il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2023
Ritratto al veleno di Giovanni Donzelli
Mette tristezza sapere che i teneri coinquilini Donzelli e Delmastro avranno ora la scorta. Per una serie di motivi. Anzitutto perché nessuno merita il dramma autentico di vivere sotto scorta. Poi perché Donzelli, dopo l’ennesimo suo testacoda, non vedeva l’ora di passare per martire. E infine perché Donzelli va sempre lasciato libero, anche e soprattutto di sparare castronerie: l’unica attività in cui da sempre eccelle.
Se qualcuno ancora si chiede chi sia Giovanni Donzelli, è presto detto: il Gasparri meloniano, però molto meno credibile. Nato a Firenze nel 1975, Liceo Scientifico, poi università (senza ovviamente mai laurearsi). In Toscana è sempre stato noto (si fa per dire) per essere così improponibile da far sembrare quasi bravo persino uno come Renzi, che godeva di consensi (al tempo) oceanici proprio perché spesso l’opposizione coincideva con gente come Donzelli. La sua è la classica storia da balilla di seconda fila: Fuan, Presidente di Azione Universitaria, portavoce della Giovane Italia. Ogni tanto ha lavorato anche lui. La sua performance migliore fu quella di strillone per la Speedy Srl, ovvero la società di Tiziano Renzi (no, non è una battuta). Consigliere comunale di Alleanza Nazionale prima (2004) e Popolo della Libertà poi (2009), quindi consigliere regionale nel 2010 e 2015. Deputato dal 2018. Sposato con Alessia, conosciuta in un dibattito in cui il Gasparri fiorentino sostituì la Meloni. Ha un fratello, Niccolò, arrestato lo scorso ottobre nell’ambito di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta.
Donzelli è un compiaciuto manganellatore dialettico degli avversari, siano essi politici, giornalisti, artisti o chiunque non abbia il poster in camera della Meloni vestita da Wonder Woman (o anche solo da Claretta Petacci). Nel suo osceno discorso scagliato contro i quattro parlamentari del Pd “rei” di avere visitato un terrorista in carcere per accertarsi delle sue condizioni di salute, Donzelli non ha minimamente “sbagliato” i toni o “perso” il controllo: i suoi toni sono sempre quelli e il controllo non l’ha mai avuto. Lui non parla, ma quasi sempre bastona. Per questo la Meloni gli ha dato in mano il partito: ne adora i toni, i modi e la fedeltà cieca da yesman disposto a tutto pur di negare l’evidenza per fini partitici. In Donzelli non c’è il benché minimo anelito all’onestà intellettuale, e da quelle parti la cosa costituisce un pregio. La Meloni mai lo dimetterà, perché i due sono la stessa cosa: una fa la poliziotta buona e l’altro lo sbirro cattivo. Certo, sono entrambi caricaturali, ma non è che da Fratelli d’Italia puoi aspettarti il remake di Heat – La sfida o The Shield (al massimo la riedizione in salsa fascistella di un cinepanettone qualsiasi). Ogni volta che lo chiamano in tivù, ed è peraltro incredibile che qualcuno accetti di parlarci, Donzelli ne spara una. Se ha davanti Vauro che parla di migranti, Donzelli gli dice (con quella bella vocina da usignolo rubizzo) “perché non te li prendi in casa tu?”. Se qualcuno attacca un suo collega di partito che in passato si è vestito da gerarca nazista, Donzelli risponde (seriamente) che anche lui un giorno avrebbe potuto vestirsi per Carnevale da Minnie. La sua assenza di talento, dialettica e contenuto è così assoluta da risultare quasi commovente.
Molti si domandano ancora se Donzelli avrebbe dovuto dimettersi da vicepresidente della Commissione Copasir, dopo la sua mitragliata verbale contro Serracchiani, Orlando, Lai e Verini. Ovviamente sì, ma il punto è un altro: in un Paese anche solo minimamente normale, uno così – il Parlamento – lo avrebbe visto al massimo giusto in foto.