Il Messaggero, 7 febbraio 2023
Storia del Vermouth
LA BEVANDANegroni, Martini, Milano-Torino, Manhattan, Americano. Sono i nomi di alcuni tra i cocktail più amati, un ventaglio di celebrità della moderna mixology, tutte unite però da un fil-rouge antico, che affonda le sue radici più di due secoli fa nella Torino sabauda. In quel tempo, e più precisamente nel 1786, nacque infatti il Vermouth, ingrediente indispensabile per la composizione di molte tra le miscele oggi più trendy. Vermouth, ma anche Vermut (da Wermut, la parola tedesca che indica l’assenzio, l’artemisia absinthium) fu il nome scelto da Antonio Benedetto Carpano, speziale con bottega a piazza Castello, per la sua formula, a metà strada tra un medicinale e un corroborante: Moscato di Canelli, erbe e spezie. Ne risultò di fatto un vino liquoroso stuzzicante, elegantissimo che conquistò immediatamente il favore di Vittorio Amedeo III e della corte dei Savoia. Il successo fu immediato. Non per caso nacquero tutta una serie di case che proponevano il loro Vermouth. Tutti nomi prestigiosi, come Martini e Sola, Francesco Cinzano, Carlo Gancia, ciascuno con una propria variazione sulla formula di base.LA STORIASulle ali della moda si aprirono così grandi mercati, dall’Europa fino agli Stati Uniti, dove questo vino liquoroso divenne mitico grazie alla madre di Winston Churchill che inventò un cocktail a base di vermouth e whiskey, il Manhattan, in onore del governatore dello Stato di New York, Samuel Tilden, candidato dei democratici alle presidenziali, per non parlare poi del Martini. A inizio secolo, col nome di Delizia per Signore, fece furore il vermouth bianco, mentre gli anni 20 videro il successo del vermouth rosso (colore ottenuto con la presenza di caramello) e, a seguire, delle polibibite (nome nazionalista, inventato dai futuristi per i cocktail) create dall’ingegnere sabaudo Cinzio Barosi, intrepido utilizzatore della bevanda torinese in tutte le sue invenzioni. Una per tutte, il modernissimo Avanvera, a base di Brandy, vermouth, e liquore Strega, con fette di banana all’interno, e pomodori, mandorle, caffè e acciughe a contorno.Con il passare del tempo si trovarono di fatto a coesistere realtà da milioni di bottiglie all’anno con produttori di nicchia che non superavano il migliaio. Proprio per questo motivo, nell’ormai troppo articolato mondo del vermouth si avvertì il bisogno di pervenire a un disciplinare, perlomeno per lo storico prodotto sabaudo. Così, con decreto del marzo 2017, è nato il Vermouth di Torino: un vino liquoroso prodotto in Piemonte, con uve italiane, aggiunto di alcol aromatizzato prevalentemente con artemisia, insieme ad altre erbe e spezie; colore dal bianco al giallo paglierino e al rosso, con gradazione alcolica da 16 a 22 gradi, nelle versioni extra dry (30 grammi di zucchero per litro), secco (50 grammi), dolce (130 grammi).GLI ABBINAMENTI«Da rito aristocratico ad aperitivo borghese, il salto è stato veloce per il vermouth», spiega Stefania Bettoja, anima vivacissima e appassionata del Massimo D’Azeglio, Hotel di preservata tradizione sabauda, nato nei primi anni di Roma Capitale. «Da noi è un aperitivo davvero regale: tre cubetti di ghiaccio sorvegliati da una buccia di agrume. Ma, sentendo guru come Dennis Zoppi, il vermouth si accompagna bene agli hamburger, mentre quello bianco è fantastico sui caprini. Senza dimenticare il Martini, che tira fuori la componente sensuale del vermouth. Somerset Maugham diceva infatti che andava mescolato, perché le molecole del gin e del vermouth si devono adagiare sensualmente le une sulle altre».Giacomo A. Dente