la Repubblica, 5 febbraio 2023
Deborah Compagnoni ricorda
«Non sono mai più tornata là, ma continuano ad arrivarmi foto del cartello sul quale è scritto il mio nome. E per strada mi fermano ancora adesso, ricordandomi quel che è successo il giorno dopo». Con la cerimonia inaugurale partono oggi i Mondiali di sci alpino in Alta Savoia, e leggere il nome della località dove si svolgeranno le gare femminili, Meribel, è come entrare in una finestra spazio- temporale che riporta indietro di trentuno anni. Quando sulla pista che si chiamava Piste du Corbey (ora è la rinnovata Roc de Fer) Deborah Compagnoni entrò nel cuore degli italiani alle Olimpiadi di Albertville 1992. Prima con una medaglia d’oro shock in superG, poi urlando di dolore per la rottura del crociato in diretta tv, durante il gigante. Oggi Deborah Compagnoni ha 52 anni, vive a Treviso ma torna spesso nella sua Santa Caterina Valfurva. È ambassador di Milano-Cortina 2026 in tema di sostenibilità. I tre figli Agnese, Tobias e Luce Benetton vivono e studiano negli Stati Uniti. Per i Mondiali ha accettato di essere opinionista di Rtl 102.5, in cambio di un sostegno alla sua associazione Sciare per la Vita impegnata nel progetto del Comitato Maria Letizia Verga: «Vogliamo aggiungere un padiglione di pediatria alla struttura di ematologia infantile a Monza».
Deborah, quelle due giornate è impossibile dimenticarle.
«Una bellissima giornata, quella del superG: la gara è stata rinviata perché erano caduti 30 cm di neve, e si disputa in concomitanza col gigante vinto da Alberto Tomba.
Sono un’esordiente, ho appena vinto la mia prima gara di Coppa, non sono nemmeno nel primo gruppo. Parto col numero 16, equando arrivo stanno festeggiando la francese Carole Merle. Anche per me è una sorpresa, che mi cambierà la vita. Forse non reggo il momento di estasi».
Infatti arriva il giorno dopo: uno studio l’ha accostata a Tardelli nella categoria degli urli più famosi dello sport.
«È andata così, ho voluto recuperare ed è uscito quel movimento del ginocchio. Ancora adesso c’è gente che tutti i giorni mi incontra e me ne parla, l’hannovisto in tanti. Il giorno in cui tutto mi è andato male, ho fissato il mio nome nella memoria».
Compagnoni, Kostner, Panzanini, Perez...: è più forte quella generazione o quella che si prepara ai Mondiali francesi?
«Loro, assolutamente. Sono più forti. Fanno sempre risultato tra le prime 5 o vanno sul podio. Basti pensare che c’è una Federica Brignone che ha vinto la Coppa del mondo generale, mai successo. Poi Sofia Goggia, Marta Bassino…Certo, alle Olimpiadi io ho vinto tre volte, la medaglia d’oro aiuta di più ad essere ricordate».
A Sofia Goggia ha detto che rischia, dando troppo peso a imperfezioni.
«Non volevo dare un consiglio, lei è così forte che non deve cambiare niente. Solo che a volte dà l’impressione di rischiare un po’ troppo appena ha fatto un piccolo errore. Anche a me la velocità sembrava la massima espressione dello sci. Poi mi sono fatta maleparecchio, e dopo l’operazione non ho mai recuperato la piena flessibilità del ginocchio. La paura del dolore mi ha cambiato la testa, ci ho messo anni. Per questo mi dispiace quando Sofia cade».
Da ragazza serviva ai tavoli dell’hotel di famiglia, il Baita Fiorita: si sta riavvicinando alle sue radici?
«Si torna volentieri dove si è stati bene non solo nell’infanzia, ma anche nell’adolescenza. Adesso l’hotel è gestito da mio fratello Yuri, io abito lì vicino».
Disegnava tute per lo sci.
«E anche adesso ho delle idee per una linea di abbigliamento. Un mio pantaloncino tipo bermuda per allenamenti di slalom fu copiato da tutti, poi c’è stata una giacchettina più aderente».
I suoi figli ormai sono grandi.
«E ora che vedo i bambini con l’occhio della madre mi chiedo com’è possibile che abbiamo così poco sport nella scuola, e che ci stiamo abituando alla loro inattività».
È cambiato il suo rapporto con la montagna dopo la tragedia di suo fratello Jacopo, travolto da una valanga?
«Quel che è successo è stato un colpo molto forte, qualcosa che ti cambia la vita. Guardi il tempo passato, dai un peso diverso alle cose. Nonostante io abbia avuto una vita piena di esperienze, apprezzo cose semplici che ritrovo in questi luoghi. Non odio la montagna, anzi la amo, mi fa stare bene, quel che è successo non mi ha allontanato. Jacopo era giovane, aveva una famiglia con due bambine che ora hanno tre e cinque anni. Era una guida alpina, faceva un lavoro che comporta dei rischi, un tradizione di famiglia, e gli piaceva molto. Conservo il ricordo di lui sorridente, e guardo avanti».