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 2023  febbraio 05 Domenica calendario

Intervista ad Alessandro Haber

«Continuerò a essere il vostro incubo. Non siamo un c…o. Ci affanniamo, ci arrabbattiamo, ci arrabbiamo ma non siamo niente», ha scritto Alessandro Haber nell’ultimo paragrafo della sua autobiografia di un anno e mezzo fa.
Haber lotta da mezzo secolo con la sua nevrosi, con la passione per il teatro e il cinema, con la musica, coi registi, con le donne, nell’ultimo anno con la salute e, adesso, col suo personaggio di giornalista senza scrupoli alle prese con una misteriosa donna nei cui panni è Giuliana De Sio ne La signora del martedì, il noir che Massimo Carlotto ha tratto dal proprio romanzo, dal 15 all’Ambra Jovinelli di Roma.
Con regia di Pierpaolo Sepe, cast completato da Paolo Sassanelli e Riccardo Festa, e col marchio Ipocriti, Teatro della Toscana e Goldenart.
Haber, che impresa torbida e gialla di Carlotto sta affrontando in palcoscenico?
«Sto partecipando con energia a una trama dove la mia figura è quella d’un uomo che cerca di fare uno scoop sull’identità di una donna fragile, un’ex ragazzina costretta a vendersi per un retroscena di usurai: il mio cronista s’accanisce per dare nuova visibilità a lei che fu accusata d’aver ammazzato padre, madre e fratello e che ora, una volta alla settimana, frequenta in incognito un pornostar alla deriva.
Il mio giornalista un tempo era stato cliente di lei ragazzina-prostituta e se n’era innamorato».
Lei interpreta uno della carta stampata che andava a letto con una minorenne?
«Sì, ma avevo cercato di redimerla, non riuscendoci. Soffrendone e comportandomi male sul giornale.
Ho chiesto a Carlotto che la trasposizione teatrale mi rendesse labile, in cerca d’un riscatto, testimoniato da lettere del passato.
E ho ottenuto che il mio personaggio si presentasse su una carrozzina, per problemi post-operatori che ho avuto, anche se oggi ho ripreso quasi a deambulare, usando le stampelle.
Coi contributi della compagnia accettati dall’autore, il testo ora sviluppa destini drammatici, marci, umani e ridicoli, condivisi dall’indole della lei divenuta scrittrice di favole per bambini che è Giuliana De Sio, dalla proprietaria travestita della pensione e dal gigolò. Tutti viviamo in un mondo alla deriva, disilluso ma l’adattamento attuale ha per ognuno un retroterra».
Che cosa c’è del suo carattere trasgressivo, nell’uomo che interpreta?
«La mia fragilità che si confonde con antipatia, sadismo. Qui ringrazio tutti perché m’hanno coccolato giorno per giorno per farmi costruire follia, dolore e umiliazione. Come si fa a fare del male in un’epoca in cui la guerra è quasi un film quotidiano?
Io, con le mie gambe immobilizzatedopo una disavventura chirurgica, avrei forse dovuto dare i pugni al muro, ubriacarmi, andare a mignotte? No! Ho avuto accanto veri amici e mia figlia Celeste. Poi penso a chi sta peggio, alle carezze che merita la gente da accogliere che arriva da paesi lontani, ai piatti da dare a chi ha fame. Penso al quadro derelitto creato da Massimo Carlotto, a un quadro di esistenze senza crimini ma solo patetico, sadomasochistico, innocuo, disperato. E penso alle belle persone tutto istinto che erano mie amiche e non ci sono più, a Ennio Fantastichini, a Monica Scattini».
Ora ha l’opportunità di lavorare con Giuliana De Sio, che a suo tempo ha avuto una relazione con lei...
«Che piacere, averla sostenuta nel mestiere dell’attrice. Essere rimasti grandi amici. Averla avuta a tifare per me. Progettando più volte un’impresa in comune, tipo La bisbetica domata. C’è un detto e non detto della nostra vita, uno stimarci, avere confidenza, malgrado le storie con me non siano facili».
Perché?
«Sono troppo malato di me, accentratore e le donne vogliono giustamente sempre più uno spazio riconoscibile. E la ripetitività ènemica della sessualità. Veder invecchiare una persona accanto a me non è semplice. Ora ho una storia imprevista, con chi non appartiene al mio mondo artistico e non abita con me».
Lei dà l’impressione di abitare con alcuni suoi personaggi rudimentali, tipo Bukowski…
«Certo, lui diceva quello che pensava, con frasi forti, schiettezza e poesia, senza compromessi.
Per questo l’ho riprodotto in scena.
Ma sono stato dentro la testa e il linguaggio anche di chi ho fatto parlare inOrgia di Pasolini, nell’alienazione diScacco pazzodi Franceschi e nel mio finto biopic
La vera vita di Antonio H.che Monteleone costruì da una mia leggendaria Serata d’onore (del disonore) a base di ansie e insulti al Teatro Parioli. Fuori dai canoni sono andato anche inZio Vanja e nelPadredi Zeller che ha fatto piangere».
Lei riceve sempre varie proposte...
«Che le devo dire? Dovrei fare un film con Samuel di Marzo, si discute per una Coscienza di Zeno con regia di Paolo Valerio, che io forse affronterei avendo in mente il Peter Sellers diHollywood Party o diOltre il giardino, in modo chapliniano».