Corriere della Sera, 6 febbraio 2023
Ascesa e caduta di Jack Ma
È stato per due generazioni di cinesi l’equivalente nazionale di Bill Gates più Steve Jobs più Elon Musk. Ora vive spesso in un «non dichiarato» esilio a Tokyo e Singapore. Era il magnate digitale più ricco e potente della Cina, aveva costruito un impero superiore ad Amazon, elogiato e sostenuto dal regime, fino a quando Xi Jinping ha deciso che il suo successo gli faceva ombra. La sua parabola è esemplare, anche perché si è ammantata di giustificazioni eccellenti: il governo di Pechino ha cavalcato valori che noi consideriamo nostri, dalla tutela del consumatore contro i monopoli di Big Tech ai diritti dei lavoratori, dalla trasparenza alla concorrenza. Lo scontro di potere è stato titanico. Xi ha vinto.
Il mio primo contatto con Jack Ma risale a 19 anni fa, avviene al World Economic Forum di Davos, quando lui è ancora sconosciuto in Occidente. Ricordo quella lunga conversazione sulle montagne svizzere. «Non ho avuto aiuti né dalla famiglia né dal governo» mi dice l’imprenditore che a quell’epoca ha 40 anni e preferisce ancora usare il proprio nome cinese, Ma Yun. «I miei genitori sono dei semianalfabeti: mio padre è andato in pensione con un salario di 250 yuan (25 euro di allora) al mese, come ogni operaio ai tempi di Mao Zedong. Ero un pessimo studente in tutte le materie, fuorché in inglese. Avevo 13 anni quando la Cina si è aperta al mondo e a Hangzhou sono arrivati i primi turisti stranieri. Andavo a offrirmi gratis come guida turistica, pur di praticare l’inglese».
Il viaggio a Seattle
Ma Yun inizia a insegnare l’inglese all’università: il suo primo stipendio è di 11 euro al mese. A quel punto la sua vita subisce una svolta «proprio come in un film di Hollywood», dice lui. Nel 1995 viene ingaggiato come interprete da un consorzio sino-americano che ha vinto l’appalto per costruire l’autostrada da Hangzhou a Fujan. Durante una missione negli Stati Uniti i soci cinesi e americani litigano furiosamente. L’interprete Ma Yun viene sequestrato, minacciato con una pistola. Liberato, rimane senza bagagli e senza un soldo. Vince 600 dollari giocando in un casinò di Las Vegas, e solo così può comprarsi il biglietto di ritorno. Ma prima di rientrare in Cina va a trovare un amico a Seattle. Proprio la città dove si è trasferito Jeff Bezos un anno prima e ha creato l’embrione di Amazon. A metà degli anni Novanta, è in America che il fenomeno Internet muove i primi passi, nel resto del mondo è quasi sconosciuto. Una navigazione online a casa dell’amico di Seattle gli rivela che le imprese cinesi sono assenti dal nuovo mondo. «Mi sono dimesso dall’università, ho invitato venticinque amici a casa mia e ho annunciato che avrei creato una start-up. Molti mi hanno scambiato per un imbroglione. Non ho mai capito nulla di informatica o di management. Però ho capito qualcosa prima degli altri». Alibaba nascerà solo in seguito, da quel germe iniziale di una start-up con i risparmi dei suoi amici. In un crescendo di innovazioni geniali, sia sul piano tecnologico che commerciale, sbaraglierà eBay, riuscirà ad espellere quasi completamente dal mercato cinese Amazon, a diventare il numero uno mondiale del commercio online, imponendosi come la piattaforma obbligata anche nel crocevia Oriente-Occidente: per molte imprese europee o americane, il modo più semplice per accedere al consumatore cinese, o per comprare da fornitori cinesi, consiste nel transitare da Alibaba pagando pedaggio a questo gigante.
Ma il tirocinio è doloroso, disseminato di incidenti umilianti. La prima start-up che lui crea si presenta come un catalogo di aziende e di prodotti, una versione digitale delle nostre Pagine Gialle (che solo i lettori attempati possono ricordare). Si chiama China Pages. Funziona così bene che un’azienda di Stato gli ruba l’idea e la copia, in barba ai copyright. Forse per via di quell’umiliazione, Ma Yun nel 1997 si rassegna a entrare nel settore statale. Diventa un funzionario del ministero del Commercio estero. Torna a fare l’interprete per accompagnare in una visita ufficiale Jerry Yang, fondatore di Yahoo che a quell’epoca è un gigante della Silicon Valley. È Yang il tipo di personaggio che affascina Jack Ma, il suo modello non è il funzionario di partito. Nel 1999 lascia il settore pubblico e stavolta crea Alibaba.
Mentre lotta per emergere come il numero uno del commercio digitale nel suo Paese, Jack Ma comincia a curare la propria immagine. I suoi modelli sono occidentali. Copia un po’ il fondatore di Virgin, Richard Branson, un po’ Steve Jobs. Organizza delle assemblee dei suoi dipendenti in cui lui appare vestito come una rockstar e suona la chitarra elettrica; nutre il culto della personalità. Via via che accumula ricchezze, ne restituisce una parte alla società sotto forma di filantropia. Diventa un mecenate per giovani artisti. Riscopre un legame con una tradizione ancestrale come il tai-chi, l’arte della calligrafia antica, il disegno. Prende forma il «personaggio» di Jack Ma. Per la prima volta grazie a lui i giovani cinesi all’inizio del XXI secolo hanno un idolo nazionale da emulare, invece di inseguire americani. La formula Ma, il successo imprenditoriale attraverso il percorso della start-up, è un percorso interessante per dare una risposta alle ansie della generazione dei Millennial cinesi, alle prese con una disoccupazione intellettuale in aumento.
Quando lo incontro la prima volta nel 2004 a Davos, agli albori della sua scalata al successo, Ma Yun usa un linguaggio prudente per descrivere il proprio rapporto con le autorità: «Sono un buon amico del mio governo ma non abbiamo mai fatto affari insieme. Io ho scelto come clienti le piccole imprese. La fama mi preoccupa. È anche per questo che rimango a vivere a Hangzhou, lontano dal potere di Pechino. Ho visto troppa gente salire alle stelle e poi precipitare». Parole profetiche, un giorno si applicheranno a lui. A quell’epoca il partito comunista spalanca le porte ai businessman. Lui si iscrive al partito però si limita a quel gesto formale. Il fondatore di Alibaba rientra in una categoria che all’epoca viene definita – con ironia molto cinese – «i sordomuti». Capitalisti che non parlano di politica, se ne disinteressano o fingono di ignorarla. Si guardano bene dal criticare il governo anche quando sono vittime di estorsioni da parte di dirigenti corrotti; ma evitano di entrare nella nomenclatura comunista. I «sordomuti» ricordano un antico proverbio cinese: «Un uomo ricco teme la fama come il maiale teme il proprio grasso».
Con il passare degli anni, e l’accumularsi dei miliardi sul suo conto in banca, il culto della personalità lo convince di essere davvero invulnerabile? Qualche volta si permette, parlando della nomenclatura comunista, un tono sferzante. In un celebre discorso ai dipendenti di Alibaba dice: «Amate il nostro governo, ma non sposatelo». Investe nelle relazioni pubbliche: recluta giornalisti famosi dai media di Stato, gente che ha fatto carriera dentro il partito comunista e sa navigare negli equilibri del regime. Assume ex funzionari pubblici che hanno occupato ruoli importanti nell’antitrust o in altri ministeri, con il potere di regolare proprio il business digitale. Costruisce un impero mediatico: giornali, siti, tv, società pubblicitarie, una compagnia cinematografica. Il gioiello della sua corona è il South China Morning Post, quotidiano di lingua inglese a Hong Kong.
Il sorpasso
L’impero creato da Jack Ma è una realtà immensa, ha 120.000 dipendenti. Sommando le piattaforme che fanno capo ad Alibaba per il commercio digitale, come Taobao che offre un miliardo di prodotti o Tmall che si specializza nelle grandi marche globali, il gruppo vende più di Amazon. L’allievo ha superato il maestro, anche perché Alibaba ha allevato una generazione di cinesi più sofisticati di noi nelle nuove tecnologie. Ant, la filiale finanziaria di Alibaba, attraverso la app Alipay ha digitalizzato i pagamenti dei cinesi a livelli molto superiori rispetto all’uso dei vari portafogli elettronici di Apple o Google o Paypal in America. Centinaia di milioni di cinesi ogni giorno usano Alipay col loro cellulare per pagamenti anche minuscoli, rendendo obsolete perfino le carte di credito. Gli stessi investono i loro risparmi nei fondi comuni di Ant. La raccolta d’informazioni su questa sterminata popolazione ha aperto opportunità nel micro-credito. Ant è diventata la più grande prestatrice ai consumatori cinesi.
Per anni Pechino ha trattato Alibaba con il riguardo che si addice a un «campione nazionale». Poi l’atmosfera è cambiata. Ant-Alipay è stata accusata di fare concorrenza sleale alle banche. La sua quotazione in Borsa è stata bloccata. Jack Ma, già uscito dai ruoli esecutivi, di recente ha deciso di abbandonare la sua superbanca in «mani sicure»: manager che sono emanazione del partito. Lui è diventato quasi invisibile. Salvo quando passeggia per le vie di Tokyo. Non gli è andata male. Altri miliardari cinesi caduti in disgrazia sono in carcere. Jack Ma sembra aver capito in tempo quello che gli restava da fare.