sera, 7 febbraio 2023
Intervista a Massimiliano Ossini
Massimiliano Ossini, conduttore gentile, dà il buongiorno ai telespettatori di Rai 1, nella sua Unomattina, con un immancabile sorriso. Che però, spiega, non sempre è frutto di uno splendido carattere ma può essere anche il risultato di un percorso che parte da lontano. Dall’infanzia, nel suo caso. «Io avevo due problemi: da ragazzino ero balbuziente e avevo una voce femminile. Non sono drammi ma ci ho sofferto parecchio».
Balbettava molto?
«Non fortissimo, però, come si dice, zagagliavo. E come mi chiamavano i miei compagni? Zagaglia. Ho iniziato a fare dei corsi di teatro e lì, mentre interpretavo qualcun altro, mi sono reso conto che non balbettavo più. Motivo per cui pensavo che avrei fatto l’attore».
E la voce femminile? Perché é stato un tema?
«Ho una sorella, si chiama Francesca: se rispondevo al telefono tutti mi scambiavano per lei. Oppure, sempre a scuola, spesso ridevano per la mia voce. Io ero nervosissimo, quanto ci ho sofferto. La sera, in camera mia, mi mettevo il cuscino alla bocca e urlavo più forte che potevo per cercare di avere la voce rauca».
Un’immagine molto diversa da quella serena e rassicurante che la caratterizza oggi.
«Totalmente diversa, alle prese con una rabbia che mi portavo dietro e che, paradossalmente, mi ha anche formato. Sempre per cercare un sollievo a questa mia frustrazione, grazie a mio padre ero diventato un radioamatore. Parlavo a tutta Italia attraverso la mia voce ma avevo trovato un escamotage: modificando il microfono del baracchino con cui trasmettevo riuscivo a farmi venire un tono metallico. Lì mi divertivo tantissimo: è stata la mia piccola rivincita».
E da allora ha iniziato a stare bene?
«No, fino a dieci anni fa il mio carattere era diverso. Non avevo mai affrontato quella parte della mia adolescenza. Poi però ho dovuto scrivere il mio primo libro: amo la montagna e prima di iniziare a scrivere mi sono messo davanti a un ghiacciaio e ho iniziato a riflettere, ripercorrere quei momenti. Ora non dico che sono migliore ma certo vivo in modo diverso».
Tipo?
«Sto più attento alle cose: a come mi rivolgo alle persone, all’educazione dei miei figli, ai piccoli gesti. Vivo tutto come una rivalsa rispetto a quando ero giovane. Quel ghiacciaio è stata la mia terapia».
E non ha mai pensato di andare davvero in terapia?
«No. Un po’ perché quando ero più giovane credevo che gli psicologi non mi avrebbero mai potuto aiutare: solo lavorandoci, ospitandoli nei miei programmi mi sono reso conto di quanto siano fondamentali, specie in un periodo storico come il nostro, dove nessuno ascolta più nessuno. Oggi mi paragono a un albero, che si può curare ma, se ha avuto degli incidenti, le ferite restano visibili sul tronco. Ecco, io le ferite attorno al mio tronco le sento, ma non mi influenzano più come facevano fino a dieci anni fa».
In tutto questo, come è arrivata la tv?
«Pensavo di diventare attore dopodiché neanche ci ho provato davvero. Mi avevano proposto questo provino per Disney Channel, ma io non volevo fare tv. Eppure il mio agente di allora aveva molto insistito, quindi mi ero deciso e qui entra in campo il fato o la provvidenza che dir si voglia. Premessa: io ho due passioni, l’uniforme e i cani. Ecco, quel giorno arrivo a Roma Termini e un cane della Guardia di Finanza mi salta addosso, così mi fermano, mi fanno tutti i controlli del caso e arrivo in ritardo all’appuntamento. Una volta lì, per cercare di scusarmi, racconto in modo rocambolesco quello che mi era appena successo: non ci credeva nessuno ma tutti ridevano. “Bravissimo, bravissimo, racconti le cose come se fossero vere”, mi dicevano. E mi presero».
Ha 44 anni e i suoi programmi, senza sgomitare, vanno sempre bene. Si considera un mediano della tv?
«Giocando a basket, direi che mi sento un playmaker: non fai sempre le schiacciate, ma fai comunque i canestri e aiuti la squadra. Come animo mi riconosco in colleghi come Fabrizio Frizzi, Carlo Conti, Amadeus. Tutti capaci di creare armonia attorno a loro, anche sul lavoro. Passo lento, corto e costante».
Dritto, anche lei, fino a Sanremo un giorno?
«Sicuramente è un obiettivo: è la vetta televisiva. Ma non rincorro quel momento. Il tempo giusto arriverà, un po’ come è successo con i cani della Guardia di Finanza».
In passato ha avuto la benedizione di Mike Bongiorno, è così?
«Sì, ho avuto questo onore. Disse: questo ragazzo farà strada. Condividevamo la passione per la montagna: lui era stato sul Cervino per una nota pubblicità. E poi al Polo Sud e al Polo Nord, un mio sogno. E già allora mi disse in modo molto lungimirante di parlare di ambiente in tv, che sarebbe stato un tema sempre più importante. Aveva ragione e ho cercato di ascoltarlo».
Lei è anche un papà di tre figli già grandi.
«Hanno 24, 17 e 14 anni. Ho sempre avuto il desiderio di diventare un papà giovane ed è successo quando avevo 24 anni. Volevo la mia famiglia, non so se c’è una spiegazione dietro questo. Certo, devi essere anche fortunato. Ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie (Laura Gabrielli, ndr.) e anche lei aveva lo stesso sogno. Posso dire che mi sono sempre trovato bene con i giovani: quando facevo gli scout seguivo i lupetti, poi per sei anni ho fatto la tv dei ragazzi...».
Si, ma trovarsi ad essere il genitore di tre è un po’ diverso, no?
«Ti sembra di iniziare da capo un nuovo capitolo. Prima avevi la responsabilità di te stesso, poi la devi rivolgere a tutto il nucleo famigliare. Quello del genitore è un lavoro complesso, non c’è dubbio. Nel mio caso cerco di essere attento alla crescita dei ragazzi, di passare del tempo con loro e anche con i loro amici, perché capisci molte cose conoscendoli, parlandoci. Poi ognuno dei miei tre figli ha un carattere diverso: devi restare coerente pur tenendo a mente quello. A mio avviso è fondamentale la coppia: io farei una cosa, mia moglie un’altra... quale è quella corretta? Spesso non esiste. Però mia moglie è stata più brava di me, questo lo posso dire. Io avrei commesso più errori nel riprendere i miei figli sulla disciplina. Sarei stato più duro ma ottenendo meno. Mia moglie è più morbida ma li mette nella condizione di potersi aprire con lei ed è bellissimo. Certo, ci devi dedicare più tempo rispetto a una sgridata».
Sta con sua moglie praticamente da metà della sua vita: come si fa a crescere rimanendo al fianco di una persona?
«Capisco che non sia semplice. La nostra fortuna è quella di fare cose diverse e, forse, di non stare sempre insieme, perché lo stare sempre insieme normalizza le cose. Se dormi tutte le sere al fianco di tua moglie magari ti dimentichi di quanto sia bello addormentarsi parlando, guardandosi negli occhi un momento, coccolandosi un po’. E magari si inizia a stare a letto con il telefonino in mano. Non dai attenzione al momento. Oppure dici: sai che c’è, io vado a dormire, senza aspettarsi, senza far capire che ci tieni insomma. E negli anni inevitabilmente ci si trascura un pochettino. Questa secondo me è una cosa che non accade solo nel matrimonio, ma con tutte le relazioni e invece dobbiamo stare attenti a non assuefarci»
A voi, quindi, non è successo in oltre vent’anni.
«Da una parte ci impegniamo. Dall’altra io per il mio lavoro viaggio tanto. Questo però è un bene perché so che quando tornerò a casa da una parte avrò moltissima voglia di rivedere mia moglie e i miei figli, sentirò il desiderio di spupazzarli, di coccolarli. E poi avrò anche una serie di cose da raccontare. Avendo non tutto il tempo condiviso con mia moglie sento poi che abbiamo ancora un sacco di cose da fare insieme, come viaggiare, andare al cinema, a teatro. Sono ancora una marea se ci ragiono... ecco sì, penso che la chiave per far funzionare ogni rapporto, non solo d’amore, sia prestare attenzione. E mi fa piacere che oggi se a tavola prendo per sbaglio in mano il telefono, magari per rispondere a un messaggio, i primi a farmelo notare dicendomi di posarlo siano proprio i miei figli».
In tanto tempo però non possono essere mancate le difficoltà, non è così?
«Scoprimmo nel 2008 che Laura era incinta di nostro figlio più piccolo e, lo stesso giorno, che aveva un tumore alla tiroide. Lì ti cade il mondo addosso. Vedevo il baratro, il buio, tutto negativo. E, al tempo stesso, ho visto la sua forza, che è un po’ quella delle donne che anche quando non stanno bene hanno un’energia e una positività che l’uomo si sogna. Conosco molte donne che hanno 40 di febbre e sono iperattive: noi con 37.2 non possiamo fare più niente. Quell’episodio, senza dubbio, ci ha però segnati: ci ha fatto capire quanto sia importante vivere e non sopravvivere perché nessuno sa quello che succederà domani».
Un’educazione al sorriso, insomma.
«A quello e anche alla gentilezza. Adesso quando mi capita di innervosirmi, con lei ma anche sul lavoro, dopo poco mi dico: ma che mi frega, a che pro discutere? Ci sto male io, ci stai male tu e non ci siamo portati niente a casa. Piuttosto resettiamo e andiamo oltre, ritrovando un ambiente sereno. È quello che faccio anche nei miei programmi, cerco di creare una bella atmosfera convinto che si riescono a ottenere grandi risultati con la gentilezza».
E non le dà fastidio essere percepito come il mite «bravo ragazzo» della tv?
«Essere educati e sorridenti dovrebbe essere l’abc, invece oggi ci siamo abituati al brutto, all’aggressivo, al negativo. Ma è questo che non va bene. Quando mi dicono che sono gentile, io rispondo che sono normale. È l’atteggiamento contrario, piuttosto, che dovrebbe essere considerato anormale. Io la vedo così».