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 2023  febbraio 05 Domenica calendario

Sanremo raccontato da Mario Maffucci

(Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Mario Maffucci, ex dirigente della Rai, ex responsabile di Sanremo. La prima metà è uscita domenica scorsa ed è disponibile sul sito: ha raccontato i dietro le quinte del Festival, i no, Baudo, le incursioni e le crisi di nervi…).
Maffucci, quale altra crisi di nervi ha affrontato?
Ero il responsabile del Fantastico con Adriano Celentano alla conduzione.
Il celebre Fantastico dei silenzi.
Va inquadrato il contesto politico: il governo si stava avvicinando al voto sulla legge Mammì, la peggiore mai promossa in tema televisivo; il problema era quello di non arrivare deboli a quel voto, altrimenti rischiavamo di venir ancor più penalizzati; (pausa) tutto questo l’ho capito dopo, allora non mi era chiaro di stare al centro di una partita politica così complessa.
Con Baudo passato da Berlusconi.
Non solo Pippo, anche Raffaella Carrà ed Enrica Bonaccorti. E con un grande errore: quella campagna acquisti dava per scontato che la tv dipendesse solo dai personaggi, mentre la storia ha spiegato che il contesto è fondamentale.
Quindi, Celentano?
Senza quei tre ci siamo trovati in difficoltà, per questo mi sono alzato e ho proposto Adriano: era un super big, campione d’incassi al cinema e nella musica; (abbassa la voce) avevo sottovalutato un dato: Adriano non aveva mai testato i meccanismi della diretta televisiva.
Non poco…
Per preparalo passo nove mesi per lui. Arriviamo al debutto televisivo e parte con un ritmo straordinario: canta e balla per circa venti minuti, carichissimo, volteggia sul paco delle Vittorie, fino a quando, dalla galleria, un pazzo gli urla “Sei grandeeeeee”. Celentano si deconcentra, si ferma, io dietro le telecamere cercavo di sbloccarlo, di spronarlo, ma niente, e allora ho chiamato la pubblicità.
I celeberrimi silenzi.
Durante gli spot recupero qualcosa, ma lui era totalmente scarico. Finisce la puntata e nel salutarlo profetizzo: “Secondo me sarà un flop”. Adriano resta in silenzio, poi replica: “Non lo so, dammi tutta la puntata, la studio e ne riparliamo lunedì”. Lo assecondo; esco dal Delle Vittorie, vado a cena da Paola Sturchio, al tempo uno dei salotti romani più in voga, e lì trovo tutto il mondo dello spettacolo; (sorride) quel mondo è solidale, carico di amicizia e condivisione, ma quando uno di loro fa flop, stappano lo champagne.
Spietati.
In quella villa ho trovo la baraonda, e siccome rappresentavo il flop, vengo preso di mira. E solo tre persone mi difendono: il marito della padrona di casa, Giuliano Ferrara e un senatore Radicale. Vado a letto. Alle dieci del mattino squilla il telefono: era Mario Agnes (allora direttore generale della Rai, ndr).
Lei atterrito…
Direi preoccupato. Invece il suo tono era altro: “Non è come pensi, lavoraci sopra e sarà un successo”. “Direttore, ma cosa è accaduto?”. “Ho parlato con Ciriaco De Mita e secondo lui il silenzio di Celentano verrà interpretato come un atteggiamento critico e radicale di un uomo di spettacolo contro il consumismo della televisione”. Una lettura geniale.
E Celentano?
Ecco il punto: il lunedì vado da Adriano e anche lui, con strade diverse, era arrivato alla stessa riflessione.
De Mita e Celentano si erano parlati?
No; (pausa) adesso sembra semplice valutare quell’episodio, mentre tutti si erano schierati contro, a partire da Maurizio Costanzo e il Corriere della Sera che annunciavano il “flop della Rai”. Invece è stata una novità.
Quale?
Che un uomo di spettacolo, per la prima volta, iniziava a comunicare le sue idee ed entrava nella vita reale.
A lei cosa ha insegnato?
Con Celentano ho imparato a convivere con lo stress.
Torniamo a Sanremo: lei ha portato Gorbaciov.
Oggi qualcuno potrebbe obiettare: quindi è giusto Zelensky. Peccato per la differenza: Gorbaciov veniva dal Nobel per la Pace e soprattutto a quel tempo non eravamo in mezzo a una guerra sanguinosa.
Ha conosciuto Gorbaciov…
Non tanto, non parlava neanche inglese, eravamo affidati solo all’interprete e a Giulietto Chiesa (giornalista, ndr), amico dell’ex leader comunista e garante della qualità dell’impegno televisivo; (sorride) quell’anno il direttore del Festival era Fabio Fazio e lo convinsi a prendere Letizia Casta: “Va benissimo, ha un carattere forte, ci stupirà”.
Ed è andata così.
Peccato che, l’anno dopo, Fazio abbia dato retta alla moglie e abbia scelto Ines Sastre, ragazza bella, ma che non esprimeva nulla, un pezzo di legno. Mica come la Casta.
Insieme alla Casta c’era il premio Nobel Dulbecco: per molti lo avete svilito.
Lui non si sentiva svilito, era felicissimo; la decisione di coinvolgerlo è nata durante una riunione preliminare, quando uno di noi ha sentenziato: “Il regolamento di Sanremo è talmente complicato che ci vorrebbe un Nobel per capirlo”. “Bene! E allora prendiamo un Nobel”.
E poi?
Passammo da Paola Sturchio e sua sorella per arrivare alla Montalcini e attraverso il circuito delle star scientifiche andare da Dulbecco negli Stati Uniti.
Capitolo Mike Bongiorno.
Uomo molto complicato; (ora torna a sorridere) come già nel caso di Vianello, giungo a lui in seconda battuta, perché in primis avevamo scelto Raffaella Carrà; vado da Mike, ci sediamo al tavolo, iniziamo a parlare del possibile Festival, e mi rendo conto di avere davanti un professionista difficile, molto legato al suo solito schema e da lì non si sarebbe mosso.
Soluzione?
Il merito è della moglie; noi parlavamo, lei ci girava attorno, silente, fino a quando comprende la mia difficoltà, si siede al tavolo ed esorta il marito: “Devi cambiare, dai retta a loro”. E Mike accetta.
Ma quale era il problema?
Non sopportava l’idea di venir interrotto, mentre noi avevamo già in mente la presenza di Chiambretti.
Il Chiambretti angioletto o diavoletto è un altro pezzo di storia della tv…
Sì, e aggiungo: il gioco tra Fiorello e Bongiorno nasce da quella esperienza di spettacolo; alla fine Mike fu contentissimo.
E la Carrà?
Un anno è stata lei a condurre, ma non è andata bene, era stanca, non aveva preparato bene il Festival; dopo la prima puntata ci riuniamo e Raffaella tenta una carta: “Chiamo Banderas, è un mio amico, verrà”. Lo contatta, ci accordiamo sulla cifra, arriva e si fa accompagnare da uno spilungone vestito di nero, uno che sembrava uscito da una puntata della Famiglia Adams. Baci e abbracci tra Banderas e la Carrà.
Però…
Andiamo sul palco per provare e Iapino propone un duetto tra i due con i brani spagnoli di Raffaella. A quel punto l’uomo nero alza la mano: “Non si può fare e per due motivi. Uno perché non è previsto dal contratto. Due perché è una cagata”.
Lei è svenuto.
Aveva ragione l’uomo nero. E neanche Banderas è riuscito a risollevare la situazione; (pausa) Banderas lo abbiamo pagato bene.
Non è l’unico ospite straniero ad aver ottenuto un bel cachet.
Dipendeva e dipende dalla politica della Rai e dalla disponibilità del momento; (abbassa la voce) negli anni sono riuscito a dimostrare che il Festival non ha bisogno di questi super ospiti, molto meglio i grandi della musica italiana come Baglioni.
In quanto a super ospite lei ha avuto Madonna…
Nell’anno di Vianello, ma non andò bene; (ride) Raimondo la trattò malissimo, subito dopo la sua esibizione l’ha mandata via dal palco, quando poteva scambiarci due battute.
Cosa era accaduto?
Non lo so, forse lo aveva infastidito il suo ruolo da mega diva; il bello è che tutti hanno interpretato quel saluto frettoloso come una gag costruita, mentre anche noi rimanemmo stupiti.
Nel 1989 avete affidato la conduzione ai “figli di…”: Rosita Celentano, Paola Dominguín, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi.
Un disastro, una tragedia.
Senza se e senza ma.
L’anno prima era andata benissimo con Gabriella Carlucci, mentre con quei quattro non è andato bene nulla.
Perché?
Erano viziati e sbadati, senza alcun atteggiamento professionale; ogni sera morivamo appresso alle loro gaffe e alla loro approssimazione. C’era da vergognarsi; (pausa) altra storia con Corrado o Baudo: loro assicuravano un prodotto; (riflette) Corrado è stato il miglior conduttore di Domenica In.
Baudo è stato protagonista di una forte polemica con l’allora presidente della Rai, Manca, che sosteneva chiusa l’epoca del nazionalpopolare…
Una polemica costruita, con la risposta di Baudo pre-ordinata.
Cioè?
Come ho detto all’inizio, Berlusconi stava attaccando la Rai portando via alcune eccellenze come Baudo stesso, e Pippo cadde nel battibecco con Manca come forma di teatrino, come personaggio offeso dai potentati e quasi costretto ad andare altrove.
Un momento centrale della sua carriera?
Il concerto dei Pink Floyd a Venezia: il giorno dopo sono entrato in chiesa a pregare, per fortuna non era successo niente di grave.
Un successo mondiale.
C’era la gente sui tetti e la città era assolutamente impreparata.
I suoi migliori momenti di Sanremo.
L’anno di Bongiorno e il primo con Fazio, mentre ho il rimpianto di non aver lavorato con Renzo Arbore.
Insieme qualcosa avete combinato…
Le otto puntate di Aspettando Sanremo, con anche Lino Banfi e Michele Mirabella; (sorride) una sera, mentre preparavamo il programma, Arbore mi dice: “Dobbiamo prendere uno veramente antipatico”. E allora scegliemmo Mirabella che in realtà è una persona deliziosa.
Arbore è una colonna della tv…
Con lui mi sono divertito da matti: le riunioni preparatorie si svolgevano a casa di Renzo, ed erano il vero show, qualcosa di unico, ancora più divertente del programma stesso.
Cosa accadeva?
Arbore dava le poche linee dentro le quali ognuno poteva sbizzarrirsi con la sua creatività; il bello è che la fantasia dell’uno stimolava quella dell’altro, e in mezzo a questi fenomeni potevi venir stupito da chi meno te l’aspettavi.
Tipo?
L’agente di Lino Banfi era più spiritoso del suo assistito, con Banfi preoccupato di tanto successo ottenuto.
Come mai Arbore non ha mai condotto il Festival?
Perché certi ruoli non sono compatibili: il comico come Benigni o l’ironico alla Arbore non sono adatti a guidare uno show come Sanremo.
Il Festival è una cosa serissima.
È sacerdotale.
Quest’anno lo vede?
Non tutto, non posso arrivare alle due del mattino.