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 2023  febbraio 06 Lunedì calendario

Michele Serra diviso tra vinili e musica digitale

“Io amo il suono del vecchio vinile, specialmente su un giradischi. La qualità è potente e miracolosa, mi riporta indietro ai giorni in cui la vita era differente e imprevedibile”. Lo dice Bob Dylan parlando del suo libro Filosofia della canzone moderna. Ho pensato: ecco il solito vecchio che rimpiange i soliti bei tempi andati, confondendo la sua giovinezza con l’Età dell’Oro. È una parte, quella del vecchio nostalgico e borbottante, che con il passare degli anni incombe come una maledizione su ogni essere umano, in versione più o meno caricaturale. Non illudetevi, trentenni e quarantenni. Toccherà anche a voi quando, nel 2053, il mondo vi sembrerà un treno deragliante perché qualcuno ha cambiato i binari senza chiedervi il permesso.


Poi, un paio di giorni dopo avere letto Dylan, mi capita di fare una lunga chiacchierata (l’intervista è uscita su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica) con Bob Ezrin, produttore di Lou Reed, Pink Floyd, Alice Cooper e una sfilza di altri pezzi grossi del rock. Uno che ha cominciato a lavorare in sala d’incisione (come si chiamava una volta) e ora conosce ogni anfratto del mondo digitale. Uno che a cavallo del “nuovo” ancora galoppa, a 73 anni, senza farsene disarcionare.


Ezrin mi fa questo discorso (parole sue, riassunto mio): il digitale è la trasformazione di una performance materiale in una serie di 1 e di 0. Durante questo percorso il suono lascia il mondo fisico e organico, e a dispetto di ogni perfezione formale e di ogni precisione tecnologica perde la sua “naturalezza”. Conseguenza involontaria della digitalizzazione è la perdita di “innata umanità” nella musica riprodotta. La riprova è il risorgere dell’interesse per il vinile anche tra i giovani, nativi digitali che in questo caso si voltano indietro…


Questo sostiene il secondo Bob (Ezrin): con il digitale c’è stata una perdita di innata umanità. Costringendomi a ripensare alla nostalgia vinilica del primo Bob (Dylan) con qualche dubbio in più, e con un giudizio meno severo. Potrebbe avere le sue buone ragioni, il primo Bob, non in virtù della “nostalgia”, ovvero di un sentimento soggettivo. Ma a causa di un oggettivo cambiamento delle cose che avrebbe prodotto, addirittura, “una perdita di umanità”. Chissà.


Ho voluto inaugurare Ok Boomer! con questa piccola storia perché il “cuore” della mia newsletter, almeno nelle intenzioni, è fare un discorso – spero di lunga durata, spero non noioso – sul tempo che passa e sull’idea che ce ne facciamo. Non per dirne male, non per dirne bene, ma per guardarlo in faccia, possibilmente in buona e folta compagnia (vi siete iscritti in tantissimi: grazie e bentrovati!).


Dopo un certo numero di anni vissuti, e di esperienze metabolizzate, capire il mondo – impresa ardua a qualunque età – ha una difficoltà aggiuntiva: i tempi, al cui fianco abbiamo camminato con naturalezza per tutta la vita, improvvisamente allungano il passo. Vanno più veloci di noi. Oppure: siamo noi che rallentiamo, anche se ci secca molto ammetterlo. Il risultato non cambia.


Non è niente di grave o di insolito – è la vecchiaia alle porte. Di grave, specie se si fa un lavoro culturale, che comporta socialità e uso costante della parola, ci sarebbe adottare come metodo lo spregio preconcetto, quello che traduce l’affanno in alterigia: tempi schifosi, non mi interessano, era molto meglio prima. Si chiama: effetto “la volpe e l’uva”. Ci cadono in parecchi e temo, in qualche occasione, di avere corso il rischio pure io.


Identicamente grave, e fonte di dannazione, è l’errore speculare, uguale e contrario: dire che tutto va bene per simulare frizzante dinamismo nonché eterna giovinezza. Difficile stabilire se sia più patetico il vecchio nostalgico e borbottante che dicevo prima, o il sempre giovane che si fa andare bene qualunque stranezza, o idiozia, perché ha il terrore di essere lasciato indietro.


Un esempio classico del primo errore è l’evocazione della politica italiana “di una volta”, diciamo dal dopoguerra alla Prima Repubblica, come comunque più rispettabile e profonda rispetto a questa qui, omettendo di considerare che in molte città italiane ci si sparava per le strade e si mettevano le bombe, e lo si è fatto per parecchi anni.


Esempio classico del secondo errore è l’idea che il cambiamento tecnologico sia in sé fonte di salvezza e miglioramento, liquidando l’impressionante impatto sulle relazioni tra le persone e sul lavoro come un normale effetto collaterale, non come un mutamento strutturale e irreversibile della società umana – e forse della condizione umana.


In mezzo a questi due errori c’è una stretta passerella, è quella che bisogna cercare di percorrere per non cadere nella melma sottostante, facendo ridere tutti, come a “Giochi senza frontiere”. Citazione, questa, che mi permette di tagliare trionfalmente il nastro di questa inaugurazione, perché niente può datare l’educazione sentimentale dell’autore come “Giochi senza frontiere”. Per aggravare la mia posizione potrei citare anche il Cantagiro. Per alleggerirla, posso aggiungere che nella mia playlist gli Editors, Charlie Cunningham, alt-J e Mahmood battono largamente Beatles e Dylan. Ho buoni suggeritori/soccorritori, trentenni e anche meno.


Ringrazio i lettori che, nei commenti al numero zero, mi hanno fatto presente che il termine boomer è riferito al boom demografico, non a quello economico. Giusta osservazione. Ma i due boom sono ben sovrapponibili; e nell’accezione corrente ormai boomer si riferisce soprattutto alla condizione di crescente benessere nella quale i boomers sono cresciuti. (Sono omesse, in questa classificazione anagrafica, le differenze di classe sociale, invece molto rilevanti, e secondo me più rilevanti. Avremo modo di parlarne)


Infine. Ringrazio anche chi, nei commenti, si spazientisce per l’arrivo sul Post del vecchio trombone sputasentenze; anche “solito stronzo” per chi adotta il metodo Arbasino, non potendo ancora io ambire al ruolo di venerato maestro. È un’ottima maniera per allertare il mio sistema immunitario: contro i miei pregiudizi e contro quelli altrui. In ogni modo, la risposta è semplice: non sono qui per dare lezioncine, non ne ho i titoli e soprattutto l’intenzione. Sono qui solo per raccontare, è l’unica cosa utile che si può fare da vecchi.