La Stampa, 5 febbraio 2023
Generazione alcolica
Non hanno nemmeno l’età per guidare un motorino, frequentano ancora le medie o addirittura le elementari, ma circa un milione di bambini e ragazzini tra i 10 e i 14 anni già si sbronza. E il 66% lo ha fatto tra i 15 e i 17 anni, quando la somministrazione di alcolici sarebbe ancora vietata. Rintanati in casa negli anni bui della pandemia, giovani e giovanissimi tornano a socializzare ma tra loro cresce la generazione dei «baby alcol», fotografata da uno studio «Espad» ancora inedito, condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr. Un alzare di gomito in età sempre più precoce che ha effetti disastrosi per la salute ma anche nella vita familiare e affettiva di questi adolescenti.
A diciassette anni Mario è già un alcolista con un passato in una comunità di recupero. Giacomo ha quattro anni in più e il lunedì, dopo la sbornia, si sente «in colpa» perché nel weekend appena trascorso ha «picchiato mamma mentre il cervello era alterato dal gin». A quindici anni Vincenzo si ubriaca ogni sabato sera «per farsi accettare dal gruppo di amici, che bevono tutti». Storie di giovanissime vite rubate dall’alcol. «Negli ultimi 15 anni l’età di chi si rivolge a noi è calata moltissimo: è scesa di 10 anni», racconta Pasquale M., coordinatore di Alcolisti Anonimi Campania.
Secondo lo studio Espad il 46,1% degli studenti ha assunto per la prima volta bevande alcoliche tra i 12 e i 14 anni. Il 15,2% lo ha fatto persino prima degli 11 anni. «Fortunatamente nella maggior parte dei casi si tratta di approcci, tipo il nonno che fa assaggiare lo champagne a Capodanno, ma non sempre è così», spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr e responsabile dello studio. «Dal 2019 osserviamo infatti un aumento della percentuale di under 11 e di 12-14enni che hanno fatto abuso di alcol». A conferma sciorina i dati dello studio: la fetta di chi consuma alcolici sotto 11 anni di età dal 2019 ad oggi è salita dal 10,5 al 15,2%, mentre ad ubriacarsi è l’1,2%. Quota che sale però al 28% quando si passa alla fascia di età 12-14 anni, dove a sbronzarsi è oltre il 5% in più rispetto a soli tre anni fa. In percentuale non sembra granché, ma considerando che tra i 10 e i 14 anni si contano oltre 2,8 milioni di ragazzini, significa che un milione di loro ha già provato l’effetto dell’ubriacatura.
Sbronze a parte, ad allarmare è soprattutto la percentuale di chi fa abuso di alcol, bevendo 20 o più volte nel corso di un mese. Oramai lo fa il 6,1% di ragazzi e ragazzini, «la percentuale più alta mai registrata in Italia», specifica la dottoressa Molinaro. La quale rimarca anche un’altra novità del 2022: il sorpasso delle ragazze (il 78,6%) sui ragazzi (76,7%) che tra i 15 e i 19 anni hanno fatto uso di bevande alcoliche, «più frequentemente di cocktail, che per la presenza di zuccheri e per l’alta gradazione sono anche maggiormente pericolosi delle birra, prediletta dai maschi». A bere di più sono soprattutto le giovanissime tra i 15 e i 16 anni, «tra le quali è anche diffuso il fenomeno del bere e non mangiare per evitare di ingrassare. Pratica che ovviamente aumenta gli effetti deleteri dell’alcol», rivela ancora la ricercatrice del Cnr.
Ad aggravare ancor di più la situazione c’è poi il mix con energy drink e droghe varie assunte per attenuare gli effetti dell’alcol. Lo ha sperimentato almeno una volta un ragazzo o un’adolescente su tre mentre uno su dieci lo fa frequentemente. Sono facilmente immaginabili gli effetti devastanti sulla salute.
«Per rendersi conto della gravità del fenomeno basta fare due chiacchiere con i tassisti che nelle notti di venerdì e sabato riaccompagnano a casa tantissimi bambini stravolti dall’alcol dopo serate nei chioschetti e nei locali», conferma Alberto Villani, responsabile di pediatria generale e malattie infettive all’ospedale romano Bambino Gesù ed ex Cts. Il quale poi cita il dato dell’Osservatorio dipendenze di Palazzo Chigi, che tra i ricoverati in pronto soccorso per intossicazioni alcoliche ha rilevato un 17% di under 14.
«Chi ha questo tipo di problema – prosegue Villani – sono bambini ricchi e poveri, maschi e femmine, non c’è differenza. Generalmente soggetti che vivono una profonda solitudine esistenziale. Non praticano sport, non suonano strumenti, hanno una vita vuota che riempiono con vino, birra e superalcolici». «Nell’immediato – spiega l’esperto – vanno incontro al coma etilico, a lungo termine possono sviluppare danni al sistema nervoso centrale che si traducono in rallentamenti e tremori. Per non parlare delle conseguenze a livello epatico, cirrosi e tumori compresi».
Danni che si rischia di infliggere al proprio corpo quando si pratica il «binge drinking», ossia ci si stordisce mandando giù più di cinque bevande alcoliche di ogni sorta nel giro di poco tempo. A Roma qualche tempo fa un’inchiesta ha smascherato un gruppo di pub che rilasciava persino una tessera con la quale dar vita al tour etilico. Lo studio Espad rivela che un ragazzo su tre pratica il binge drinking, e uno su quattro ha addirittura meno di 17 anni. Cattive abitudini che diventano deleterie quando si abbinano all’obesità, condizione oramai comune a un bambino su tre. «In questo caso si innesca una vera e propria bomba a orologeria», spiega il professor Valerio Nobili, responsabile delle epatopatie metaboliche al Bambino Gesù, dove ha condotto uno studio sugli effetti della pratica. «Quello che stiamo osservando nei nostri ragazzi – spiega – è il costante aumento della presenza di problemi al fegato cronici e progressivi come infiammazioni, steatosi e fibrosi, che compromettono la struttura dell’organo stesso fino alla perdita totale della sua funzione. Nel nostro Paese si stima circa un milione di bambini con fegato grasso, ai quali vanno aggiunti quelli con sindrome metabolica, nonché i ragazzi-bevitori, esposti allo stesso identico rischio. La risultante di questo processo sarà avere un numero sempre più grande di adolescenti con il fegato compromesso che saranno adulti malati e quindi ancor più bisognosi di cure mediche». Perciò, conclude, «è obbligo istituzionale e dovere morale di noi pediatri intervenire per arginare questa pandemia». Un obbligo che avrebbe esteso a chi ha la responsabilità politica di porre un freno alla deriva alcolica (e non solo) della nostra generazione Z. —