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 2023  febbraio 05 Domenica calendario

Intervista a Brendan Fraser

Chi ha frequentato il cinema negli anni Novanta conosce Brendan Fraser. Mascella volitiva, occhi azzurri, voce baritonale, l’attore è stato protagonista di blockbuster popolari come la saga della Mummia. Poi per lungo tempo è quasi sparito dalla scena. «In realtà ci sono sempre stato», precisa, ma il grande pubblico aveva smesso di accorgersi di lui, il suo nome non appariva più sui cartelloni, i ruoli si erano fatti marginali.
A risollevarne le sorti è stato Darren Aronofsky, il regista di Madre! e Il Cigno Nero che lo ha voluto protagonista di The Whale in arrivo nelle sale il 23 febbraio. Il film, adattamento di una pièce teatrale di Samuel D. Hunter, ha appena ottenuto tre candidature all’Oscar, una delle quali a Fraser come migliore attore protagonista. Cos’era successo prima di questa svolta nel cinema d’autore? «Mi chiedo se fui io ad allontanarmi o furono gli altri ad iniziare ad evitarmi», dice l’attore che confessa di aver sofferto fisicamente e mentalmente: «Sul set dell’ultima Mummia mi rimettevo in sesto ogni mattina con nastro muscolare e impacchi di ghiaccio». Contribuì anche una denuncia per molestie sessuali che Fraser fece nei confronti di un giornalista. La star sostenne di essere stato toccato nelle parti intime e pretese le scuse pubbliche che non arrivarono. La depressione aumentò, le proposte di lavoro diminuirono, la forma fisica peggiorò. Immagini di Fraser appesantito circolarono sui social. «Ora non importa più nulla, i momenti duri aiutano a crescere».
Non ci sarebbe stato Charlie, il protagonista di «The Whale», senza gli struggimenti e i chili di troppo?
«Non lo so, quello che è certo è che il percorso di vita di un attore si ripercuote sulle sue interpretazioni. All’inizio ho avuto paura, l’idea di tornare a lavorare con un grande regista mi intimidiva ma sbagliavo perché Aronofsky è una persona deliziosa e un uomo intelligente».
Cosa ha pensato dopo la nomination agli Oscar?
«Ho cercato di tenere a bada le farfalle nello stomaco. Ancora ora, ogni tanto mi pizzico per capire se si tratta della realtà o di un bel sogno. È un viaggio nuovo nella mia vita professionale. Bello ed eccitante».
Come si può sintetizzare questo film?
«È la storia di un uomo solo, un insegnante di lettere che si sta uccidendo con il cibo. Lo fa da tempo e lo incontriamo al termine della sua vita, ha ormai pochi giorni per cercare la redenzione e decide di provare a ristabilire un contatto con la figlia che non vede da tempo. Se ci riuscirà la sua vita non sarà stata vissuta invano».
La sua trasformazione fisica è incredibile.
«Sono ingrassato per interpretare Charlie, ma senza il trucco non ci sarebbe questo film. Indosso una protesi creata con una nuova tecnologia. Una tuta di grasso che mi trasforma e mi permette di essere Charlie. Il regista aveva bene chiaro in mente che i ritocchi virtuali dovevano essere minimi e che quella protesi doveva obbedire alle leggi della fisica e della gravità, rendermi i movimenti difficili come sono quelli di un obeso grave. La mia doveva essere una rappresentazione che rispettasse e conferisse dignità a chi ne soffre».
Il sistema sanitario americano, basato sulle assicurazioni private, non aiuta chi è obeso.
«Per poter essere sottoposti a intervento di riduzione gastrica, che è l’unica soluzione per salvare loro la vita, devono dimostrare di sapere perdere peso sottoponendosi a dure diete ipocaloriche. Che senso ha? È accertato che per alcuni la quantità e la qualità del cibo non contano, agiscono fattori genetici. Sono persone malate, intrappolate nel loro stesso corpo».
Ha fatto ricerche?
«Mi sono messo in contatto con la Obesity Act Coalition, che si occupa di chi soffre di questa grave malattia e di disturbi alimentari, e che aiuta le famiglie. Ho conosciuto tante persone che mi hanno offerto il loro onesto punto di vista, che è quello che Charlie cerca di fare con chi gli è vicino e con i suoi studenti».
Charlie, nonostante tutto è un ottimista.
«È una persona che non perde mai la capacità di vedere il buono negli altri, anche quando non riescono a vederlo in loro stessi. È ciò che me lo ha fatto amare. Io ho tre figli e ho tutto l’amore di cui avrò mai bisogno per il resto della mia vita eppure per lungo tempo sono stato depresso. Lui no, ma non si arrende».
Nemmeno lei si è arreso.
«Nonostante tutto, è vero, sono ancora qui a fare film».